nous
Traslitt. dal gr. νοῦς «intelletto, mente, ragione». Anassagora chiamò n. la divina ragione ordinatrice del mondo, il quale è il risultato del processo originato dal moto vorticoso prodotto nel miscuglio originario (μίγμα) di tutti i semi dall’azione della Mente (νοῦς). Solitaria in sé stessa, la mente infinita è dotata di forza propria e non è mescolata a nulla; sotto la sua azione si separano il rado e il denso, il freddo e il caldo, il buio e la luce, l’umido e il secco e si genera l’ordine del divenire (framm. 12 B Diels-Kranz). Essa indirizza dunque finalisticamente il processo del divenire cosmico; questa peculiarità non sfuggì a Platone, che tratti analoghi sembra attribuire al demiurgo produttore del cosmo nel Filebo (28 d-30 e) e soprattutto nel Timeo (➔) (30 b e segg.; 48 a), e che pure nel Fedone (➔) (97 b-99 c) critica aspramente per bocca di Socrate l’arretrare di Anassagora di fronte alle conseguenze più importanti della sua intuizione e il suo impiego parziale di un’idea tanto dirompente; osservazioni analoghe si colgono in Aristotele (Metafisica, I, 4, 984 a 15 e segg.), che considera in qualche modo estrinseco e accessorio il ricorso al n. da parte di Anassagora. Nella Metafisica (➔) (XII, 7, 1072 b) Aristotele individua nel n. divino il primo motore delle cose, che muove il tutto in qualità di causa finale, capace di attrarre a sé in quanto oggetto d’amore; la sua attività consiste nell’atto della contemplazione della sua stessa essenza intellegibile. In Aristotele si ritrova un’altra caratterizzazione del n. destinata a segnare profondamente la storia del pensiero filosofico occidentale: si tratta della nozione di νοῦς ποιητικός, o intelletto attivo, introdotta nel trattato Sull’anima (➔) (III, 5, 430 a); il n. vi è descritto come separato e impassibile, immortale ed eterno, e in ragione di ciò i commentatori – dai più antichi alla scolastica araba e cristiana, fino all’aristotelismo rinascimentale – si posero il problema se esso facesse parte dell’anima umana o piuttosto della divinità, fornendo risposte differenti. Ancora ad A. si deve la nozione di n. come facoltà che intuisce i principi indimostrabili (Etica Nicomachea, VI, 6, 1440 a 31 e segg.). Recuperando istanze sia platoniche sia aristoteliche, i neoplatonici tenderanno a individuare nel n. la seconda delle tre ipostasi, dopo l’Uno e prima dell’Anima, alla quale il n. fornisce le forme razionali (Plotino, Enneadi, V, 9, 2-4; VI, 8, 17).