ROSA, Norberto
– Nacque ad Avigliana, fra Torino e Susa, il 3 maggio 1803 da Vincenzo e da Anna Maria Alotto. Poche le notizie sulla sua infanzia e sulla giovinezza, che si svolse però in Val di Susa, dove trascorse quasi tutta l’esistenza.
Le prime prove poetiche furono di stampo satirico, come testimonia il poemetto Ij cativ médich (I cattivi medici), in ottave, espressione di una sfiducia nei confronti del sapere dei medici, probabilmente ispirata all’avidità di quello che aveva assistito il padre di Norberto fino alla morte. Il poemetto, che apparve senza data (ma redatto nel 1832) per i tipi della Stamperia di Gerolamo Gatti di Susa, faceva già uso di quel dialetto piemontese in funzione comico-satirica che sarebbe stato un tratto distintivo della sua prima produzione.
Il poemetto aprì la strada alla versificazione in dialetto, come testimonia la presenza di Rosa nel Saggio sui dialetti gallo-italici di Giovenale Vegezzi-Ruscalla (1835) e nella rivista Parnas Piemonteis, che cominciò le sue uscite a Torino a partire dal 1832, stampata dal tipografo Fodratti. Fra il 1835 e il 1839 la rivista pubblicò circa una sessantina di componimenti di Rosa, fra sonetti, versi d’occasione, odi, favole, epigrammi e canzoni. Fra questi La miseria (sul numero del 1836), la canzone Machina pr arculè ’l mond ossia vailo contè a mia nona (1837), Viagi an cocagna (1838), adattamento del Voyage au pays de Cocagne di P.J. de Béranger, La plebe dël Parnas. Canson, satira contro i presunti poeti («poeti dla malora») della sua età. Di questi anni anche una riscrittura in versi e in dialetto del Don Chisciotte (Don Chissiòt), in due canti, che apparve sempre su due numeri del Parnas, rispettivamente nel 1836 e nel 1837.
Adottando lo schema metrico dell’ottava, il poema, che conteneva tanto di invocazione alla Musa (cui il poeta chiedeva un boccale d’acqua benedetta che facesse diventare poeta all’istante), guardava certo all’esempio dell’eroicomico, anche quello dialettale che si era diffuso a Napoli e a Roma nel Seicento. Sempre sul Parnas apparvero alcune favole (Fàule) che riscrivevano in dialetto (come precisato da Rosa nel Prologo) quelle di Esopo: La volp e la mascrada, La farfala e la lumassa, L’aso e l’òm, La ran-a e ’l beu, El can fedel, La volp e l’uva, Ël gal e ’l diamant, La galin-a dj’euv d’òr, Ël pin e ’l pom-granà, L’òm e la serp, Ël giari e l’elefant, Lë lion vej, Ël cornjass e ij pavon, Ël consej dij rat.
Il passaggio dal dialetto alla lingua è databile al 1840. In quest’anno pubblicò le sestine piemontesi Le strade ferrate per i tipi della Tipografia Chirio e Mina di Torino, ma anche le rime giocose (in italiano) Il buon montone per i tipi della Tipografia Gatti. In italiano è pure il sonetto La riforma musicale sul Messaggiere torinese del 16 ottobre 1841.
Prendendo spunto dalla proposta di Emanuele Gambale (nell’opuscolo La riforma musicale riguardante un nuovo stabilimento di segni e di regole per apprendere la musica), che proponeva una scala musicale di dodici semitoni, definiva ironicamente il suo fautore uno che aveva saputo intendere il «progresso» e «inganni» quelli che aveva utilizzato per ampliare il numero delle note.
Riprese la scrittura in dialetto per comporre la poesia I piasì, una delle sue più note, nel 1844.
Allo scoppio della prima guerra d’indipendenza compose una canzone guerresca dal titolo Italia ed Austria, nota anche come Inno dei Piemontesi, che apparve anonima su fogli volanti e fu in seguito attribuita a Rosa da Luigi Collino nella sua Storia della poesia dialettale piemontese (Torino 1924).
Dopo un piccolo periodo di silenzio e inattività scrittoria, durante il quale ricoprì il ruolo di deputato in Parlamento e fu provveditore agli Studi, tornò al dialetto con il Panegirich d’san Martin, edito dalla Tipografia di Spirito Cravotto, di Susa, nel 1848. Divenne redattore della Gazzetta del Popolo e collaborò al Fischietto, cui indirizzò pressoché quotidianamente per lo più poesie.
Nel 1849 riunì i testi apparsi fino a quel momento sul Messaggiere Torinese nei due volumi Poesie e prose edite e inedite, che videro la luce presso lo Stabilimento Tipografico Fontana di Torino.
Nella dedica ai lettori, Rosa definiva i suoi testi delle «bazzecole» e concludeva con un «viva l’Italia». Fra i componimenti raccolti era anche I due asini, in sestine, costruito assemblando e parodiando versi della tradizione poetica italiana, originariamente apparso in un opuscoletto per i tipi della Tipografia Elvetica di Capolago nel 1845.
Dedito già da qualche anno alla stesura di testi d’occasione (fra cui le sestine giocose Nelle nozze della damigella Onorina Balba da Susa coll’avvocato Pietro Buggino da Torino, 1847), ne redasse uno in Toscana, il sonetto Nissun fiore senza insetti, che reca la data 1852. A questo ne seguirono altri, fra cui uno che chiedeva agli austriaci di abbandonare il suolo italiano. Dello stesso anno è un sonetto che auspicava l’accettazione legale del matrimonio civile, Tanto per chiacchierar col Cancelliere, che spedì da Firenze il 4 aprile e fu pubblicato sei giorni dopo sulla Gazzetta del Popolo.
Di poco successivi sono il sonetto satirico (in italiano) dal titolo L’incoronazione, che prendeva spunto da quella di Napoleone III, sul Fischietto del 18 marzo 1853, nonché un’ode in dialetto, In morte di Napoleone Bonaparte, echeggiante, nel metro così come nelle scene descritte nelle singole strofe, il Cinque maggio di Alessandro Manzoni, sul Fischietto del 10 settembre di quell’anno. Il 23 novembre sulla Gazzetta del Popolo commemorò con un sonetto Vincenzo Gioberti (scomparso da più di un anno), di cui ricordava il passaggio a Susa nel 1833.
Testimone degli avvenimenti storici del suo tempo, si diede a comporre epigrammi: uno sulla guerra d’Oriente (9 ottobre 1854), due sul ritorno di Pio IX a Roma (sulla Gazzetta del Popolo del 19 e del 23 aprile 1855), altri sulla nascita di Napoleone IV (21-25 marzo 1856). A quest’ultimo dedicò anche un’ode in italiano che riprendeva il metro e, parodiandole, talune immagini e l’andamento del Natale di Manzoni.
A partire dal 6 novembre 1854 aveva preso a pubblicare, in maniera irregolare, una serie di ottave sulla Gazzetta del Popolo (la pubblicazione si sarebbe interrotta il 7 settembre 1861). Esse erano parte di un progettato poema dal titolo La divina ed umana commedia. Poema balzano (i canti alla fine sarebbero stati ventisei), in cui Rosa parlava di tutto, spesso senza apparente connessione logica, anche dei letterati suoi contemporanei.
In una lettera del 23 luglio 1856 a Felice Govean propose di raccogliere fondi per dotare la città di Alessandria di difese adeguate contro gli attacchi austriaci. L’iniziativa, che destò la riprovazione dei giornali clericali, fra cui Armonia (cui Rosa rispose con il sonetto Dunque il giornal che tutto il giorno raglia, sulla Gazzetta del Piemonte del 29 luglio), portò alla raccolta di una somma che, versata alla Tesoreria generale dello Stato, fu impiegata per la fusione di 127 cannoni.
Il 1857 fu un anno assai produttivo e si segnalano numerosi scritti sulla Gazzetta del Popolo. Il 10 gennaio scrisse versi a sfavore della metafisica più difficile. Tre giorni dopo pubblicò una sestina velenosa per Alphonse de Lamartine (In difesa di Lamartine), che aveva espresso riserve sul valore letterario della Commedia dantesca. Il 20 gennaio manifestò in una serie di ottave dedicate alle poetesse Luigia Emanuel e Agata Sofia Sassernò la sua idea, un po’ alfieriana e un po’ risorgimentale, di poesia di impegno civile, che traeva la sua forza e la sua santità dal fatto di mettere a nudo le colpe dei tiranni e invitava la patria a rialzarsi. A partire dal 4 febbraio cominciarono a uscire le sue sestine sul matrimonio civile, che auspicava e chiedeva con insistenza da tempo (l’ultima sestina sarebbe apparsa il 6 luglio). Esse sono parte di quello spirito anticlericale che Rosa aveva maturato da qualche tempo e di cui costituiscono un esempio i versi irriverenti su Antonio Bresciani. Il 26 marzo salutò la pubblicazione del romanzo L’asino di Francesco Domenico Guerrazzi; cinque giorni dopo ne pubblicò un’apologia, mentre il 2 aprile dedicò alcuni versi elogiativi allo scrittore e politico livornese. Sempre del 1857 è il sonetto, che uscì sulla Gazzetta del Popolo del 2 ottobre, che accompagnava l’invio di 5 lire come contributo alle onoranze funebri che si stavano per tributare a Daniele Manin (morto quell’anno). Rosa, con la consueta ironia e versi improntati a gustoso prosaicismo, dichiarava di preferire, per il patriota veneziano, un busto invece di esequie in pompa magna; argomento che avrebbe ripreso in un sonetto sulla Gazzetta del Popolo del 18 febbraio dell’anno dopo. Sempre nel 1857 espresse la propria antipatia nei confronti della figura di Giuseppe Mazzini, all’interno della Divina ed umana commedia. Nel corso dello stesso anno rinsaldò la sua amicizia con il letterato piemontese Angelo Brofferio, la cui conoscenza lo aveva portato a prediligere una poesia di impegno morale e civile.
Nel 1858 scrisse un sonetto caudato sul guardasigilli Giovanni De Foresta, cui seguirono altri testi del medesimo tenore, fra cui La legge Deforesta (29 aprile 1858) e Or che la fatal legge Deforesta (10 maggio 1858). Nello stesso anno, il 30 aprile, scrisse un sonetto caudato Alla città di Arezzo (sulla Gazzetta del Piemonte), in cui chiedeva un monumento funebre per il poeta bernesco Antonio Guadagnoli.
Tornò a rivolgersi al pontefice, chiedendogli di rimandare a casa i francesi, nel sonetto italiano Un consiglio a Pio IX, apparso sulla Gazzetta del Popolo il 24 settembre 1860. L’anno successivo, il 2 aprile, parodiò lo schema della Risurrezione manzoniana per scrivere un inno dal titolo La risurrezione d’Italia firmandosi «un garibaldino».
Morì a Susa il 24 giugno 1862.
Fonti e Bibl.: R. Formica, In Beozia... Scorribande traverso il Piemonte letterario, I, N. R., Torino 1929; N. Rosa, Il mio individuo e altre memorie, a cura di R. Formica, Torino 1930; G. Bellagarda, N. R. e «I cattivi medici», Torino 1973; C. Chiodo, La satira nel Risorgimento italiano..., Roma 1987; N. Rosa, Poesìe piemontèise, a cura di C. Brero, Torino 1988; D.L. Pasero, N. R. e ij modej clàssich, in Segusium, 1989, n. 26, pp. 5-19; Id., N. R. di Susa: poeta, filosofo, patriota, in Rëscontr antërnassional dë studi an sla lenga e la literatura piemontèisa... 1990, Alba 1991, pp. 101-128; N. R. Due città e una voce, a cura di M. Bonavero et al., Borgone di Susa 2011.