Nomofilachia orizzontale
Il nuovo art. 618 c.p.p. apre la necessità di una riflessione sul significato che nel nostro ordinamento assume la funzione nomofilachica della Corte di cassazione, che ad oggi sembra bipartita, nel valore, fra nomofilachia orizzontale e nomofilachia verticale.
La cd. legge Orlando ha aggiunto all’art. 618 c.p.p. due nuovi e significativi commi, l’1-bis e l’1-ter, volti a incidere sul ruolo che svolgono le Sezioni Unite della Corte di cassazione1. Secondo l’art. 618, co. 1-bis, c.p.p., quando la sezione investita di un ricorso ritiene che essa darà vita a un conflitto interpretativo, in quanto la questione di diritto che deve risolvere è già stata oggetto di una pronuncia delle Sezioni Unite che però non viene condivisa, essa deve obbligatoriamente rimettere la questione alle Sezioni Unite, senza potersi pronunciare sul ricorso2. Secondo il comma 1-ter dell’art. 618 c.p.p., invece, le Sezioni Unite una volta investite di un ricorso, se pur sia inammissibile per una causa sopravvenuta, possono comunque risolvere la questione di diritto prospettata con la rimessione. La peculiarità della nuova previsione risiede quindi nella circostanza che la risoluzione del quesito di diritto viene solo enunciata, senza che essa incida sull’esito processuale, perché il ricorso presentato va comunque dichiarato inammissibile3. Inoltre, in questa ipotesi si profila un ulteriore percorso procedurale idoneo a imporre l’obbligatorietà della rimessione: se una Sezione Semplice vorrà dissentire dal principio di diritto enunciato attraverso questa peculiare modalità, dovrà comunque rimettere la questione alle Sezioni Unite ai sensi del comma 1-bis dell’art. 618.
Si può senz’altro costatare che la riforma dell’art. 618 c.p.p. incide con forza sui compiti assegnati alla Corte di cassazione dall’art. 65 ord. giud. La novella, da una parte rinforza la funzione “dell’uniforme applicazione della legge”, ovverosia la duplice esigenza che il diritto sia applicato nel rispetto del principio di uguaglianza e che sia prevedibile nella sua applicazione. L’art. 618 c.p.p., aumentando in definitiva i casi in cui le Sezioni Unite possono pronunciarsi, fa sì che maggiori saranno i precedenti dotati di particolare autorevolezza. Ed è noto che i precedenti delle Sezioni Unite nella prassi persuadono gli altri giudici di merito molto più delle pronunce delle sezioni semplici. Inoltre la riforma rappresenta senz’altro uno strumento idoneo a dare prevedibilità/certezza al diritto. Infatti, se si legge l’art. 618 c.p.p. insieme alle altre norme che regolano i casi di rimessione delle questioni di fronte alle Sezioni Unite, emerge con chiarezza come il legislatore ha configurato un “protocollo procedurale”, volto a garantire che i contrasti e i mutamenti giurisprudenziali siano realizzati nel rispetto di quella prevedibilità convenzionale che è autorizzata dalla C. eur. dir. uomo4 e di quella certezza del diritto che è richiesta dalla Corte costituzionale per il diritto penale5. Il sistema novellato, in altre parole, codifica una sorta di griglia procedimentale che regola il modo in cui si formano e poi si compongono i contrasti interpretativi e il modo in cui si generano o si evitano i mutamenti giurisprudenziali. Viene così garantito, da una parte, che le tappe dell’assestamento giurisprudenziale siano in qualche modo contingentate nei tempi, e, nel contempo, che vi sia una effettiva ragione nel mettere in discussione i precedenti già stabilizzati con gli interventi delle Sezioni Unite. Tutto questo sistema genera senza dubbio quella prevedibilità “relativa” della base legale che tanto ci viene richiesta dalla C. eur. dir. uomo e che va inquadrata nella funzione di assicurare l’uniformità del diritto, funzione che viene dal legislatore ora assegnata in maniera più vigorosa alle Sezioni Unite.
Si tratta ora di verificare se la novella dell’art. 618 c.p.p. abbia inciso anche sulla funzione fondamentale che è attribuita alla Cassazione, ovverosia quella relativa all’assicurazione della «esatta osservanza della legge».
In via generale la funzione nomofilachica conferisce alla Suprema Corte il compito di vigilare che tutti i giudici «interpretino in modo corretto» e «applichino in modo coerente» la legge. La “correttezza dell’interpretazione” implica che la Corte controlli se i giudici inferiori abbiano individuato il “significato proprio” delle disposizioni. Il sindacato si risolve dunque nella formulazione – da parte della stessa Cassazione – del significato generale ed astratto delle norme. La “coerenza dell’applicazione”, invece, fa sì che la Suprema Corte appuri se il giudice di merito abbia correttamente sussunto la fattispecie concreta in quella astratta, in pratica si verifica la consecutività fra le premesse in diritto scelte dal singolo giudice e le conseguenze tratte a livello di decisione. Nel primo caso si controlla la legalità, così che le interpretazioni diverse da quella prescelta dalla Cassazione sono cassate; nel secondo caso si controlla soprattutto la legittimità, la quale consente interpretazioni difformi della medesima fattispecie astratta.
Ebbene, l’art. 618, co. 1-bis, c.p.p. impone alle Sezioni Semplici di rimettere alle Sezioni Unite i ricorsi qualora voglia adottare una interpretazione diversa da quella già formulata dalle Sezioni Unite.
L’art. 618, co. 1-ter, c.p.p. introduce nel processo penale un primo caso di decisione in puro diritto destinata a non essere applicata nel caso di specie.
Alla luce di tali dati, si può allora ritenere che il legislatore sia intervenuto anche sulla funzione nomofilachica, concentrando assai più di prima in capo alle Sezioni Unite la sua declinazione come controllo di legalità astratta, ovverosia di correttezza interpretativa.
La tutela dello ius costitutionis viene quindi assegnata per lo più alla Sezioni Unite: competerà ad esse verificare «l’esatta osservanza della legge» dal punto di vista della “esatta interpretazione della legge”. Competerà invece alle Sezioni Semplici per lo più la tutela dello ius litigatoris, ovverosia la “corretta applicazione della legge”.
Ebbene, alla luce di tali novità è necessario domandarsi se la riforma dell’art. 618 c.p.p. introduca nel nostro ordinamento una prima forma di “precedente vincolante”, in sostituzione del “precedente persuasivo”.
Non si può fare a meno di notare come la novella rischi di incidere negativamente sul divieto di attribuire alle Sezioni Unite una funzione creativa del diritto.
Poste al vertice della giurisdizione anche rispetto alle Sezioni Semplici, dotate di competenza esclusiva sulle questioni su cui si sono già pronunciate, chiamate a interpretare le disposizioni in via generale e astratta, le Sezioni Unite in un attimo possono trasformarsi in legislatore: l’uniforme interpretazione del diritto in un baleno può diventare l’uniforme creazione del diritto.
Detto in altre parole, bisogna interrogarsi se la riforma sia il primo passo normativo verso quel tanto denunciato “mutamento di equilibrio” fra il ruolo del diritto vivente e il ruolo del diritto vigente a cui nella prassi si sta assistendo. In definitiva, se le Sezioni Unite siano diventate un nuovo centro di produzione del diritto è questione seria, su cui appare doverosa una più attenta e diffusa riflessione.
Ad oggi si può intanto notare che se “formalmente” l’art. 618 c.p.p. non introduce un sistema basato sui precedenti vincolanti delle Sezioni Unite, “sostanzialmente” e in via di fatto il meccanismo processuale sembrerebbe poi insinuarlo.
Si pensi, ad esempio, all’elemento implicito di fattispecie – del tornaconto personale per il privato – enucleato dalle Sezioni Unite Maldera in relazione al delitto di induzione indebita. Pur non essendo esplicitamente previsto tra gli elementi costitutivi dell’art. 319 quater c.p., le Sezioni Semplici della Cassazione non ne potranno prescindere: il dictum delle Sezioni Unite ha trasformato in pratica l’affermazione giurisprudenziale in diritto perché qualsiasi altro giudice non potrà affermare il contrario, ma dovrà affidare le sue istanze alle medesime Sezioni Unite che hanno “creato” quell’elemento. Qui la decisione è solo dotata di autorevolezza o anche di autorità?
Ma non solo, se non si determina con precisione quale sia il significato del concetto di «principio di diritto enunciato dalle sezioni unite» a cui testualmente fa riferimento l’art. 618, co. 1-bis, c.p.p., qualunque affermazione delle Sezioni Unite innescherà il meccanismo appena descritto. Si pensi ad esempio al tanto discusso obiter dictum delle Sezioni Unite Passarelli del 2016 – secondo il quale la dichiarazione di fallimento nel reato di bancarotta fraudolenta ha natura di condizione obiettiva di punibilità – poi ripreso dalla Sezioni Semplici Santoro, in una pronuncia tutta dedicata a tale aspetto, che ha sancito l’overruling dopo circa 70 anni. Orbene, qualora una Sezione Semplice volesse ritornare alla tesi classica della qualificazione del fallimento quale elemento costitutivo del reato (Sezioni Unite Mezzo del 1958), potrà decidere il tema essa stessa in difformità di quell’obiter? O, in definitiva, quest’ultimo è un principio di diritto delle Sezioni Unite ai sensi dell’art. 618, co. 1-bis, c.p.p.?
Ebbene in cerca di un giusto equilibrio fra “accentramento” delle decisioni in capo alle Sezioni Unite e “decentramento” fra le singole sezioni, converrebbe individuare dei parametri certi di riferimento.
In primo luogo il «principio di diritto delle sezioni unite» cui si riferisce l’art. 618 c.p.p. è senza dubbio quello che viene pronunciato per risolvere la questione specifica oggetto della rimessione: è la risposta al cd. “quesito”. È questo il tema che è “devoluto” alle Sezioni Unite in “qualità” di Sezioni Unite.
Da ciò deriva che tutti gli altri motivi sui quali eventualmente dovranno esprimersi, perché il ricorso non viene risolto in base alla questione controversa bensì per un altro motivo, non sono in senso proprio questioni “rimesse” alle Sezioni Unite. Basti solo pensare che in questi casi è mancata quell’approfondita analisi della questione volta a favorire un dialogo fra le Sezioni Unite ed altri: nessuno si è espresso sull’opportunità di devolvere tale quesito alle Sezioni Unite; nessuno ha preso posizione sul tema nell’ordinanza di rimessione, nessuno ha preparato lo studio che analizza lo stato giurisprudenziale e dottrinale del problema (la cd. relazione del massimario).
E in effetti, il principio di diritto su tali temi viene espresso dalle Sezioni Unite solo perché sono già investite della questione “principale”. Sarebbe lo stesso se le Sezioni Unite si limitassero, come può accadere oggi nel sistema processuale civile, a formulare il principio di diritto oggetto della rimessione e poi ritrasmettessero il ricorso alle Sezioni Semplici per la decisione perché il caso di specie richiede anche l’analisi di altre questioni. Solo per semplificare il sistema, le Sezioni Unite si pronunciano su questi temi ulteriori. Allora tutto quello che viene detto in tale contesto non può essere considerato «principio di diritto delle sezioni unite» ai sensi dell’art. 618 c.p.p. Si tratta sì, eventualmente, di un principio di diritto, ma non di un principio di diritto “espresso” dalle Sezioni Unite nel loro “ruolo” di Sezioni Unite. E ciò vale a maggior ragione per gli obiter dicta contenuti in tale parte della decisione, come nel caso delle Sezioni Unite Passarelli da cui si sono prese le mosse. In questo arresto giurisprudenziale l’obiter è stato pronunciato su una questione secondaria: non è dunque applicabile il comma 1-bis dell’art. 618 c.p.p. Dunque le Sezioni Semplici, come il Primo presidente, potranno scegliere se rimettere o meno la questione, valutandone l’opportunità.
In secondo luogo, sono principio di diritto ai sensi dell’art. 618 c.p.p. anche quelli strettamente “pregiudiziali” al principio di diritto principale. Si tratta di principi “decisivi”: in loro assenza il principio principale non potrebbe essere formulato o, comunque, non avrebbe senso e significato. Sono “conditio sine qua non” rispetto la risoluzione del quesito devoluto:
un nesso, però, non materiale, ma di implicazione logica e giuridica. In pratica sono principi di diritto tutti quelli che riguardano l’interpretazione delle norme necessarie per risolvere il quesito principale.
Di conseguenza, non sono principio di diritto gli obiter dicta contenuti nella motivazione relativa alla questione principale. E sono obiter sia le formulazioni di principi generali e astratti che esulano del tutto dal tema a cui si riferisce la questione rimessa (come quando si ricostruiscono istituti diversi per fare parallelismi, distinzioni, analogie); sia i principi generali e astratti che debordano, perché, pur riguardando il tema, non attengono alla questione specifica (come quando investita della questione relativa ai termini per far valere un certa nullità in Cassazione, si individuano tutti i presupposti di ammissibilità della questione di nullità, come il ricorso autosufficiente e via di seguito).
Più complessa invece è la qualificazione – sempre come «principi di diritto delle sezioni unite» ai sensi dell’art. 618 c.p.p. – delle “generalizzazioni”: ovverossia di quell’operazione interpretativa attraverso cui la decisione individuale viene ricondotta sotto una norma generale destinata ad applicarsi non solo nei casi uguali ma anche in quelli simili o assimilabili.
Ebbene, il «principio di diritto delle sezioni unite» ha proprio la funzione di “universalizzare” la decisione individuale. Questo è il cuore della “funzione uniformante” delle Sezioni Unite. Di conseguenza le indicazioni che in tal senso sono fornite dalla stessa decisione sono «principio di diritto delle sezioni unite» a tutti gli effetti, perché la funzione delle Sezioni Unite è proprio quella di individuare la portata della norma in via generale. È normale allora che le Sezioni Unite prendano le mosse dall’ipotesi specifica oggetto della decisione per arrivare a quella via via più generale.
Se si rimanesse ancorati al solo caso specifico, formulando un principio astratto riferibile al solo caso di specie, di fatto le pronunce non sarebbero mai destinate a essere applicate con certezza nel futuro: non si presenta mai un caso identico all’altro, una fattispecie concreta identica all’altra. Se l’attività di uniformazione fosse lasciata totalmente ai singoli giudici, attraverso la “tecnica del distinguiching” essa rischierebbe in via di fatto di essere vanificata. E in questo il sistema dei “precedenti delle sezioni unite” differisce da quello anglosassone, in cui l’attività di generalizzazione non è svolta dalle Corti Supreme, ma dal giudice che poi è chiamato a uniformarsi al precedente.
Solo le Sezioni Semplici devono limitarsi a enucleare un principio di diritto in senso classico, ovverosia relativo al solo caso deciso: esse sono sì autorizzate a formulare un precetto astratto, ma non generalizzato a casi diversi da quello considerato. In conclusione, se il rapporto fra le Sezioni Semplici e le Sezioni Unite sembra incrinare il canone costituzionale della soggezione del giudice solo alla legge, seppur attraverso un vincolo negativo che vieta alle Sezioni Semplici di pronunciarsi in maniera diversa dalle Sezioni Unite, sicché si potrebbe parlare di una nomofilachia orizzontale parzialmente vincolante; nessun vincolo decisorio appare configurabile rispetto ai giudici di merito. Le pronunce delle Sezioni Unite restano solo autorevoli per i giudici inferiori.
Sicché se una pronuncia delle Sezioni Unite viene disattesa in una decisione di merito, non si può escludere che passi in giudicato, qualora, per esempio, non venga esperito il ricorso, o quando quest’ultimo sia dichiarato inammissibile. Né il sistema esclude che le istanze di rinnovamento interpretativo continuino a vedere nei giudici di merito la loro paternità, sebbene attraverso un percorso più tortuoso rispetto al passato. Un’interpretazione difforme da quella fornita da un precedente delle Sezioni Unite dovrà prima essere condivisa da una Sezione Semplice, la quale quindi si farà portavoce della novità di fronte alle Sezioni Unite attraverso la remissione obbligatoria.
Dopodiché dovrà essere recepita dal massimo consesso, il quale farà propria l’innovazione interpretativa solo sconfessando la sua precedente posizione. Sicché l’invito non può che essere quello a un serio “ascolto”: le Sezioni Unite e le Sezioni Semplici oggi più che mai dovranno valutare con attenzione le istanze interpretative che provengono dai giudici di merito; solo a tale condizione i precedenti delle Sezioni Unite non si trasformeranno in via di fatto da “persuasivi” a “vincolanti” nei rapporti verticali.
1 Cfr. Aprati, R., Le Sezioni unite fra l’esatta applicazione della legge e l’uniforme interpretazione della legge, in La riforma della giustizia penale, a cura di T. Bene e A. Marandola, Milano, 2018, 278; Gialaz, M.-Della Torre, J., Alla ricerca di soluzioni per una crisi cronica: sezioni unite e nomofilachia dopo la “riforma Orlando, in Proc. pen. e giust., 2018, fasc. 5, 970, a cui si rimanda anche per le ulteriori indicazioni bibliografiche.
2 Come primo caso di rimessione ex art. 618, co. 1-bis v. Cass. pen., S.U., 19.4.2018, n. 36072, in CED rv. n. 273549, Botticelli.
3 Come primo caso di decisione ex art. 618, co. 1-ter v. Cass. pen., S.U., 30.11.2017, n. 3464, in CED rv. n. 271831, Matrone.
4 Ex plurimis, C. eur. dir. uomo, 14.4.2005, Contrada c. Italia; 2.9.2010, Uzun c. Germania.
5 C. cost., 24.7.2007, n. 322.