Novità in tema di prova scientifica
Sempre più frequentemente l’itinerario che conduce all’accertamento giurisdizionale dei fatti penalmente rilevanti, soprattutto in relazione a settori nevralgici per la tutela di beni primari quali la vita, la salute ovvero l’ambiente1, è incentrato sulle risultanze della prova scientifica, ossia «quella prova che, partendo da un fatto dimostrato, utilizza una legge tratta dalla scienza per accertare l’esistenza di un ulteriore fatto da provare»2.
Il superamento della filosofia positivistica della scienza, secondo la quale questa deve intendersi – in base ad una nozione che non concede nulla a concetti quali la fallibilità, la relatività, l’evoluzione, ovvero a metodologie fondate sulla falsificabilità dei risultati – come un insieme di conoscenze complete, certe ed uniche, ha inciso profondamente sul dibattito concernente l’incidenza del ricorso alla prova scientifica sulle diverse fasi in cui si articola il procedimento probatorio, realtà dinamica costituita dal complesso di «attività volte a sottoporre all’attenzione dell’organo procedente gli elementi di prova reputati utili ai fini della pronuncia»3.
L’occasione per ritornare sullo specifico profilo concernente il ruolo del giudice – di legittimità e di merito – nella valutazione della prova scientifica4 è stata offerta da due recenti decisioni della Suprema Corte5, la quale si è occupata delle innovazioni introdotte in materia di colpa medica dall’art. 3 l. 8.11.2012, n. 1896.
La Corte, richiamando un precedente autorevole7, mette innanzitutto in evidenza i pericoli che insidiano questo specifico settore della conoscenza, quali la mancanza di cultura scientifica dei giudici, gli interessi che talvolta orientano le opinioni degli esperti, le negoziazioni informali oppure occulte tra i membri di una comunità scientifica, la provvisorietà e mutabilità delle opinioni scientifiche, la manipolazione dei dati, la presenza di pseudoscienza in realtà priva dei necessari connotati di rigore, gli interessi dei committenti delle ricerche.
Si tratta di fattori inquinanti che impongono al giudice – protagonista del ragionamento probatorio, il quale poggia su una struttura di tipo inferenziale8 – di assumere una veste tutt’altro che passiva di fronte al sapere scientifico, svolgendo quel penetrante ruolo critico che lo rende “custode del metodo scientifico”.
Ed allora, il primo e fondamentale strumento per determinare il grado di affidabilità delle informazioni scientifiche che vengono acquisite nel processo è costituto dall’apprezzamento in ordine alla qualificazione professionale ed all’indipendenza di giudizio dell’esperto.
Poiché, però, non si tratta tanto di comprendere quale sia il (pur qualificato) punto di vista del singolo studioso, quanto piuttosto di definire, ben più ampiamente, quale sia lo stato complessivo delle conoscenze accreditate, la valutazione diviene particolarmente complessa. Per valutare l’attendibilità di una tesi occorre effettuare un’analisi multilivello, esaminando gli studi che la sorreggono, l’ampiezza, il rigore, l’oggettività delle ricerche, nonché il grado di consenso che l’elaborazione teorica raccoglie nella comunità scientifica. Acquisiscono preminente rilievo, poi, l’identità, l’autorità e l’indipendenza del soggetto che gestisce la ricerca, oltre che le finalità perseguite. In altri termini, dopo aver valutato l’affidabilità metodologica e l’integrità delle intenzioni, occorre, valutare se esista una teoria sufficientemente affidabile ed in grado di fornire concrete, significative ed attendibili informazioni idonee a sorreggere l’argomentazione probatoria inerente allo specifico caso esaminato.
Naturalmente, il giudice di merito non dispone delle conoscenze e delle competenze per esperire un’indagine siffatta, di talché le informazioni pertinenti devono essere veicolate nel processo dagli esperti, i quali, come già detto, non devono esprimere soltanto il loro personale, qualificato giudizio, ma delineare lo scenario degli studi e fornire gli elementi di giudizio che consentano al giudice di comprendere se, ponderate le diverse rappresentazioni scientifiche del problema, vi sia conoscenza scientifica in grado di guidare in maniera affidabile l’indagine.
Il modello di accertamento appena esposto non ha nulla a che vedere con il ruolo di peritus peritorum tradizionalmente conferito al giudice, ma, ridimensionando il paradosso connesso al giudizio di insuperabilità del parere dell’esperto, razionalizza il compito al primo assegnato rispetto al quadro cognitivo offerto dal secondo. Il giudice, sottolinea infatti la Corte, utilizza gli esperti al fine di individuare il sapere accreditato che può orientare la decisione e di esso fa uso oculato, metabolizzando la complessità e pervenendo ad una spiegazione degli eventi che risulti comprensibile da chiunque, conforme a ragione ed umanamente plausibile. Il perito, nell’ambito di siffatta costruzione, non è più l’arbitro che decide il processo, ma l’esperto che espone al giudice il quadro del sapere scientifico rilevante ai fini del giudizio, spiegando quale sia lo stato del dibattito nel caso in cui vi sia incertezza circa l’affidabilità degli enunciati della scienza o della tecnologia. Lo schema epistemologico seguito deve tradursi in quella trama giustificativa completa, razionale e logica che costituisce la motivazione, segmento della decisione in cui il giudice, in conformità con la struttura delineata dall’art. 546, co. 1, lett. e), c.p.p.9, esplicita le informazioni scientifiche disponibili e fornisce razionale spiegazione, in modo completo e intersoggettivamente comunicabile, dell’apprezzamento compiuto.
La Corte di cassazione, che non è giudice del sapere scientifico giacché non detiene proprie conoscenze privilegiate, è chiamata a valutare la correttezza metodologica dell’approccio del giudice di merito al sapere scientifico. Spetta al giudice di merito, quindi, fornire una spiegazione convincente che sia in grado di reggere – nell’ottica delineata dalla regola dell’al di là di ogni ragionevole dubbio, in caso di condanna – il vaglio di logicità e di persuasività riservato, entro i limiti stabiliti dall’art. 606, co. 1, lett. e), c.p.p., alla Suprema Corte10. La Corte di cassazione, dunque, conserva inalterato il suo ruolo di giudice della correttezza della motivazione e, nell’ambito di esso, del modo con cui una determinata affermazione scientifica è veicolata a supporto della decisione.
1 Canzio, G., Prova scientifica, ragionamento probatorio e libero convincimento del giudice nel processo penale, in Dir. pen. e processo, 2003, 1193.
2 La definizione è di Tonini, P., La prova scientifica, in Trattato di procedura penale, diretto da G. Spangher, II, Prove e misure cautelari, t. I, Le prove, 2009, 85 s. V., sull’argomento e sulle relative problematiche, Lorusso, S., La prova scientifica, in La prova penale, trattato diretto da A. Gaito, Torino, 2008, 295 s.; Dominioni, O., Prova scientifica (dir. proc. pen.), in Enc. dir., Annali, II, Milano, 2008, 993 s.; Esposito, E., Prova scientifica, in Dig. pen., Aggiornamento, III, Torino, 2005, 1230 s.; Canzio, G., Prova scientifica, cit., 1193 s.
3 Ubertis, G., Prova (in generale), in Dig. pen., X, Torino, 1995, 317. V., altresì, Ubertis, G., Il giudice, la scienza e la prova, in Cass. pen., 2011, 4111 s.
4 In relazione all’incidenza della prova scientifica sulla valutazione di ammissibilità dell’istanza di revisione v., di recente, Cass. pen., 13.4.2011, n. 15139.
5 Ci si riferisce a Cass. pen., 11.3.2013, n. 11493 ed a Cass. pen., 9.4.2013, n. 16237.
6 Sull’innovazione legislativa v. De Luca, M., La nuova responsabilità del medico dopo la legge Balduzzi, Roma, 2012.
7 Cass. pen., 17.9.2010, n. 43786.
8 Canzio, G., Prova scientifica, cit., 1194.
9 Sulla quale v. Amodio, E., Motivazione della sentenza penale, in Enc. dir., XXVI, Milano, 1977, 185 s.
10 Sul controllo della motivazione da parte della Corte di cassazione v. Santoriello, C., Il vizio di motivazione tra esame di legittimità e giudizio di fatto, Torino, 2008, 263 s.