Vedi Novita in materia di processo di primo grado dell'anno: 2015 - 2017 - 2019
Novità in materia di processo di primo grado
Anche quest’anno, come ormai accade da otto anni consecutivi, la giustizia civile ha proseguito nel suo lento, ma costante e per ora duraturo, miglioramento della situazione generale. Le cause complessivamente pendenti al 31.12.2017, al netto della volontaria giurisdizione, sono infatti scese a 3.634.146, con una riduzione del 3,2% rispetto all’anno precedente ed una riduzione di oltre il 36% rispetto al picco di 5,7 milioni di fine 2009; e se in appello, e soprattutto in Cassazione, i dati continuano ad essere allarmanti, in primo grado l’obiettivo di una durata ragionevole comincia ad essere realistico ed a portata di mano, atteso che la durata media dei procedimenti in tribunale è scesa ad un anno esatto, secondo i dati ministeriali. Un contributo in tal senso lo ha certamente offerto anche la Suprema Corte, la quale ha ormai chiarito la gran parte degli snodi interpretativi relativi alle principali questioni processuali del primo grado, così assicurando quella nomofilachia che rende più agile il processo. Essendo ovviamente impossibile dar conto di tutte le pronunce rilevanti, quella che segue è una elencazione necessariamente parziale e soggettiva di alcuni degli arresti più interessanti. In particolare, tra le pronunce a sezioni unite del 2018, di certo interesse è quella con cui, componendo un contrasto giurisprudenziale ed aderendo alla tesi già prima maggioritaria, si chiarisce che le controversie per i compensi di avvocato di cui all’art. 28 l. 13.6.1942, n. 794, come modificato dall’art. 34 d.lgs. 1.9.2011, n. 150, vanno trattate nelle forme del rito sommario, previsto dall’art. 14 del citato decreto, con decisione collegiale davanti al tribunale ove l’avvocato ha prestato l’opera, anche nell’ipotesi che la domanda riguardi l’an della pretesa; resta ferma la possibilità di agire in via monitoria, e l’opposizione va in tal caso proposta con il medesimo rito sommario speciale, ma non anche la possibilità di agire col rito ordinario o col sommario codicistico (Cass., S.U., 23.2.2018, n. 4485; conforme la successiva Cass., 2.5.2018, n. 10410).
Sempre a sezioni unite e sempre risolvendo un contrasto, la Cassazione ha poi enunciato il seguente principio di diritto: «a fronte della mancata liquidazione delle spese nel dispositivo della sentenza, anche emessa ex art. 429 c.p.c., sebbene in parte motiva il giudice abbia espresso la propria volontà di porle a carico della parte soccombente, la parte interessata deve fare ricorso alla procedura di correzione degli errori materiali di cui agli artt. 287 ss. c.p.c. per ottenerne la quantificazione» (Cass., S.U., 21.6.2018, n. 16415). Ancora a sezioni unite, la Corte ha ritenuto che, in tema di processo telematico, a norma dell’art. 12 del decreto dirigenziale del 16.4.2014 di cui all’art. 34
d.m. 21.2.2011, n. 44, in conformità agli standard previsti dal regolamento UE n. 910/2014 ed alla relativa decisione di esecuzione n. 1506 del 2015, le firme digitali di tipo “CadES” e di tipo “PadES” sono entrambe ammesse e equivalenti, sia pure con le differenti estensioni “.p7m” e “.pdf” (in questi esatti termini una delle massime ufficiali dell’articolata Cass., S.U., 27.4.2018, n. 10266). Nuovamente a sezioni unite, ma per una questione di giurisdizione in relazione al combinato disposto dagli artt. 360, n. 1, e 374, co. 1, c.p.c. e non già per sanare un contrasto, la Suprema Corte ha poi sostenuto che «affinché una domanda possa ritenersi abbandonata dalla parte, non è sufficiente che essa non venga riproposta nella precisazione delle conclusioni, costituendo tale omissione una mera presunzione di abbandono, dovendosi, invece, necessariamente accertare se, dalla valutazione complessiva della condotta processuale della parte, o dalla stretta connessione della domanda non riproposta con quelle esplicitamente reiterate, emerga una volontà inequivoca di insistere sulla domanda pretermessa» (Cass., S.U., 24.1.2018, n. 1785, così confermando la posizione di Cass., 14.7.2017, n. 17582, Cass., 10.9.2015, n. 17875, Cass., 10.7.2014, n. 15860; e superando invece la tesi, più condivisibile ad avviso di chi scrive, di Cass., 1.10.2013, n. 22431, Cass., 5.7.2013, n. 16840, Cass., 29.1.2013, n. 2093, secondo cui se la parte ha precisato in modo specifico le proprie conclusioni, le domande e le eccezioni non riproposte vanno ritenute comunque abbandonate). Movendo alle pronunce a sezioni semplici e con riferimento al tema della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato che vincola il giudice ai sensi dell’art. 112 c.p.c., merita attenzione Cass., 5.2.2018, n. 2669, secondo cui tale corrispondenza significa che il petitum va determinato con riferimento a quello che viene domandato, in via principale o subordinata, in relazione al bene della vita che l’attore intende conseguire e alle eccezioni che in proposito siano state sollevate dal convenuto; ma tale principio non osta a che il giudice renda la pronuncia richiesta sulla base di una ricostruzione autonoma dei fatti, rispetto a quella prospettata dalle parti, nonché in base alla qualificazione giuridica dei fatti medesimi e all’applicazione di una norma diversa da quella indicata dalle parti. In materia di qualificazione della domanda, la Suprema Corte è nuovamente intervenuta sulla dibattuta questione della possibilità o meno di modificare la domanda da perdita del bene in perdita di chance: si è così spiegato, condivisibilmente ad avviso di chi scrive, che va esclusa l’identità sostanziale del petitum nel caso in cui, chiesto il risarcimento per un evento di danno da lesione di un valore costituzionalmente tutelato come quello della salute o del rapporto parentale, la domanda muti, in corso di giudizio, in istanza risarcitoria da perdita di chance, attesa la ontologica diversità del bene tutelato e la diversità quindi tra la domanda di risarcimento per perdita del bene e quella per perdita di chance (Cass., 9.3.2018, n. 5641 e Cass., 19.4.2018, n. 9651): ciò corrisponde a quanto sostenuto in alcune precedenti pronunce (cfr. Cass., 4.3.2004, n. 4400, con riferimento alla distinzione tra domanda di risarcimento per diminuzione della speranza di sopravvivenza e di risarcimento per morte; cfr. anche Cass., 27.4.2010, n. 10120, Cass., 29.11.2012, n. 21245, Cass., 13.6.2014, n. 13491 e Cass., 19.3.2015, n. 5482), ma non in altre (cfr. Cass., 14.6.2011, n. 12961, nel senso della domanda di perdita di chance come minus della domanda di perdita di bene futuro e Cass., 24.9.2015, n. 18945 per l’omnicomprensività della domanda risarcitoria di tutti i danni; cfr. anche Cass., 14.6.2011, n. 12961 e Cass., 29.11.2912, n. 21245), con la conseguenza che sul punto sarebbe auspicabile l’intervento delle Sezioni Unite per sanare un oggettivo contrasto. Sempre in materia di petitum, la Suprema Corte ha sancito che la domanda di adempimento contrattuale e quella di arricchimento senza causa si differenziano strutturalmente e tipologicamente, pertanto la seconda integra, rispetto alla prima originariamente formulata, una domanda nuova (Cass., 4.7.2018, n. 17482). Nelle sempre più numerose pronunce in materia di processo telematico, si è chiarito che l’indirizzo del destinatario al quale va trasmessa la copia informatica dell’atto, è, per i soggetti i cui recapiti sono inseriti nel Registro generale degli indirizzi elettronici gestito dal Ministero della giustizia (Reginde), unicamente quello risultante da tale registro, con conseguente nullità della notifica eseguita presso un diverso indirizzo di posta elettronica certificata del destinatario (Cass., 11.05.2018, n. 11574); che in seguito all’introduzione del domicilio digitale, ciascun avvocato deve aver comunicato l’indirizzo p.e.c. al Consiglio dell’Ordine di appartenenza ai sensi dell’art. 16 sexies d.l. 18.10.2012, n. 179, e pertanto non è più possibile procedere alle comunicazioni o alle notificazioni presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario innanzi al quale pende la lite, anche se il destinatario ha omesso di eleggere il domicilio nel comune in cui ha sede quest’ultimo, a meno che, oltre a tale omissione, non ricorra altresì la circostanza che l’indirizzo di posta elettronica certificata non sia accessibile per cause imputabili al destinatario (Cass., 8.6.2018, n. 14914); che l’unico indirizzo p.e.c. rilevante ai fini processuali è quello indicato dal difensore al proprio Consiglio dell’Ordine, non dovendo egli procedere ad indicare negli atti di parte l’indirizzo stesso (Cass., 22.8.2018, n. 20915); che la violazione di specifiche tecniche dettate in ragione della mera configurazione del sistema informatico, non può mai comportare la invalidità degli atti processuali compiuti, qualora non vengano in rilievo la violazione del diritto di difesa o altro pregiudizio per la decisione finale, ma al più, una mera irregolarità sanabile in virtù del principio di raggiungimento dello scopo (Cass., 1.6.2018, n. 14042); che più in generale, anche per la notifica telematica valgono i principi generali di cui all’art. 156, co. 3, c.p.c. relativi al raggiungimento dello scopo, ciò che esclude la nullità nel caso la notifica sia comunque giunta a conoscenza del destinatario (Cass., 11.1.2018, n. 489, in linea con la precedente Cass., S.U., 18.4.2016, n. 7665), con la conseguenza che il vizio della notifica a mezzo p.e.c. derivante dall’essere stata la stessa effettuata presso un indirizzo diverso da quello risultante dal Reginde, determina la nullità e non l’inesistenza della stessa, e applicabilità del principio della sanatoria per raggiungimento dello scopo (Cass., 8.10.2018, n. 23738). Sempre in materia di notifiche, si è ribadito che, in caso di notifica di atti processuali non andata a buon fine per ragioni non imputabili al notificante, questi, appreso dell’esito negativo, per conservare gli effetti collegati alla richiesta originaria, deve riattivare il processo notificatorio con immediatezza, ossia senza superare il limite di tempo pari alla metà dei termini indicati dall’art. 325 c.p.c. (Cass., 2.2.2018, n. 2577, dando continuità al dictum di Cass., S.U., 15.7.2016, n. 14594 e delle successive Cass., 21.4.2017, n. 10076 e Cass., 30.8.2017, n. 20527); si è affermato che quando una stessa persona fisica rappresenta in giudizio più soggetti, ma tale rappresentanza ha carattere unitario ed inscindibile, la notificazione è correttamente eseguita mediante consegna di una sola copia dell’atto al procuratore della parte, non trovando applicazione il principio secondo cui la notifica deve avvenire con la dazione di tante copie quante sono le parti contro cui l’atto è diretto (Cass., 15.6.2018, n. 15920); si è puntualizzato che l’atto di riassunzione senza mutamenti sostanziali degli elementi costitutivi del processo, come quello dovuto alla morte del difensore, non deve essere notificato al contumace, il quale deve essere posto a conoscenza, mediante la relativa notificazione, dell’atto riassuntivo, solo quando questo comporti un radicale mutamento della preesistente situazione processuale (Cass., 24.5.2018, n. 13015); si è spiegato che la notificazione mediante consegna a una delle persone enumerate nell’art. 139 c.p.c., deve essere necessariamente eseguita nei luoghi nella norma stessa indicati, con conseguente nullità della notificazione qualora risulti che l’atto sia stato consegnato a una delle dette persone ma in un luogo diverso da quelli previsti dalla norma (Cass., 8.10.2018, n. 24681). In tema di prove, è invece stato specificato che l’efficacia della rinuncia all’espletamento dell’interrogatorio formale, in quanto volto a provocare la confessione della controparte, da parte di chi lo abbia richiesto, non è subordinata all’adesione dell’interrogando, né a quella del giudice (Cass., 7.2.2018, n. 2956); e che la vittima di un sinistro stradale è sempre incapace di testimoniare ex art. 246 c.p.c. nel giudizio avente ad oggetto la domanda di risarcimento del danno proposta da altra persona danneggiata in conseguenza del medesimo sinistro, a nulla rilevando che il testimone abbia dichiarato di rinunciare al risarcimento o che il relativo credito sia prescritto (Cass., 23.5.2018, n. 12660, ribadendo un principio espresso sin da Cass., 1.6.1974, n. 1580, sempre confermato dalla Suprema Corte ma talvolta disatteso dai giudici di merito). Relativamente alla sentenza, si è deciso che la pronuncia di un organo collegiale, quando sottoscritta solo dall’estensore ma non dal presidente, o viceversa, è un provvedimento affetto da nullità sanabile ai sensi dell’art. 161, co. 1, c.p.c. (Cass., 2.7.2018, n. 17193); che nel caso della sempre più diffusa sentenza contestuale, la predisposizione ad opera del giudice, prima dell’udienza di precisazione delle conclusioni e della discussione orale, di una bozza di decisione da rendere ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c., non è nulla, né lesiva del diritto di difesa delle parti, in quanto attività prodromica alla decisione, destinata ad integrare una ipotesi di soluzione, suscettibile di conferma o di modifica all’esito della discussione delle parti (Cass., 10.5.2018, n. 11297); che più in generale, la motivazione per relationem ad un precedente giurisprudenziale esime il giudice dallo sviluppare proprie argomentazioni giuridiche, ma il percorso argomentativo deve comunque consentire di comprendere la fattispecie concreta, l’autonomia del processo deliberativo compiuto e la riconducibilità dei fatti esaminati al principio di diritto richiamato, dovendosi ritenere, in difetto di tali requisiti minimi, la totale carenza di motivazione e la conseguente nullità del provvedimento (Cass., 3.7.2018, n. 17403). Quanto poi alla sentenza penale irrevocabile di condanna, che ex art. 654 c.p.p. ha efficacia di giudicato nel processo civile di risarcimento del danno relativamente all’accertamento della sussistenza del fatto e della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso, la stessa non vincola invece il giudice civile relativamente alle valutazioni e qualificazioni giuridiche attinenti agli effetti civili della pronuncia, quali sono quelle che riguardano l’individuazione delle conseguenze dannose che possono dare luogo a fattispecie di danno risarcibile (Cass., 20.8.2018, n. 20786). Circa la disciplina della riassunzione a seguito del fallimento, posto che l’art. 43, co. 3, l. fall., detta una disciplina derogatoria rispetto a quella generale posta dall’art. 300 c.p.c. per tutti gli altri eventi interruttivi, prevedendo l’interruzione automatica del processo a seguito del verificarsi dell’evento, si è evidenziato che il dies a quo per riassumere il processo decorre dalla conoscenza legale dell’evento, acquisita non in via di mero fatto, ma per il tramite di una dichiarazione, notificazione o certificazione rappresentativa dell’evento che determina l’interruzione del processo, assistita da fede privilegiata; che tale conoscenza legale può quindi essere successiva alla sentenza di fallimento e precedente alla pronuncia dichiarativa di interruzione da parte del giudice; che per la curatela fallimentare, la conoscenza legale deve essere riferita non solo all’esistenza del fallimento, ma anche allo specifico processo sul quale l’evento interruttivo è in concreto destinato ad operare ed esplicare i propri effetti (Cass., 18.4.2018, n. 9578 e Cass., 15.3.2018, n. 6398, che confermano Cass., 28.12.2016, n. 27165, Cass., 13.3.2013, n. 6331 e Cass., 7.3.2013, n. 5650). La Suprema Corte è poi tornata ad occuparsi anche del divieto di frazionamento del credito, tema su cui il contrasto giurisprudenziale è stato recentemente composto da Cass., S.U., 16.2.2017, n. 4090, ribadendone sostanzialmente l’insegnamento nel senso del divieto, a pena di improcedibilità delle domande successive alla prima, a meno di un particolare interesse oggettivamente valutabile in ordine alla tutela processuale frazionata (Cass., 20.6.2018, n. 17019 e Cass., 6.7.2018, n. 17893). Si è inoltre ribadito che la procedura di cui all’art. 644 c.p.c. e 188 disp. att. c.p.c. in ordine alla declaratoria di inefficacia di un decreto ingiuntivo non notificato nei termini, si applica, oltre che in caso di omessa notifica, anche nei casi di notifica inesistente, ma non anche nei casi di notifica nulla, per i quali occorre procedere con opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c., dovendo il concetto di «irregolarità» della notifica essere inteso in senso proprio (Cass., 2.10.2018, n. 23903).
In materia di patrocinio a spese dello Stato, si è poi statuito che l’esclusivo mezzo di impugnazione del provvedimento di revoca dell’ammissione, indipendentemente dalla circostanza che sia erroneamente pronunziato nel contesto della sentenza che definisce il giudizio di merito, e non già con decreto ex art. 136 t.u. sp. giust. (d.P.R. 30.5.2002, n. 115), è l’opposizione da proporsi al capo dell’ufficio giudiziario del magistrato che lo ha disposto, ex art. 170 dello stesso decreto (Cass., 8.2.2018, n. 3028); che il sistema, escludendo ogni rapporto fra il difensore della parte meno abbiente assistita e la parte soccombente non assistita, è incompatibile con la distrazione delle spese, la quale crea in via eccezionale un rapporto obbligatorio tra il difensore della parte vittoriosa e la parte soccombente, in forza del quale il credito sorge direttamente a favore del primo nei confronti della seconda, con la conseguenza che l’eventuale richiesta di distrazione delle spese giudiziali pone in essere un’implicita rinuncia al patrocinio a spese dello Stato (Cass., 6.3.2018, n. 5232); che nel caso di opposizione a decreto di liquidazione relativo al patrocinio a spese dello Stato, parte necessaria è il Ministero della giustizia e non l’Agenzia delle entrate (Cass., 6.3.2018, n. 5314, che dà continuità ad un principio espresso da Cass., S.U., 29.5.2012, n. 8516 e mai più disatteso). Numerose come sempre sono state anche le pronunce relative alle spese di lite, ove si è tra l’altro precisato che il rimborso delle spese processuali sostenute da colui che sia legittimamente intervenuto ad adiuvandum è posto, senza che occorra che la sua presenza sia stata determinante ai fini dell’esito favorevole della lite per l’adiuvato, a carico della parte la cui tesi difensiva, risultata infondata, abbia determinato l’interesse all’intervento (Cass., 14.5.2018, n. 11670); che se il difensore non è munito di effettiva procura dal soggetto per cui dichiara di agire in giudizio, l’attività processuale posta in essere non produce alcun effetto sulla parte, e l’avvocato se ne assume la esclusiva responsabilità, per cui può essere legittimante condannato al pagamento delle spese di lite (Cass., 16.5.2018, n. 11930); che nel caso invece di invalidità o sopravvenuta inefficacia della procura ad litem, non è ammissibile la condanna del difensore alle spese del giudizio, in quanto l’attività processuale è provvisoriamente efficace e la procura, benché sia nulla o invalida, è tuttavia idonea a determinare l’instaurazione di un rapporto processuale con la parte rappresentata, che assume la veste di potenziale destinataria delle situazioni derivanti dal processo (Cass., 6.4.2018, n. 8570). Sempre in materia di spese di lite, si profila un contrasto tra chi sostiene che i parametri di cui al d.m. 10.3.2014, n. 55 sono inderogabili nel minimo tariffario (Cass., 17.1.2018, n. 1018); e chi li ritiene invece derogabili, sia pure con il limite dell’art. 2233 c.c. e del conseguente divieto di liquidare somme simboliche e non consone al decoro della professione (Cass., 31.7.2018, n. 20183, Cass., 15.12.2017, n. 30286, Cass., 11.12.2017, n. 29606, Cass., 9.11.2017, n. 26608). Infine, tra le sentenze della Corte costituzionale è opportuno segnalare almeno tre arresti, ed in particolare quello con il quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 92, co. 2, c.p.c. nella parte in cui non prevede che il giudice, in caso di soccombenza totale, possa non di meno compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, anche qualora sussistano altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni, oltre quelle nominativamente indicate (C. cost., 19.4.2018, n. 77, che ha così riportato il testo dell’articolo a quello precedente alla modifica operata dalla l. 10.11.2014, n. 162); quello con il quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 l. 24.3.2001, n. 89, cd. legge Pinto, nella parte in cui non prevede che la domanda di equa riparazione possa essere proposta in pendenza del procedimento presupposto (C. cost., 26.4.2018, n. 88); quello infine in cui è stata dichiarata infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 106 t.u. sp. giust., nella parte in cui prevede che il compenso del difensore di una parte ammessa al beneficio del patrocinio a spese dello Stato non venga liquidato qualora l’impugnazione venga dichiarata inammissibile, senza distinzione in merito alla causa della inammissibilità (C. cost., 30.1.2018, n. 16).