NONLUOGO.
– Nonluogo e luogo antropologico. La crisi del luogo
Nonluogo e luogo antropologico. – La nozione di n. l. è stata concepita in relazione e per opposizione a quella di luogo o, più esattamente, a quella di luogo antropologico. Il luogo antropologico è il luogo in cui vi è una coincidenza perfetta tra disposizione spaziale e organizzazione sociale. In esso le regole di residenza sono rigide e si combinano con le regole di filiazione; il sistema che ne risulta può essere, secondo la terminologia degli etnologi, «armonico» o «disarmonico»: armonico quando c’è coincidenza tra la filiazione e la residenza (filiazione patrilineare e residenza patrilocale o filiazione matrilineare e residenza matrilocale), disarmonico quando filiazione e residenza non coincidono (filiazione patrilineare e residenza matrilocale o filiazione matrilineare e residenza patrilocale). In tutti i casi, l’organizzazione sociale è trascritta nello spazio – il che implica, viceversa, che una lettura attenta dello spazio fornisce un’immagine della struttura sociale. La decodificazione del luogo antropologico dà dunque all’etnologo un’idea concreta della struttura sociale: delle regole di filiazione e di residenza, delle modalità di alleanza matrimoniale, della eventuale suddivisione in classi di età, della gerarchia sociale e così via. Le regole variano da un gruppo all’altro, ma vi sono sempre delle regole, più o meno facilmente reperibili, nell’occupazione dello spazio. A completare la definizione di luogo antropologico intervengono vari simboli di identità collettiva, che fanno riferimento alla storia comune o alla religione condivisa. In tal modo il luogo antropologico ha fornito ai primi etnologi una via d’accesso ai gruppi umani che erano oggetto dei loro studi.
Sono stato dunque indotto a chiamare nonluoghi gli spazi caratteristici della ‘surmodernità’, come gli aeroporti o i supermercati: spazi dove si passa e nei quali non esiste a priori alcun legame simbolico immediatamente decifrabile tra gli individui che li frequentano.
A questo punto si impongono alcune precisazioni e alcune avvertenze: 1) non ho mai voluto opporre il luogo al n. come il bene al male. L’assegnazione a residenza derivante dalla rigida definizione di luogo è esattamente il contrario dell’aspirazione alla libertà individuale che corrisponde in teoria all’ideale di modernità; 2) ciò che per alcuni è un luogo, per altri può essere un n. e viceversa. Non è la stessa cosa trovarsi in un aeroporto come passeggero o lavorarci quotidianamente con dei colleghi, delle postazioni e degli orari di lavoro. Lo stesso vale per un supermercato. D’altronde, in alcune periferie parigine, la domenica alcune famiglie vanno in visita al supermercato, una sorta di tempio del consumo, così come altre famiglie si recano al Louvre: per vedere. In questa maniera il supermercato diventa un punto di riferimento spaziotemporale, il che lo rende simile a un luogo; 3) in senso stretto è dunque impossibile redigere una lista ponendo fianco a fianco i luoghi e i n. empirici. Ci può essere un luogo nel n. e viceversa, in funzione degli attori o dei momenti considerati. La coppia luogo/nonluogo è più che altro un indicatore del grado di socialità di un dato spazio; 4) ciò non impedisce che oggi si moltiplichino gli spazi di circolazione (vie aeree, autostrade, treni ad alta velocità ecc.), di consumo (ipermercati e circuiti di distribuzione, istallazioni turistiche ecc.) e di comunicazione che corrispondono a un cambiamento di scala nella vita degli esseri umani – cambiamento di scala che traduce il termine globalizzazione, sinonimo di urbanizzazione nella misura in cui il pianeta comincia a funzionare come un’immensa città, il mondo-città. Questo ‘mondo-città’ è composto di metropoli, le ‘città-mondo’, più o meno legate le une alle altre attraverso il tessuto, ogni giorno più denso, di zone urbanizzate e di reti di comunicazione virtuali.
La crisi del luogo. – Il termine nonluogo oscilla dunque tra una definizione teorica, che rinvia all’impossibilità di produrre una lettura sociale dello spazio condotta termine a termine, e la constatazione di un cambiamento di scala che si traduce nell’inesorabile estensione delle zone urbanizzate così come nell’estensione, parallela, degli spazi del consumo turistico (hotel, villaggi vacanze ecc.) o dell’esilio (campi profughi).
Bisogna poi fare un discorso a parte riguardo gli spazi di comunicazione. La nuova era viene spesso rappresentata come quella in cui coloro che non avevano voce in capitolo nell’epoca precedente possono esprimersi e farsi sentire gli uni dagli altri. Così i social network sono stati affrettatamente presentati come gli inventori e gli attori della ‘primavera araba’; ormai non si osa quasi parlare di quella primavera, ma si parla sempre di più delle suddette reti come di veri attori sociali. Se un n. si definisce come uno spazio in cui non è possibile leggere né le relazioni sociali né i simboli dell’identità collettiva e della storia condivisa, non ci si può domandare se gli spazi di comunicazione non creino dei nuovi tipi di relazione e di identità e se non diano inizio in tal modo a una nuova storia?
Ci si opporrà qui a tale interpretazione dei fatti. La comunicazione, come ha ben mostrato Paul Virilio, obbedisce alle parole d’ordine ubiquità e istantaneità. L’ideale della società surmoderna, contraddistinta dall’individualizzazione del consumatore, è la trasmissione accelerata e generalizzata delle immagini e dei messaggi. È un ideale di mezzi – il termine media d’altronde significa questo – che non costituisce un fine in sé e ancor meno un insieme di relazioni sociali, le quali acquistano senso solamente nel tempo e nello spazio, che sono in qualche modo la loro materia prima simbolica. Gli effetti propri della televisione sono quelli di creare delle illusioni di relazione, sostituendo il riconoscimento alla conoscenza: credo di conoscere il mio presentatore televisivo preferito perché lo vedo tutti i giorni e lo riconosco. I rapporti che intrattengo con le figure ‘conosciute’ della politica o del mondo della musica leggera sono dello stesso ordine, come ha sottolineato Guy Debord a proposito di quella che ha denominato société du spectacle. Il presidente Barack Obama ha potuto vantarsi – sorridendone, per la verità – di avere milioni di amici su Facebook, ma si prevede che Lady Gaga raggiunga il numero di dieci milioni di amici prima di lui. Il problema è quello di sapere qual è esattamente la natura del legame così creato, che non può essere identificato con una relazione sociale, fosse pure ‘amicale’, nel senso tradizionale del termine.
Gli spazi della comunicazione sono dappertutto e colonizzano i corpi individuali. Ciascuno aspira a connettersi con l’insieme del pianeta e c’è da temere che la nuova forma di disuguaglianza tra gli esseri umani opponga coloro che sono ‘collegati’ a quelli che non hanno i mezzi per esserlo. Eppure lo spazio cibernetico non è un luogo nel senso antropologico del termine: non è possibile leggervi nessuna forma di relazione sociale né i simboli di un’identità condivisa. Esso eccede ogni capacità individuale di relazione e sotto questo aspetto la folla degli internauti, che pare metaforicamente assai chiassosa e chiacchierona, somiglia piuttosto alla lonely crowd (folla solitaria) analizzata da David Riesmann nel 1950.
Se il termine nonluogo ha conosciuto una certa fortuna, talvolta a prezzo di alcuni malintesi, ciò è dovuto senza dubbio al fatto che esso dà nome a un sintomo. Questo sintomo passa per un doppio e contraddittorio sentimento di eccessiva pienezza e solitudine, di vuoto e di sovraccarico che si esprime in diversi modi nella società, nella letteratura o nelle arti. Questo fenomeno, che si rivela un po’ dappertutto, potrebbe essere chiamato crisi del luogo. Esso ha diverse cause e diversi aspetti, storici, demografici, geografici e politici. Tutti questi aspetti possono ricondursi al fenomeno del cambiamento di scala nella vita umana, il passaggio alla scala planetaria, vissuto da tutti e da ciascuno.
Il fatto più significativo a tal proposito è certamente il cambiamento di stato del pianeta, che diventa sotto i nostri occhi un oggetto di turismo, un paesaggio. Presto i turisti più fortunati potranno farsi mandare in orbita a contemplare per un po’ di tempo il pianeta nel suo insieme. Questa riduzione del pianeta a un oggetto di consumo turistico è veramente notevole: essa permetterà a qualche privilegiato di provare ciò che avevano già sperimentato gli astronauti di professione, ossia la nostra qualità di ‘terrestri’. Anticipazione irrealistica nel breve periodo, ma che comporta per se stessa la promessa di un cambiamento di scala temporale: il giovane Homo sapiens non ha che trecentomila anni e, senza dubbio, non ci vorrà molto perché egli diventi un terrestre e perché faccia della Terra un luogo.
Nel frattempo, le tecniche di comunicazione, più ancora del mercato, e ancor prima l’immaginazione politica, delineano maldestramente e approssimativamente la possibilità di una società planetaria, di un luogo planetario che non sarà estraneo a nessun essere umano. Che cos’è oggi, in queste condizioni, il n., se non il contesto necessario di ogni luogo possibile?
Da ciò deriva il carattere profondamente ambivalente della nozione di nonluogo. Ci si domanda talvolta con una buonafede un po’ ingenua: come trasformare un n. in luogo? Con ciò si intende: umanizzarlo, renderlo a misura d’uomo, farlo sfuggire all’anonimato. Ma, nella misura in cui viviamo, semplicemente, passiamo il nostro tempo, dove che sia, a costruire o tentare di costruire legami e luoghi. L’uomo è un animale simbolico. Si può andare ancora un po’ oltre e voler inventare dei luoghi nuovi, nei quali le relazioni tra gli uni e gli altri siano ridefinite sia in una modalità più ludica e provvisoria (per es., un villaggio vacanze), sia in una modalità più durevole (così alcuni sessantottini sono andati ad allevare capre sulle montagne delle Cevenne). Queste utopie realizzate corrispondono a ciò che Michel Foucault ha chiamato eterotopie, ma oggi non può venire alla luce nessuna eterotopia, a meno che non sia inserita in un contesto più vasto e più globale, quello che definiremo come nonluogo.
La verità del n., bisogna insistere su questo punto, è dunque in definitiva contestuale. Così il mondo-città (le sue immagini di fluidità, il volo degli aerei nella notte illuminata dalle luci dei grandi grattacieli, le performance dei grandi sportivi ritrasmesse su tutti gli schermi del mondo ecc.) è esso stesso il n. e il contesto, visibile attraverso schermi interposti, del luogo della città-mondo sul quale si possono leggere tutta la diversità e tutte le disuguaglianze della Terra. In questo modo, il n. del mondo-città è l’ideologia del luogo della città-mondo; esso viene presentato come il suo avvenire o la sua verità, quando invece non è altro che la sua illusione.
Resta il fatto che questa illusione possiede la sua parte di verità, la parte di verità del desiderio, che forse spinge alla nascita dell’illusione. Il luogo empirico è spesso il luogo del rifiuto degli altri e delle diffidenze interne, della gelosia, della sorveglianza e del segreto – il che non toglie nulla alla dolcezza del focolare, dei ricordi di infanzia e delle successive nostalgie. Per quel che riguarda i n. empirici, essi sono gli spazi di anonimato, le finzioni dell’immagine e le menzogne del libero consumo; ma sono anche gli spazi dell’incontro, del possibile avvenimento, dell’attesa e della speranza.
Dal momento in cui il pianeta diventa un paesaggio che un turista può abbracciare con un solo colpo d’occhio, esso diventa il contesto finale, il n. ultimo o piuttosto, sulla scala dei tempi a venire, il luogo Terra infine compiuto, a partire dal quale l’umanità dovrà ancora cambiare scala temporale e spaziale per proiettarsi un po’ più lontano nel sistema solare. Stiamo assistendo non alla fine della storia, ma alla fine della preistoria dell’umanità terrestre come società planetaria.