NOMO (νόμος, lett. "regola, legge")
Forma di composizione lirica greca, eminentemente destinata al canto monodico, con accompagnamento musicale di cetra o di flauto. È certo uno dei più antichi tipi di poesia, di contenuto religioso e di ufficio liturgico, legato al culto di Apollo. La sua fissazione definitiva è attribuita a Terpandro, che ne avrebbe fissato lo schema ampliandolo da tre parti ἀρχά, ὀμϕαλός, ἐξόδιον in sette parti (secondo il numero sacro ad Apollo), senza legame strofico: ἀρχά (principio"), μεταρχά ("controprincipio"), κατατροπά (rivolgimento"), μεταχατατροπά (controrivolgimento"), ὀμϕαλός (ombelico"), σϕραγίς ("sigillo"), ἐπίλογος ("conclusione"). Celebre cultore del nomo auletico fu Clonas, cui si collegano i tipi elegiaco, comarchio, epicedio e trimele. Abbiamo varî titoli di nomi di Terpandro stesso (a quanto pare in esametri): nomo eolio e beozio, ortio e trocheo, acuto e tetraodo, ecc., derivati dai paesi onde il poeta proveniva, o dal ritmo o modo musicale, senza però alcun accenno sul contenuto. Certo è però che questi varî nomi erano legati a determinati culti e circostanze e i loro termini erano legati e determinati culti e circostanze e i loro termini crono normativi. Parallelo a questo nomo cantato, e distinto da esso, ma interessante per le induzioni che l'esame delle sue parti permette di applicare alla partizione del nomo monodico, è il nomo puramente musicale, auletico o citaristico, che con la sola musica cercava talora di rappresentare una vera azione: celebre in questo genere il nomo auletico di Sacada, detto "pitico" in cui era rappresentata coi suoni la lotta di Apollo col serpente Pitone.
Il nomo monodico, originariamente sacro al solo Apollo, si estese presto anche ad altre divinità: un nomo a Zeus era attribuito allo stesso Terpandro, e ad Olimpo nomi ad Ares e ad Atena. Ma gli scarsi e dubbî frammenti superstiti non permettono di formarsi un'idea adeguata del contenuto e delle forme di questa fase più antica del genere. L'unico ampio documento pervenutoci, il frammento del nomo I Persiani di Timoteo (v.), scoperto in un papiro d'Egitto nel 1902, ci trasporta a un tempo assai più recente (principio del sec. IV) e ci mostra il nomo fatto interamente profano, e, per quanto si possa giudicare, atteggiato sopra tutto in servigio della musica concomitante, con fenomeno analogo a quello dei libretti d'opera moderni. Conservata sembra la canonica divisione in sette parti; la lingua ricca, gonfia e immaginosa; varia la metrica, con introduzione in esametri, parti giambiche e altre schiettamente liriche. Ma per questa come per le altre caratteristiche del nomo di Timoteo, la sua unicità lascia per noi incerto in che misura esse vadano considerate qualità comuni e canoniche al nomo in questa più recente fase di evoluzione, e quanto sia invece peculiare del singolo artista.
I generi nomici furono coltivati durante l'intero corso della civiltà greca e poterono forse anche influire sulle forme degli altri generi, incoraggiandovi la tendenza al discorso commatico.
Bibl.: U. Wilamowitz, Timotheos, Dier Perser, Lipsia 1905, Introduzione; G. Fraccaroli, I lirici greci (Poesia melica), Torino 1913, pp. 17-27; C. Del Grande, in Riv. Indo-greco-italica, VII (1932), p. 1 segg.