La novazione è un modo di estinzione dell’obbligazione diverso dall’adempimento. Occorre distinguere tra novazione soggettiva, che si ha quando un nuovo debitore è sostituito a quello originario che viene liberato (art. 1235 c.c.) e novazione oggettiva, che si ha invece quando le parti di un rapporto obbligatorio sostituiscono all’obbligazione originaria una nuova obbligazione con oggetto o titolo diverso (artt. 1230-1234 c.c.). La novazione soggettiva è ormai assorbita dalla delegazione, dall’espromissione e dall’accollo (artt. 1268 ss. c.c.), per cui quando si parla oggi di novazione ci si riferisce in genere alla novazione oggettiva. Questa consiste in un contratto caratterizzato sia dal c.d. aliquid novi (il mutamento dell’oggetto o del titolo), sia dal c.d. animus novandi (la volontà di estinguere l’obbligazione precedente, che deve risultare in modo non equivoco); il rilascio o la rinnovazione di un documento non produce novazione. Se l’obbligazione originaria era inesistente o nulla, la novazione è senza effetto; se l’obbligazione originaria era annullabile, la novazione è valida se il debitore ha assunto validamente il nuovo debito conoscendo il vizio del titolo originario. Con la novazione privilegi, pegno ed ipoteche del credito originario si estinguono se le parti non convengono espressamente di mantenerli per il nuovo credito. Occorre tenere distinta la novazione da una semplice modificazione accessoria dell’obbligazione (come l’apposizione o l’eliminazione di un termine). A questo riguardo, le Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione hanno statuito (sent. 21/6/2005, n. 13294) che l’impegno del venditore di eliminare i vizi che rendano la cosa inidonea all’uso cui è destinata (ovvero ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore economico) di per sé non integra una novazione: esso infatti non costituisce un quid novi con effetto estintivo-modificativo dell’originaria obbligazione di garanzia, ma semplicemente un quid pluris che serve ad ampliarne le modalità di attuazione.