nota
Il valore fondamentale di " segno " compare in parecchie attestazioni del termine; anche in riferimento ad argomenti astratti, come " elemento distintivo ", " caratteristica ". Una volta stabilito che l'imperfezione delle ricchezze si può in tre cose vedere apertamente (Cv IV XI 4), D. si accinge a dimostrare come ne la loro possessione siano dannose ... che è la terza nota de la loro imperfezione (XIII 10); e dopo ulteriori dimostrazioni potrà concludere anche che assai è manifesto la loro viltade per tutte le sue note (XIII 14).
Trasferite nel campo religioso, le note a lavar le quali i penitenti hanno bisogno dell'aiuto dei vivi sono " i segni, le reliquie de' peccati " (Lombardi), le " macchie ", o le " magagne ", come dice efficacemente il Buti (Pg XI 34; sull'alternanza note o nuote [" macchie ", " brutture "] cfr. Petrocchi, ad locum).
Altrove il valore del termine si arricchisce, accostandosi all'accezione di " segno " quella di " cosa degna di esser notata,. ricordata ": per cui, là dove D. si offre di mettere il nome di Bocca degli Abati tra l'altre note (If XXXII 93), Benvenuto spiega " idest, inter alias literas quibus notavi alios dignos fama " (da confrontare con If XX 104 se tu ne vedi alcun degno di nota, di " essere notato "), con maggiore precisione rispetto alle chiose successive (" le memorie da me registrate ", Cesari; " appunti o ricordi del mio viaggio ", Scartazzini-Vandelli, e analogamente Torraca, Rossi e Chimenz; " parole e versi, ond'è intessuto il racconto del viaggio ", Casini-Barbi; e Mattalia: " cose viste, a ciascuna delle quali, nel libro della memoria, corrisponde una nota, una notazione ").
Dice il Buti che " nota tanto è quanto segno di canto, e però si può pigliar per lo canto; ancor nota è la lettera e la scrittura, e così si può pigliar qui ", cioè in If XVI 127, dove D. ‛ giura ' per le note / di questa comedìa. L'allusione alla musica è accolta nell'interpretazione dei commentatori moderni, che intendono " versi ", cioè " parole, incluso il senso del ritmo " (Chimenz; anche Mattalia, che ricorda VE II IV 2 [la poesia] nichil aliud est quam fictio rethorica musicaque poita), o addirittura " parole in rima... che si cantano " (Scartazzini-Vandelli).
Tramite Cv II XI 3 rade volte la [tornata] punsi con l'ordine [" struttura metrica "] de la canzone, quanto è a lo numero che a la nota è necessario, dove n. pare doversi intendere come " nota musicale " (o " melodia della stanza ", come spiegano Busnelli-Vandelli), il sostantivo entra nell'ambito del significato tecnico musicale, esattamente individuato dal Buti con l'osservazione che le n. sono " li segni del canto, che si fanno nel libro del canto ". Ma il " segno " viene a identificarsi con il " canto " stesso o con la " melodia " (come nel passo di Pg XXX 93, cui la chiosa del Buti si riferisce: v. NOTARE), in un folto gruppo di occorrenze ovviamente relative, per lo più, al Purgatorio e al Paradiso. Può essere un " canto " di cui D. mette in rilievo la dolcezza, come quello di Casella (Pg II 119; e cfr. i vv. 113-114), o delle anime della valletta dei principi (VIII 14; cfr. anche Pd VI 124); o l'angelica nota che temprava i passi nell'alta selva del Paradiso terrestre (Pg XXXII 33), o l'inno dei componenti la mistica processione, che addirittura sopraffà il poeta con la sua dolcezza: né la nota soffersi tutta quanta (v. 63; cfr. ancora Pd XIV 24 e XXVIII 9 [per quest'ultimo passo, v. anche Metro], mentre in XIX 98 converrà pensare piuttosto alle " parole del canto " dell'aquila, che D. non è in grado di ‛ intendere '; indica la " melodia del canto " in Detto 419); oppure può trattarsi di un " suono " non meno dolce (cime orologio che ne chiami / ... tin tin sonando con si dolce nota, / che..., Pd X 143), o di una " musica ", come il Pazzaglia intende la nota soave di Vn XII 14 38 (" musica, canto ", secondo Barbi-Maggini). Variamente interpretato il passo di Pd XIV 120 come giga e arpa... fa dolce tintinno / a tal da cui la nota non è intesa, / così... / s'accogliea per la croce una melode / che mi rapiva, sanza intender l'inno: il secondo termine del paragone ha indotto alcuni a vedere nella n. " le note della melodia " (Rossi; analogamente Scartazzini-Vandelli, Torraca, Chimenz, Mattalia) trattandosi di tal che " non sa di note, non sa, di musica " (Venturi; Daniello); altri " l'aria sullo strumento sonata " (Andreoli), o " Io modo e l'arte del canto " (Buti), o " ciò che cantassero " (Lombardi), il " canto compagno del suono " (Tommaseo).
Talvolta il canto è visto essenzialmente come " ritmo ", che regola la danza dei due [spiriti] che si volgieno a nota / qual conveniesi al loro ardente amore (Pd XXV 107; per la variante rota, cfr. Petrocchi, ad l.; cfr. anche Pd VII 4, con lo stesso verbo), o quella delle altre sante creature che cantando, a sua nota moviensi (XVIII 79).
Ha dato luogo a interpretazioni un po' generiche e non concordi anche il passo di Pd X 81, dov'è descritto il momento della danza in cui le danzatrici si fermano tacite, ascoltando / fin che le nove note hanno ricolte: " ut audirent novam notam unius earum ", dice Benvenuto; le n. " di colui che canta.., per seguitare lo canto ", il Buti. Il Vellutello intende " le nove parole che hanno da esprimer nel... seguente canto ", il Rossi " il nuovo motivo intonato dalla loro guida " (e analogamente il Porena); il Cesari spiega " finché abbiano imparato... il nuovo andamento delle strofe ", il Torraca " sinché non sia ripreso il canto ". Il Casini ha studiato a fondo la questione, e conclude che, " finito il canto d'una stanza [le danzatrici] si fermano senza interrompere il ballo, ma pronte a rimettersi in movimento appena sentano intonare alla guida il canto della seguente stanza " (Casini-Barbi, ad l.; v. anche " Bull. " IV [1896-97] 180-181).
Una ripresa del motivo musicale, ma in un senso reso metaforico dal tono ironico, si ha in If XIX 118, a compendio dell'invettiva contro la cupidigia della Chiesa: E mentr'io li cantava cotai note..., dove il valore di " parola " attribuito al vocabolo dal Buti e da altri acquista un rilievo particolare dall'accostamento a ‛ cantare ' (già il D'Ovidio aveva notato " il qualificar ch'ei [D.] fa come musica... il discorso suo che aveva stizzito Niccolò e del quale i salti di Niccolò erano stati l'accompagnamento ": cfr. Scartazzini-Vandelli, ad l.).
Non parole distinte, ma " voci ", " varietà de' pianti " (Boccacio) sono le dolenti note che D. ode appena entrato nel II cerchio dell'inferno (If V 25). è puro fatto sonoro in XXXII 36 livide... / eran l'ombre dolenti ne la ghiaccia, / mettendo i denti in nota di cicogna, in un'espressione che rende il " rumore " prodotto dal tremare dei dannati, i quali " faceano quel verso che fa la cecogna " (Lana). Per Pg XXIX 123, in cui n. è aggettivo verbale, v. NOTARE.