Vedi NORCHIA dell'anno: 1963 - 1996
NORCHIA (v. vol. V, p. 543)
Il nome antico non è noto, ma non poteva discostarsi dalla forma Orcla/Orclae, attestata a partire da un documento del 775 d.C. (la forma con «n» è accolta nell'uso scritto a partire dalla carta geografica di J. Oddi del 1637). Appare verosimile un rapporto con il nome gentilizio etrusco variamente continuato in latino da Orculnius, Orgolnius, Urgulanius: nome portato nella prima metà del IV sec. a.C. dal re di Caere spodestato, secondo gli Elogia Tarquiniensia, da Aulo Spurinna.
Il comprensorio di N. fu frequentato e abitato a più riprese nella preistoria: nel Paleolitico Superiore (riparo sul Biedano), nell'Eneolitico (tombe a grotticella nelle valli del Pile e dell'Acqualta), tra il Bronzo Antico e le fasi iniziali del Medio (facies di Asciano e di Grotta Nuova, quest'ultima in particolare sul Piano del Casalone), tra il Bronzo Recente e il Bronzo Finale, con particolare intensità nella fase di Allumiere (X secolo). Resti di due grandi capanne dell'epoca, a pianta subcircolare con muri disfatti di pietre calcaree, sono stati tagliati dal muro etrusco di cinta costruito alla radice del pianoro, mentre nella valle del Pile si è rinvenuto un riparo con ceramiche in relazione a una capanna distrutta dall'impianto delle tombe etrusche.
Durante l'Età del Ferro il sito sembra deserto. Del tutto isolato è rimasto il recupero nel fondovalle del Biedano di alcuni bronzi; abbandonati da scavatori clandestini, tra i quali due dischi-corazza e parte di uno scudo composito del tipo dell’ancile, decorati nello stile geometrico tardo-villanoviano. Una ripresa di vita è sicura solo tra gli inizî del VI e quelli del V sec. a.C., con tenui testimonianze sia abitative sia funerarie. Di queste ultime la più notevole è una piccola tomba a camera con banchina tricliniare, poco a E del Casalone, il cui corredo, databile intorno al 500 a.C., includeva a quanto pare in origine una completa panoplia di guerriero (come si verifica a Vulci e a Bomarzo).
È solo con la metà del IV sec. a.C. che N. assurge a una posizione di primo piano nell'Etruria interna, divenendo la base dell'espansione politico-militare di Tarquinia in direzione di Viterbo, del Tevere e dell'agro falisco (la sua gens più eminente, i Churcle, ha lasciato probabilmente il proprio nome al centro falisco di Corchiano: è anche possibile che Vitorchiano non sia altro che un Vetus Orclanum). La città, retta da proprie magistrature (sono noti due zιlαθ e uno zilc parχis, titolo quest'ultimo che N. condivide con Musarna), occupava una superficie di circa 10,5 ha, difesa sul lato S da un'enorme fossa trasversale alla collina, larga m 25 e profonda m 6. Lo sbarramento era completato da un muro a doppia cortina isodoma di tufo, largo m 1,50, integrato sul ciglio interno da un'unica torre quadrata di avvistamento. Fossa e muro erano attraversati dalla via proveniente da Blera, che entrava in città con una tagliata forse un tempo scavalcata dal muro con un arco. Un percorso alternativo, ancor più facilmente ostruibile in caso di bisogno, era offerto da una contigua rampa in galleria. Un secondo ingresso alla città si trovava dal lato del Pile, presso la diruta chiesa di S. Giovanni, al sommo di uno scenografico percorso a tornanti fronteggiato da tombe rupestri, utilizzato già in epoca arcaica.
L'acropoli coincideva con la parte settentrionale del pianoro, estesa per c.a 2 ha, dove si restrinse e si addensò l'insediamento medioevale, difeso da quattro fossati, da una torre e da una rocca. Un saggio di scavo vi ha messo in luce, tra l'altro, un frammento di pocolom con elefante da guerra e iscrizione latina. La via principale discendeva al Biedano con una lunga trincea, scavalcando il fiume con un ponte a tre archi in opera quadrata di tufo, probabilmente del I sec. a.C. La via superava quindi l'opposto ciglio, in direzione di Tuscania (e di Tarquinia, via Torrionaccio), con un'angusta tagliata, la «Cava Buia», profonda fino a 10 m e lunga nel complesso quasi 400 m, tra le più impressionanti d'Etruria. Probabilmente anch'essa del I sec. a.C., a giudicare da due iscrizioni latine scolpite sull'alto delle pareti, è rimasta in uso, come provano altre iscrizioni e simboli, per tutto il Medioevo. In precedenza l'ascesa avveniva con una tagliata più ripida e breve, ma anche più stretta. Si esita a identificare una tale via, percorribile solo a senso unico, con la Clodia, ma finora, nonostante le molte ricerche, non si è riusciti a indicare per la via consolare un percorso più convincente.
Intorno al pianoro della città, sui fianchi scoscesi delle valli del Biedano, del Pile e in parte dell'Acquatta, si estende la grande necropoli di tombe a facciata rupestre di IV-III sec. a.C. La massima concentrazione di tombe si osserva nella valle del Pile, che è stata per questo oggetto di ricerche e scavi sistematici tra il 1969 e il 1981. Nei settori Pile A e B, fronteggianti l'acropoli della città, le tombe si dispongono fino in quattro ordini sovrapposti, creando un paesaggio architettonico di rara suggestione. L'ordine più basso, a livello di fondovalle, è composto prevalentemente da piccole tombe a dado, costruito o appoggiato a massi erratici, mentre negli ordini superiori le tombe sono a semidado o a falso dado, sempre però con terrazza («piattaforma») accessibile con una scala laterale e dotata di cippi infissi per il culto dei defunti. Frequente, secondo un modello verosimilmente di invenzione locale, è la strutturazione della fronte su due piani, con un vano addossato alla facciata inferiore, spesso conformato a portico di colonne tuscaniche, per lo più esteso lateralmente a squadro e con il tetto scolpito a tegole e coppi. Il complesso di maggiore monumentalità è costituito dalle due tombe della gens Smurina (Pile B), con portico in comune di sei colonne e ricco campionario di cippi di nenfro in situ sulle terrazze: i sarcofagi rinvenuti nelle camere postulano una data nel secondo quarto del III sec. a.C. Assai imponente anche la coppia di tombe dei Tetatru, a facciata e vano di sottofacciata unici (Pile C), databile nella seconda metà del III sec. a.C.
Non mancano anche nella valle del Pile arricchimenti scultorei (Tomba delle Tre Teste nel Pile C, così chiamata dalle protomi sovrapposte alla finta porta della facciata; Tomba del Charun nel Pile A, con il demone ritto sulla finta porta), ma non tuttavia paragonabili a quelli di alcune tombe delle valli del Biedano e dell'Acquatta, che si annoverano tra le più significative manifestazioni dell'architettura protoellenistica in Italia centrale: la Tomba Lattanzi e le due Tombe a Tempio o Tombe Doriche. Il motivo del vano porticato assume nella Tomba Lattanzi una dimensione ingigantita e architettonicamente elaborata, con alto podio, colonne alte quasi quanto la facciata, anta contigua alla scala sorretta da un toro (?) accosciato e fregio della trabeazione con grifi contrapposti a motivi vegetali. Inoltre la consueta terrazza sommitale ha per fondale un finto portico tetrastilo con intercolumnì incavati a formare tre recessi intonacati e forse dipinti. La tomba, esplorata nel 1852, conteneva cinque sarcofagi scolpiti, i più antichi dei quali, del tipo a cassa lignea con defunto supino, si datano tra il terzo e l'ultimo quarto del IV sec. a.C. (il che rende solo apparente il proposto confronto con l’Archokràteion di Lindos, di circa un secolo più recente).
Affatto diverse le tombe a tempio, che riproducono realisticamente la facciata di due tempietti distili in antis, con portici però non agibili, in origine distinti ma successivamente unificati dalla scultura a rilievo sulla parete di fondo di un corteo magistratuale sovrastato da armi appese e includente una figura di demone alato. Il fregio dorico della trabeazione alterna normali triglifi a protomi femminili e sottostà a una dentellatura ionica (cfr. il sarcofago di Scipione Barbato). I due frontoni, a volute angolari includenti grandi gorgòneia al posto delle testate dei mutuli, sono tra le prime testimonianze in Etruria del tipo a fondo chiuso, scolpito con storie epico-mitologiche di incerta interpretazione, ma affini a quelle tanto spesso rappresentate sui coevi sarcofagi tarquiniesi. Sia lo stile delle sculture sia la tipologia delle camere nella fase iniziale suggeriscono una datazione verso il 300 a.C.
Dopo il 200 a.C. non si scolpiscono più tombe a facciata ma si continua per buona parte del II sec. a.C. a utilizzare le camere di quelle già esistenti, ampliandole con fosse disposte a «spina di pesce», chiuse talora da coperchi scolpiti. Una tenue ripresa di frequentazione si registra in età augustea e giulio-claudia, con sepolture a cremazione per lo più in nicchie esterne alle camere. Un solitario mausoleo a torre, la c.d. Torraccia, sul pianoro a S della città, nei pressi della via di Blera, è l'unica testimonianza monumentale di età romana avanzata.
N. si ripopola tra l'VIII e il IX sec. d.C., prima come munito insediamento di confine della Tuscia longobarda, poi come luogo di rifugio della popolazione costiera minacciata dalle incursioni saracene. Venuta in possesso della Chiesa, fu rifondata come Castrum da Adriano IV poco dopo la metà del XII secolo. Restano di questa età gli imponenti ruderi della pieve romanica di S. Pietro e del castello, oltre a innumerevoli grotte di abitazione, pestarole, colombaie e vie cave.
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Preistoria: G. Colonna, L'insediamento del Bronzo Finale a Norchia, in Atti della XXI riunione scientifica dell'Istituto Italiano di preistoria e protostoria, Firenze 1977, Firenze 1979, pp. 453-459; A. Guidi, Nuovi dati sulla problematica dell'antica età del bronzo nel Lazio, in Archeologia Laziale II (QuadAEI, 3), Roma 1979, p. 135 ss., fig. 7; A. Cardarelli, Siti del passaggio alla media età nel bronzo nel Lazio, ibid., p. 139 ss.; M. A. Fugazzola Deipino, La preistoria e la protostoria nell'Etruria meridionale, in Archeologia nella Tuscia. Primo incontro dì studio, Viterbo 1980, Roma 1982, p. 78, fig. 2 (Eneolitico); M. Pennacchioni, G. Tozzi, L'industria epigravettiana del Riparo Biedano a Norchia (VT), in M. Liverani (ed.), Studi di paletnologia in onore di S. M. Puglisi, Roma 1985, pp. 647-662 (Paleolitico Superiore); F. di Gennaro, Forme di insediamento tra Tevere e Fiora dal Bronzo finale al principio dell'età del Ferro, Firenze 1986, in part. p. 73; id., Il popolamento dell'Etruria meridionale e le caratteristiche degli insediamenti tra l'età del Bronzo e l'età del Ferro, in Etruria meridionale. Conoscenza, conservazione, fruizione. Atti del Convegno, Viterbo 1985, Roma 1988, pp. 65-67, 78. - Età del Ferro: G. Colonna, Gli scudi bilobati dell'Italia centrale. Il problema dell''anale dei Salii, in ArchCl, XLIII, 1991, pp. 55-63·
Fase etrusca: per le iscrizioni: CIE, 5861-5875, 10429-10440; H. Rix, Etruskische Texte, II, Tubinga 1991, p. 75 ss. - V. inoltre: E. Colonna Di Paolo, Osservazioni sulle tombe a dado con portico di Norchia, in Aspetti e problemi dell'Etruria interna. Atti dell'VIII Convegno di Studi Etruschi e Italici, Orvieto 1972, Firenze 1974, pp. 267-272; J. P. Oleson, Technical Aspect of Etruscan Rock-Cut Tomb Architecture, in RM, LXXXV, 1978, p. 283 ss.; E. Di Paolo Colonna, Norchia: un bilancio delle ultime ricerche, m Archeologia nella Tuscia..., cit., pp. 17-22 (settori Pile Β e C della necropoli); G. Colonna, La tomba dei Velisina a Norchia e la cronologia dei sarcofagi tardo-etruschi, ibid., pp. 23-34; J. P. Oleson, The Sources of Innovation in Later Etruscan Tomb Design (ca. 350-100 B.C.), Roma 1982, passim; E. Colonna Di Paolo, in StEtr, LI, 1985, p. 402 s.; G. Barbieri, ibid., p. 403 s.; ead., Recenti scoperte archeologiche nel comune di Viterbo, in Archeologia nella Tuscia, II. Atti degli incontri di studio organizzati a Viterbo 1984 (QuadAEI, 13), Roma 1986, pp. 117-119; R. Romanelli, Necropoli dell'Etruria rupestre. Architettura, Viterbo 1986, passim; G. Colonna, Corchiano, Narce e il problema di Fescennium, in La civiltà dei Falisci. Atti del XV Convegno di Studi Etruschi e Italici, Civita Castellana 1987, Firenze 1990, pp. 118-122; G. Barbieri, La tomba della donna con i sandali a Norchia: relazione preliminare di scavo, in Informazioni. Periodico del centro di catalogazione dei beni culturali della provincia di Viterbo, II, 1993, 8, pp. 27-30.
Fase romana e medioevale: J. Raspi Serra, Rinvenimenti di necropoli barbariche nei pressi di Bomarzo e Norchia, in BdA, LIX, 1974, pp. 70-88; S. Quilici Gigli, Colombari e colombaie nell'Etruria rupestre, in RIA, s. III, IV, 1981, p. 105 ss., in part. 130-132; L. Quilici, Opifici rupestri nell'Italia centrale in età antica e medioevale, in Atti del XXX Convegno di Studi Maceratesi, Matelica 1985, Macerata 1988, pp. 41-65 (pestarole); id., Le antiche vie dell'Etruria, in Atti del II Congresso Internazionale Etrusco, Firenze 1985, I, Roma 1989, pp. 468-471, nn. 18-22 (Via Clodia e Cava Buia); L. Gasperini, Iscrizioni latine rupestri nel Lazio, I. Etruria meridionale, Roma 1989, pp. 137-140; AA.VV., Atti del seminario su San Vivenzio, in Informazioni, I, 1992, 7, pp. 76-119.