Norberto Bobbio
Norberto Bobbio è stato uno dei più influenti intellettuali italiani del 20° secolo. Per più di cinquant’anni, i suoi scritti sono stati oggetto di dibattiti, controversie, analisi critiche, elogi diffusi. L’arco dei suoi interessi accademici e culturali e della sua produzione scientifica è stato amplissimo, spaziando dai primi originari studi di diritto alla storia del pensiero politico, dalla filosofia politica alla scienza politica. Oltre che dai suoi contributi scientifici, la sua fama deriva dall’intensa presenza nel dibattito culturale e delle idee, ma anche politico. Le sue lucide prese di posizione su una pluralità di temi ne fecero la coscienza civile dell’Italia repubblicana. In quanto tale fu fortemente contrastato, ma non emerse mai un interlocutore all’altezza della sua cultura e della sua statura morale e intellettuale.
Norberto Bobbio nacque il 18 ottobre 1909 a Torino, in una famiglia benestante della borghesia conservatrice della città. Frequentò il molto prestigioso liceo classico Massimo D’Azeglio, dove ebbe professori importanti, fra i quali, Augusto Monti (1881-1966), Umberto Cosmo (1868-1944), Zino Zini (1868-1937) e il giovane supplente Franco Antonicelli (1902-1974), e compagni, culturalmente e politicamente già molto attivi, che sarebbero diventati ugualmente famosi, come Vittorio Foa, Leone Ginzburg, Massimo Mila e Giancarlo Pajetta.
Giovanissimo si laureò in giurisprudenza nel 1931 con Gioele Solari e in filosofia nel 1933 con Annibale Pastore. Iniziò la carriera accademica nel 1935 a Camerino. La proseguì a Siena per approdare come professore ordinario di filosofia del diritto nel 1940 a Padova. In quegli anni si avvicinò al movimento Giustizia e Libertà dando il suo contributo alla guerra di Resistenza. Entrò nel Partito d’azione accettandone la candidatura al Parlamento nel 1946. Fu quella la sua unica, fallita, esperienza di politica attiva. Risalgono a quel periodo le sue prime elaborazioni teoriche del liberalsocialismo che improntarono tutta la sua successiva riflessione politica.
Nel 1948 venne chiamato alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Torino dove insegnò filosofia del diritto, e negli anni Sessanta anche scienza della politica, fino al 1972, quando si trasferì alla cattedra di filosofia della politica nella neonata facoltà di Scienze politiche della quale divenne anche preside. Professore emerito a partire dal 1979, si dichiarò sempre orgoglioso di avere praticato il «mestiere dell’insegnante». A lungo direttore, unitamente a Nicola Abbagnano, della «Rivista di filosofia», nel 1976 iniziò un’intensa attività di editorialista per «La Stampa», il quotidiano della sua città. Socio nazionale dell’Accademia dei Lincei, insignito di numerose lauree honoris causa, vincitore del prestigioso premio Balzan, nel luglio 1984 fu nominato senatore a vita per meriti culturali dal presidente della Repubblica Sandro Pertini. Si iscrisse come indipendente al gruppo parlamentare socialista. Morì a Torino il 9 gennaio 2004.
Qualsiasi scansione degli scritti di Bobbio non soltanto appare arbitraria e discrezionale, ma rischia di dare sistematicità a un’opera intellettuale molto intensa e feconda che Bobbio stesso riteneva e, probabilmente, voleva tanto ricca e articolata quanto eclettica e variegata, da non ricondursi a un unico filone di interessi. Per quanto inizialmente molto significativi e mai del tutto abbandonati nel corso del tempo, gli studi più propriamente giuridici di Bobbio sono passati, e rimasti, in secondo piano. Il modo migliore di presentare e organizzare la sua enorme produzione scientifica e anche pubblicistica di alto livello (se ne veda la bibliografia, inevitabilmente non aggiornata, curata in modo certosino da Carlo Violi) consiste, a mio parere, nell’individuare tre grandi ambiti: il ruolo degli intellettuali; la ricerca di una teoria generale della politica; le riflessioni sulla democrazia. All’interno di ciascuno di questi ambiti, Bobbio ha spaziato con approfondimenti, spesso mirati, qualche volta occasionali, che hanno sempre spinto l’analisi verso nuove frontiere.
«Il compito degli uomini di cultura è più che mai oggi quello di seminare dubbi, non di raccogliere certezze». Questa frase è l’incipit di Politica e cultura (1955, p. 15), la raccolta di saggi che comprende soprattutto i suoi scambi con alcuni intellettuali comunisti di spicco e con lo stesso segretario del Partito comunista italiano, Palmiro Togliatti. Sostanzialmente, Bobbio rimase sempre coerente con la prospettiva che delineava in quel libro, quasi compiacendosi della sua propensione, ma anche della sua capacità, di suscitare dubbi, e della riluttanza, anzi, volontà di non fornire certezze. L’intellettuale non può decidersi che
per i diritti del dubbio contro le pretese del dogmatismo, per i doveri della critica contro le seduzioni della infatuazione, per lo sviluppo della ragione contro l’impero della cieca fede, per la veridicità della scienza contro gli inganni della propaganda (p. 16).
Questo abito mentale, spesso oscillante fra un rigoroso realismo e un severo pessimismo (anche della volontà, come scrisse nel 1986 a p. 252 del volume curato da Luigi Bonanate e Michelangelo Bovero, Per una teoria generale della politica), informa quasi tutta la produzione scientifica di Bobbio, in particolare le sue analisi dei comportamenti degli uomini e del corso della storia, nella quale il progresso morale fa molta fatica ad affermarsi.
La ricostruzione critica del pensiero e dell’azione di «maestri e compagni» della sua lunga vita costituisce un altro ambito di eccellenza della riflessione di Bobbio sugli intellettuali. I profili di – per citare soltanto alcuni nomi – Piero Calamandrei, Leone Ginzburg, Gaetano Salvemini (noterò criticamente che non compare in questa pure affollata galleria nessuna donna tranne Ada Gobetti, al cui marito Piero è dedicato un intero volume: Italia fedele: il mondo di Gobetti, 1986) sono stati tracciati in una pluralità di occasioni, ma in special modo come discorsi commemorativi. In maniera tanto errata quanto esagerata, alcuni critici hanno stigmatizzato il tentativo, riuscito, di Bobbio di mettere in risalto l’esistenza di un’Italia civile, fatta di impegno e di sacrifici, contro il fascismo e a sostegno di una certa idea di democrazia. Tutti questi profili si raccomandano perché in maniera sempre sobria, anche se spesso commossa e partecipe, Bobbio non si limita affatto a dare importanti notizie sulla vita di coloro che vengono così celebrati, ma con pochi tratti nitidi ricostruisce ambienti, luoghi, periodi storici. In effetti, questi suoi saggi, seppur nella loro brevità, costituiscono un contributo di altissimo livello alla storia culturale e politica dell’Italia del 20° secolo. Che l’argomento del ruolo, dell’influenza, dei compiti degli intellettuali e della cultura rappresentasse e facesse parte di un interesse tutt’altro che episodico e occasionale è provato sia da un eccellente volume sulla cultura a Torino, Trent’anni di storia della cultura a Torino (1920-1950), del 1977 (Bobbio era infatti molto fiero della sua città e dei valori che le vengono abitualmente associati: senso civico, partecipazione, sobrietà e senso della misura compendiati nella celebre frase: «esageruma nen»), sia dal volume che molti considerano il suo prodotto qualitativamente migliore, certamente finora non eguagliato: il Profilo ideologico del Novecento italiano (1969, nuova ed. 1986).
Neppure la riflessione su quanto avevano detto e fatto gli intellettuali italiani da lui celebrati lo indusse a moderare il suo pessimismo di fondo e a «riabilitare» la speranza.
Le virtù del laico sono altre: il rigore critico, il dubbio metodico, la moderazione, il non prevaricare, la tolleranza, il rispetto delle idee altrui, virtù mondane e civili (Per una teoria generale della politica, cit., p. 253).
Sono queste le virtù che metteva in evidenza, apprezzava e lodava nei numerosi ritratti di «maestri e compagni» che rappresentavano quella che ai suoi occhi era un’altra Italia, l’Italia civile. Qui incontriamo il filosofo militante, quello che, come Bobbio definì Carlo Cattaneo, impegna se stesso e le sue qualità intellettuali al perseguimento di un obiettivo non particolaristico, ma di miglioramento e di benessere generale del sistema.
La filosofia militante che ho in mente è una filosofia in lotta contro gli attacchi, da qualsiasi parte provengano – tanto da quella dei tradizionalisti come da quella degli innovatori – alla libertà della ragione rischiaratrice (Politica e cultura, cit., p. 16).
La lotta di un intellettuale nient’affatto disinteressato degli avvenimenti del suo tempo, sempre incline a dire la verità ai potenti, che non escluse mai il dialogo. Il liberalsocialista Bobbio continuò un confronto serrato, senza concessioni e senza cedimenti, con i comunisti fino al crollo del muro di Berlino. Da un lato, Bobbio intervenne negli avvenimenti politici che riguardavano il PCI, ma anche il PSI. In particolare, dopo la defenestrazione di Nikita S. Chruščëv nell’ottobre 1964, egli invitò i comunisti a sciogliere il loro partito e a costruire insieme al Partito socialista italiano un grande Partito dei lavoratori. Dall’altro, andò a colpire le inadeguatezze e le insufficienze della teoria politica marxista con i testi presentati in Quale socialismo? (1976). Questo piccolo libro, ampiamente, ma poco convincentemente, dibattuto da dirigenti e intellettuali comunisti, mette in evidenza la mancanza di una teoria marxista dello Stato.
Bobbio non fu mai un compagno di viaggio o di strada del Partito comunista, ma venne accusato di essere troppo indulgente nei confronti del PCI, il cui fondamentale Paese di riferimento politico, l’Unione Sovietica, era un esempio tragico di totalitarismo. In verità, i critici di Bobbio volevano colpire con lui tutto il pensiero azionista e i suoi rappresentanti, in special modo quelli torinesi, Foa e Alessandro Galante Garrone, accusandoli di intransigenza a senso unico, di arroganza intellettuale e di presunzione moralista, di insopportabile e immotivata espressione di superiorità. Quando, poi, Bobbio ammise di vergognarsi di avere scritto una lettera ossequiosa al capo del fascismo per non essere punito e discriminato nella sua già brillante carriera universitaria, i critici suoi e dell’azionismo ebbero carta bianca nel bollare per incoerenza colui che, nel dopoguerra, era assurto, proprio per la sua statura intellettuale e morale, a maestro riconosciuto dell’antifascismo. Proprio perché la diatriba, intellettuale, culturale, politica, fascismo/antifascismo non può considerarsi conclusa nel contesto italiano, Bobbio ritenne che compito permanente degli intellettuali fosse la riflessione sulla democrazia.
Una delle qualità di Bobbio è consistita nel sapere cogliere con immediatezza il segno dei tempi. In verità, anche se molto tempestivi, nessuno dei suoi saggi di cultura politica, di analisi politica e di teoria politica fu mai occasionale. Al contrario, tutti avevano un retroterra di interesse, di letture e di approfondimenti, ma, al momento della loro pubblicazione, rappresentarono anche una risposta a interrogativi e a preoccupazioni molto diffuse. Nello stile di Bobbio, però, più che di una risposta si deve parlare di un contributo a chiarire la complessità del problema. Questo è il caso di entrambi i suoi libri (Il futuro della democrazia, 1984, e Destra e sinistra, 1994) che ebbero maggiore successo e diffusione e che, seppure in modo diverso, hanno segnato e orientato la discussione per molti anni.
All’inizio degli anni Ottanta del secolo scorso, la democrazia sembrava presentare una molteplicità di inconvenienti. Molte erano le critiche che le venivano rivolte sia con riferimento alla sua ridotta funzionalità sia, addirittura, con riferimento alla sua strutturazione. Insoddisfazione, malessere democratico, sovraccarico di domande: le democrazie occidentali sembravano entrate in crisi.
Bobbio si era variamente occupato di tematiche contigue, come, ad es., la teoria delle élites e della classe politica e le modalità democratiche di votazione, non soltanto il principio della maggioranza. Aveva già anche scritto l’ampia voce Democrazia per la prima edizione del Dizionario di politica (1976). Fra gli autori da lui preferiti si collocava uno dei grandi teorici del diritto e della democrazia (parlamentare, fondata sui partiti, proporzionalistica), il giurista austriaco, nato a Praga, Hans Kelsen (1881-1973). Quando raccolse alcuni suoi saggi in Il futuro della democrazia (1984, poi, ripubblicato un paio di volte nel decennio successivo), il problema che lo preoccupava maggiormente era quello delle «promesse non mantenute» della democrazia. Ne individuò sei: 1) la sovranità degli individui espropriata dal pluralismo dei corpi e dei gruppi intermedi; 2) la rappresentanza politica schiacciata dalla rappresentanza degli interessi; 3) la non eliminazione delle oligarchie; 4) la mancata democratizzazione di molte strutture (burocrazia e forze armate, ma anche le scuole e le fabbriche); 5) la sconfitta della trasparenza a fronte del potere invisibile, degli arcana imperii; 6) l’incompiuta crescita culturale del cittadino democratico.
È importante rimarcare come il filosofo della democrazia procedurale (chi è autorizzato a prendere le decisioni collettive e con quali procedure, Il futuro della democrazia, cit., p. 4) in alcune promesse sposti l’attenzione dalle regole e dalle procedure alla sostanza, a quanto cioè la democrazia offre e produce. Bobbio stesso si chiede: «Ma erano promesse che si potevano mantenere?», rispondendo «direi di no» (p. 21). Appare anche lecito chiedersi se quelle contenute nella definizione di democrazia da lui formulata siano effettivamente promesse o non siano piuttosto problematiche alle quali le democrazie realmente esistenti danno di volta in volta soluzioni mutevoli e mai definitive. Gli avvenimenti successivi, in particolare la caduta del muro di Berlino nel novembre 1989, aprirono grandi spazi a processi di democratizzazione sia nell’Europa centro-orientale sia in molti Paesi asiatici. Il futuro della democrazia apparve più promettente rispetto a quello temuto da Bobbio, anche se la qualità delle democrazie colà recentemente affermatesi destava giustamente più di una preoccupazione.
È Bobbio stesso che effettua un collegamento molto stretto fra la democrazia, la pace e i diritti:
il riconoscimento e l’effettiva protezione dei diritti dell’uomo stanno alla base delle costituzioni democratiche moderne. La pace è, a sua volta, il presupposto necessario per il riconoscimento e l’effettiva protezione dei diritti fondamentali all’interno dei singoli Stati e nel sistema internazionale. Nello stesso tempo il processo di democratizzazione del sistema internazionale, che è la via obbligata per il perseguimento dell’ideale della ‘pace perpetua’, nel senso kantiano della parola, non può andare avanti senza una graduale estensione del riconoscimento della protezione dei diritti dell’uomo al di sopra dei singoli stati (De senectute e altri scritti autobiografici, 1996, p. 165).
Non soltanto le tre tematiche si tengono insieme, ma, dato il modo di lavorare di Bobbio, gli articoli, i saggi, le conferenze, gli interventi in materia di diritti, di democrazia, di pace (e guerra) si sono rincorsi, incrociati, sovrapposti fino a essere raccolti in tempi diversi in libri diversi.
Gli articoli sulla pace e sulla guerra (Il problema della guerra e le vie della pace, 1979) hanno avuto una precedenza temporale rispetto agli scritti sui diritti. Sono di impianto kantiano. Rifiutano il pacifismo assoluto e argomentano la necessità e la possibilità che una pace perpetua venga costruita attraverso l’attività di Repubbliche democratiche che collaborano fino a federarsi. Contengono insegnamenti essenziali quali che non vi è pace senza giustizia sociale e che l’ordine nella repressione e nell’oppressione non è mai definibile ed equiparabile alla pace; che non esistono guerre giuste, ma guerre giustificate e giustificabili. Riconoscono l’inevitabilità del ricorso alla violenza in alcune situazioni e il diritto alla resistenza: «Certamente, l’uomo non può rinunciare a combattere contro l’oppressione, a lottare per la libertà, per la giustizia, per l’indipendenza» (Il problema della guerra, cit., p. 14). Affermano anche il diritto all’obiezione di coscienza contro l’eventualità di una guerra atomica. Al proposito, va aggiunto che Bobbio valuta positivamente tutte le forme e le modalità non violente di disobbedienza civile a una condizione dirimente, vale a dire che i disobbedienti siano disposti a pagare il prezzo della violazione delle leggi vigenti.
Il discorso sui diritti è condotto seguendo la loro progressiva espansione ed estensione: dai diritti civili a quelli politici, a quelli sociali, a quelli di nuova generazione, delle generazioni future, ad es., relativi allo sviluppo sostenibile e all’ambiente, fino ai diritti, nel senso più lato del termine, umani. Anche in questo caso, la chiave di lettura e d’interpretazione è kantiana e, nonostante, lo scetticismo di Kant e il non-ottimismo di Bobbio, culmina nella presa d’atto che sul tema dei diritti dell’uomo, è possibile cogliere «un segno del progresso morale dell’umanità» (L’età dei diritti, 1990, p. 65).
A partire dal 1976, Bobbio iniziò l’intensa attività di editorialista per «La Stampa». Le raccolte di tutti i suoi articoli sono disponibili in diversi volumi. Rivelano come la ricchezza del suo pensiero e della sua cultura politica si ripresenti e trasferisca con grande successo nella chiarezza e nella linearità dei commenti riguardanti fatti politici nazionali e internazionali. A più stretto contatto con l’attualità, Bobbio accentuò la sua riflessione sulla storia e sulla politica italiana, sulla Costituzione, da difendere e da attuare, non da riformare in maniera episodica e improvvisata, sui valori della Repubblica.
Appartiene a questa fase la pubblicazione di un vero e proprio libro non preceduto da elaborazioni preliminari, dedicato alla possibilità o meno di definire destra e sinistra e di distinguerle con criteri univoci e convincenti, Destra e sinistra. Ragioni e significati di una distinzione politica (1994), il quale ebbe un successo immediato in termini di vendite e di critiche che, con grande sorpresa dell’autore, si sarebbe rivelato duraturo (riedizioni nel 1995, 1999, 2004). Gli echi del dibattito internazionale, segnato dalle preoccupazioni di molti intellettuali sull’incerto futuro della sinistra, ripetutamente sconfitta in molte elezioni nelle più importanti democrazie occidentali, giungevano fievoli nel contesto italiano. Il quesito «What is Left?», al tempo stesso, «che cosa è sinistra» e «che cosa è rimasto», era, comunque, politicamente e analiticamente importante.
Sollecitato dalle numerose dichiarazioni di irrilevanza e indeterminatezza della distinzione, Bobbio procedette con il suo abituale metodo diadico o dicotomico alla ricerca dei criteri che consentissero un’effettiva differenziazione fra destra e sinistra. La sua proposta dell’eguaglianza come criterio distintivo suscitò un dibattito intenso e aspro, sia nella destra sia nella sinistra a riprova, sottolineò ironicamente Bobbio, dell’esistenza di entrambe.
Il criterio più frequentemente adottato per distinguere la destra dalla sinistra è il diverso atteggiamento che gli uomini viventi in società assumono di fronte all’ideale dell’eguaglianza (p. 119).
La sinistra, sostiene Bobbio, mira a ridurre le diseguaglianze e a perseguire e conseguire l’eguaglianza, mentre la destra prende atto dell’esistenza di diseguaglianze e può giungere a valutarle positivamente come premessa e come esito della competizione sociale ed economica. Bobbio aggiunge che il concetto di eguaglianza chiama in causa tre variabili: «a) i soggetti tra i quali si tratta di ripartire i beni o gli oneri; b) i beni o gli oneri da ripartire; c) il criterio in base al quale ripartirli» (p. 120). Bobbio non procederà nella direzione dell’approfondimento delle modalità con le quali i beni e gli oneri sono ripartiti, compito precipuo degli economisti e dei politologi. Non si chiederà neppure quali criteri (tentativamente: merito, bisogno, lavoro, rango, talento) utilizzare per soddisfare le esigenze dell’eguaglianza: «eguaglianza fra chi, eguaglianza in che cosa, eguaglianza con quale criterio?» (introduzione all’edizione del 1999, p. 43). Con forza sottolineerà, collocando Jean-Jacques Rousseau al polo dell’eguaglianza e Friedrich Nietzsche a quello della diseguaglianza, che l’egualitarismo è la stella polare della sinistra. Con una leggera forzatura, dichiarò di aderire anche lui, liberalsocialista, a questa concezione-aspirazione.
Pur senza rinunciare ai suoi frequenti e puntuali interventi giornalistici sullo stato della politica in Italia, Bobbio, l’intellettuale pubblico, conclude, con Destra e sinistra, la sua riflessione sui grandi temi della politica. L’ultima parte della sua vita la dedicò alla stesura dell’Autobiografia e alla considerazione filosofica, lucida e amara, sulla vecchiaia, quella fase della vita nella quale non si possono più fare progetti. Nella quale persino i migliori bilanci, e certamente quello di Bobbio non poteva non essere tale, vengono turbati dalla consapevolezza che si poteva fare di più, si poteva fare meglio.
Qualsiasi valutazione complessiva di un’attività scientifica e di una produzione letteraria tanto vasta e variegata come quelle di Bobbio presenta enormi difficoltà. Bobbio stesso sottolineava con compiacimento, ma anche con una punta di autorimprovero, il suo eclettismo, la sua frequentazione con una forse eccessiva pluralità di tematiche, la sua dispersione. Non sarebbe, pertanto, corretto andare alla ricerca di un filo, più o meno rosso, che tenga insieme artificialmente tutto quanto da lui scritto. Più precisamente, la formulazione di una teoria generale non ha mai costituito l’obiettivo principale di Bobbio. Raccogliendo in volume quattro voci scritte per l’Enciclopedia Einaudi, Bobbio scelse come titolo Stato, governo, società (1985) e vi appose come sottotitolo Per una teoria generale della politica a segnalare che si trattava soltanto di un passo, ancorché molto significativo, in quella direzione.
Ancora nel 1986 a epilogo del volume dedicatogli da colleghi e allievi (il citato Per una teoria generale della politica), Bobbio scrisse «sono rimasto fermo al frammento rispetto alle parti, all’abbozzo rispetto all’intero» (p. 249). Inoltre, molti dei più importanti contributi di Bobbio allo studio della politica e dei suoi cultori non sono affatto ‘teorici’. Da un lato, con la sua prosa semplice e limpida, Bobbio eccelle nella chiarificazione del pensiero di alcuni dei più grandi studiosi della politica, quella che chiamava la lezione dei classici: da Hobbes (per il quale dichiara una preferenza molto marcata) a Rousseau, da Hegel a Marx, da Kelsen a Weber, da Cattaneo a Gramsci. Dall’altro, a nessuno di loro ha dedicato un libro pensato e costruito come una summa del loro pensiero. Spiccano, peraltro, le raccolte di saggi dedicati a Thomas Hobbes (1989), a Georg Wilhelm Friedrich Hegel (Studi hegeliani. Diritto, società civile, Stato, 1981), a Gramsci e la concezione della società civile (1976), a Carlo Cattaneo (Una filosofia militante, 1971).
La mia chiave di lettura e di apprezzamento ruota intorno al compito che egli si era consapevolmente assegnato e al ruolo che gli avvenimenti gli hanno affidato. Bobbio ha sicuramente scelto di essere un filosofo militante e ha interpretato questo compito con riferimento alla scelta, molto meno occasionale di quanto alcuni hanno sostenuto, dei temi che ha trattato, al metodo e allo stile. I filosofi militanti non scelgono una parte o un partito politico e li blandiscono. Al contrario, non fanno mistero della parte nella quale militano, ma, non solo a quella parte, rivolgono le loro critiche. Cercano di parlare parole di verità, senza concessione alcuna. Nella confusione di Babele dei linguaggi manipolati dai politici e dagli intellettuali partigiani, più o meno organici, il metodo dei filosofi militanti consiste, soprattutto, nella chiarezza del linguaggio e nell’analisi concettuale. Entrambe queste operazioni riscuoteranno successo se chi le pratica avrà imparato correttamente la lezione dei classici.
Le parole e i concetti della filosofia e della politica hanno una storia che non può essere cancellata e che merita di essere imparata. La rilettura dei classici a opera di Bobbio serve, non soltanto in sé, per imparare, ma anche per trarre modelli interpretativi da sottoporre al controllo delle «dure repliche della storia». Il filosofo militante affronta di petto i problemi del suo tempo e ne identifica tutte le criticità. Il filosofo militante è, al tempo stesso, realista e pessimista. Esprime dubbi quasi ‘sistematici’ per rendere più profonda la riflessione. Bobbio filosofo militante è stato un interprete di assoluto rilievo della storia del 20° sec., cogliendo l’essenziale dei regimi politici, dal fascismo al comunismo alla democrazia. Ha esplorato le condizioni e le promesse della democrazia. Ha seguito l’evoluzione dei diritti che sono tanta parte delle democrazie realizzate. Si è confrontato con i problemi della guerra e della pace. Lo ha fatto con riferimento a una certa idea di democrazia compiuta ed evidenziandone tutte le difficoltà e le inadempienze. Profondamente inserito nel contesto italiano, è stato anche un grande, forse il maggiore, interprete della storia culturale prima che politica, peraltro, tutt’altro che assente dalle sue riflessioni, dell’Italia contemporanea. I ritratti dei «maestri e compagni», incontrati in una vita lunga e densa, illuminano una certa idea d’Italia, di un’altra Italia, possibile, ma minoritaria. Le riflessioni e le considerazioni di Bobbio, oltre al suo stile nel confronto, nel dialogo, nella vita, elemento tutt’altro che marginale, ne hanno fatto la coscienza critica dell’Italia, almeno di una sua larga, ancorché sicuramente non maggioritaria, parte.
I critici hanno sostenuto che l’opera di Bobbio è fondamentalmente quella di un organizzatore e di un sistematore di conoscenze già acquisite, di un chiarificatore piuttosto che quella di un pensatore originale e innovatore. La sua fortuna editoriale e culturale, in special modo in America Latina e in Spagna, oltre che, ovviamente, in Italia, ma anche, seppur più limitatamente, nel mondo filosofico anglosassone, suggerisce che le conoscenze da lui ‘sistemate’ in maniera efficace, le analisi da lui formulate, gli interrogativi da lui sollevati mantengono la loro validità nel presente e per il futuro. Grazie all’opera di Bobbio, filosofo militante e interprete informato e acuto, il 20° sec., con le sue tragedie e con le sue problematicità, ma anche con le sue acquisizioni civili e sociali, risulta illuminato e continua a offrire insegnamenti da non dimenticare.
Politica e cultura, Torino 1955.
Profilo ideologico del Novecento italiano, Milano 1969, nuova ed. Torino 1986, poi Profilo ideologico del Novecento, Milano 1990.
Saggi sulla scienza politica in Italia, Roma-Bari 1969.
Una filosofia militante. Studi su Carlo Cattaneo, Torino 1971.
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Quale socialismo? Discussione di un’alternativa, Torino 1976.
Il problema della guerra e le vie della pace, Bologna 1979, 1997.
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L’età dei diritti, Torino 1990.
Destra e sinistra. Ragioni e significati di una distinzione politica, Roma 1994, 2004.
De senectute e altri scritti autobiografici, Torino 1996.
Autobiografia, a cura di A. Papuzzi, Roma-Bari 1997.
Né con Marx né contro Marx, a cura di C. Violi, Roma 1997.
Teoria generale della politica, a cura di M. Bovero, Torino 1999.
Etica e politica, a cura di M. Revelli, Milano 2009.
Norberto Bobbio: 50 anni di studi. Bibliografia degli scritti, 1934-1983, a cura di C. Violi, Milano 1984; ed. aggiornata con il titolo Bibliografia degli scritti di Norberto Bobbio, 1934-1993, a cura di C. Violi, Roma-Bari 1995.
Per una teoria generale della politica: scritti dedicati a Norberto Bobbio, a cura di L. Bonanate, M. Bovero, Firenze 1986.
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Bobbio ad uso di amici e nemici, a cura della redazione di «Reset» e di C. Ocone, Venezia 2003.
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