nominalizzazioni
La nominalizzazione è la trasformazione (tecnicamente, la transcategorizzazione) in nome di un elemento linguistico di qualunque natura (parola, espressione, frase, componente di frase, ecc.) e categoria. Si tratta dunque di un’etichetta generale che si riferisce a vari processi. La trasformazione in nome infatti può avvenire:
(a) mediante strumenti morfologici (esempi 1-2) o sintattici (esempi 3-7);
(b) aggiungendo del materiale lessicale a un elemento di partenza, o anche solo ricorrendo alla ➔ conversione senza aggiunta di altro materiale (6 e 8):
(1) verbo → nome: dimostrare → dimostra-zione
(2) aggettivo → nome: bello → bell-ezza
(3) avverbio → nome: bene → (il) bene
(4) aggettivo → nome: bello → (il) bello
(5) verbo → nome: dimostrare → (il) dimostrare
(6) frase → nome: il tempo scorre veloce → il fatto che il tempo scorra veloce (perifrasi con il fatto che)
(7) participio → nome: cantante → cantante
(8) verbo → nome: ritardo → ritardo
Le nominalizzazioni possono comportare, nell’elemento nominalizzato, la creazione di nuove strutture argomentali (➔ argomenti):
(9) ho dimostrato un teorema → ho fatto la dimostrazione di un teorema.
Le nominalizzazioni morfologiche creano nomi mediante ➔ suffissi, a partire da basi di diversa natura.
Un primo tipo di nominalizzazione, molto produttivo, forma nomi da verbi (➔ deverbali, nomi). I nomi deverbali hanno significati diversi: sono anzitutto nomi di azione, di processo o di stato (10), ma frequentemente anche nomi di agente (11), strumento (12), nomi che denotano modo o maniera (13), nomi di oggetti, prodotti, risultati di azioni (14), nomi di luogo (15) (➔ nomi):
(10) nomi di azione, partire → partenza
stato o processo:
(11) nomi d’agente: suonare → suonatore
bere → bevitore
(12) nomi di strumento: frullare → frullatore
contare → contatore
annaffiare → annaffiatoio
(13) nomi di modo o maniera: andare → andatura «modo di camminare»
scrivere → scrittura «modo di scrivere»
classificare → classificazione «modo di classificare»
(14) nomi di oggetti, prodotti, sognare → sogno risultati di azioni: cantare → canto, cantata
costruire → costruzione
civilizzare → civilizzazione
donare → dono
bere → bevuta
(15) nomi di luogo: abbeverare → abbeveratoio
stirare → stireria
I suffissi per formare nomi deverbali d’azione sono: -aggio (atterraggio, ingrassaggio), -agione / -igione (impiccagione), -anza / -enza (lagnanza, partenza), -ìo (dondolio, logorio), -mento (cambiamento, intrattenimento), -tura (rasatura), -zione (estrazione, rivoluzione).
Importante è anche la forma participiale offerta dal suffisso -ata (cacciata, lavata).
Questi suffissi hanno diverso grado di produttività. Inoltre, alcuni di essi, produttivi in passato (-aggio, -agione / -igione), non lo sono più nella lingua d’oggi: per es., -anza / -enza; -mento è declinato a vantaggio di -zione e del suffisso ‘zero’ (vale a dire a vantaggio della mera conversione).
Accade anche che nuove nominalizzazioni abbiano sostituito le vecchie (16):
(16) riformare → riformagione → riforma
temere → temenza → timore
perdonare → perdonanza → perdono
Tra i nomi d’azione, quelli formati per conversione del participio passato femminile, indicati come nomi deverbali in -ata (bevuta, cantata, nuotata, veduta, ma anche corsa, dormita, letta), hanno la particolarità di essere «condizionati semanticamente in maniera tale che non possono in genere essere interpretati come tipi d’azione, ma solo come eventi individuali o istanziati» (Mayo et al. 1995: 912). Ciò esclude che possano avere un’interpretazione generica:
(17) a. *la bevuta di alcolici può danneggiare il fegato
b. il bere alcolici può danneggiare il fegato
Spesso i nomi in -ata danno luogo a perifrasi verbali con ➔ verbi supporto (dare, fare, ecc.) semanticamente vuoti: tale perifrasi è «una variante del verbo transitivo corrispondente che sottolinea la brevità, l’occasionalità dell’azione» (Salvi 1988: 81; Simone 2003):
(18) farsi una dormita, una bevuta, una mangiata, una scopata, una cacata, una passeggiata
(19) dare un’ordinata alla casa, una letta a un giornale
Il suffisso -ata è molto produttivo anche nella lingua d’oggi; spesso le neoformazioni appartengono al registro colloquiale ed espressivo: chattata, ammazzata, smazzata, pagliacciata. Nell’italiano di Roma, esso dà luogo a diversi nomi d’azione peculiari: regolata, calmata, e perfino spaghettata e bisteccata, non derivati da verbi.
Per i nomi d’agente (➔ agente, nomi di) i suffissi produttivi sono -tore, femm. -trice; e, meno comune, -sore, a cui si associa il femm. -itrice: lavatore, lavatrice, direttore, direttrice, spettatore, spettatrice, attore, attrice; difensore, difenditrice; offensore, offenditrice. Questi suffissi possono anche designare nomi di strumento: frullatore, sbattitore, acceleratore, ascensore. Lo stesso dicasi per il femminile: lavatrice, asciugatrice.
Nominalizzazioni frequenti sono anche quelle che derivano nomi di qualità a partire da aggettivi (➔ denominali, nomi; ➔ deaggettivali, nomi): i suffissi in questione sono -ezza (gentile → gentilezza), -ità (felice → felicità, vivibile → vivibilità), -ia (codardo → codardia), -aggine (balordo → balordaggine), -enza (cosciente → coscienza).
Nominalizzazioni morfologiche valgono anche per derivare nomi d’agente o di mestiere da altri nomi (fiore → fioraio; bar → barista; barba → barbiere; posta → postino), o nomi collettivi (➔ collettivi, nomi) da nomi (polli → pollame; ossa → ossatura).
2.2.1 Anteposizione di articolo. Uno dei modi sintattici di nominalizzare consiste nella conversione mediante anteposizione dell’articolo: essa si applica a qualunque classe di parole:
(20) infinito nominale: il rimembrar delle passate cose / ancor che triste, e che l’affanno duri! (Giacomo Leopardi, “Alla luna” in Idilli, vv. 15-16)
(21) avverbio: spesso il male di vivere ho incontrato (Eugenio Montale, “Spesso il male di vivere ho incontrato” in Ossi di seppia, v. 1); il troppo stroppia
(22) aggettivo: il peggio è passato; il privato; il cantante
(23) congiunzione: i tuoi se e i tuoi ma rientrano tutti nel gioco, vecchio come il mondo, delle scelte (da un blog)
(24) pronome: i miei non vengono più qui da anni
(25) numerale: mi serve un tre per fare tombola
(26) preposizione: il di introduce spesso un’infinitiva.
2.2.2 Infinito nominale. In particolare, l’infinito nominale (Simone 2004; Vanvolsem 1983) è specifico della lingua italiana, che lo condivide con lo spagnolo e il portoghese, mentre il francese attuale lo ignora completamente (➔ lingue romanze e italiano; ➔ sostantivato, infinito).
Alcune peculiarità dell’infinito nominale risaltano mettendolo a confronto col nome di azione corrispondente: si osserva allora che il primo ha un significato di processo e di durata, il secondo un significato non durativo (➔ aspetto). Negli esempi che seguono solo una delle due nominalizzazioni è di volta in volta accettabile:
(27) l’affondamento / *l’affondare della nave si compì in mezz’ora
(28) il passare / *il passaggio dei giorni rese meno doloroso il ricordo di sua madre
(29) l’entrata / *l’entrare in guerra dell’Italia avvenne il 10 giugno del 1940
Alcuni infiniti nominali si sono cristallizzati in forma di nome per ➔ lessicalizzazione: stabilizzatisi a partire dalla lingua antica, sono pienamente nomi, al punto che hanno anche il plurale: i piaceri, gli averi, i doveri, i dispiaceri, gli esseri (viventi). Taluni, come ricercare (in antico anche con plurale: i ricercari), sono usciti dall’uso.
2.2.3 Aggettivi sostantivati. Gli aggettivi sostantivati al maschile singolare con valore neutro rappresentano la qualità astratta in generale (➔ neutro; ➔ sostantivato, aggettivo): (il) bello «la bellezza», (il) giusto «ciò che è giusto, la giustizia», (l’)effimero «ciò che è effimero». Serianni (1989: 206) segnala un uso relativamente recente dell’aggettivo sostantivato con valore neutro e collettivo sviluppatosi nei discorsi specialistici, per es., nel discorso filosofico e sociologico (su influsso del linguaggio filosofico tedesco): (il) privato «la sfera del privato», (il) pubblico «la sfera del pubblico», (il) politico «la dimensione politica», (il) quotidiano. Tali forme, indicando la qualità astratta come tale, non ammettono plurale.
Gli aggettivi sostantivati che ammettono il plurale indicano invece referenti numerabili: (i) vecchi, (i) giovani, (i) ricchi, (i) poveri, (i) saggi, (i) potenti, (i) vicini. Sempre al plurale alcuni aggettivi sostantivati che designano colori sono usati per designare esponenti di partiti politici: (i) verdi, (i) rossi, (i) neri (➔ colore, termini di). Infine gli aggettivi sostantivati si usano come ➔ etnici: (gli) italiani, (i) francesi, (i) siciliani. Al singolare l’etnico è anche usato come glottonimo, cioè nome che designa una varietà di lingua: l’italiano, lo spagnolo, il friulano, l’inglese.
In alcuni casi l’aggettivo o il pronome sostantivato rimandano in modo evidente a un’ellissi di nome: il sinistro, il destro (piede, pugno); i miei, i tuoi (genitori), la retta, la curva (linea), la destra, la sinistra (parte politica). La sostantivazione di un aggettivo per ellissi del nome in alcuni casi si è talmente consolidata da obliterare l’origine aggettivale: lo stretto, il giornale, la (chiesa) cattedrale, la (città) capitale.
2.2.4 Participi presenti. La nominalizzazione riguarda anche participi presenti, che hanno assunto la forma di nome perdendo in tutto o in parte il valore verbale: il cantante, i cantanti, il dirigente, la sorgente (➔ participio). Talvolta i due valori, aggettivale e verbale, possono convivere:
(30) a. il battente della porta
b. una nave battente bandiera panamense
Nella lingua moderna il valore verbale del participio presente persiste solo nella lingua giuridica, dove peraltro rappresenta un arcaismo: istante «colui che presenta l’istanza» (Mortara Garavelli 2001).
2.2.5Nomi d’azione. Il nome ottenuto mediante conversione da un verbo si forma perlopiù da verbi di prima coniugazione (➔ morfologia): ammollo, degrado, impiego, incontro, inizio, inoltro, utilizzo.
La conversione non è da confondere con il processo inverso, che forma verbi di prima coniugazione da nomi: movimento → movimentare; commissario → commissariare (➔ denominali e deaggettivali, verbi). La conversione è un processo molto produttivo in lingue come l’inglese e in generale nelle lingue isolanti (come il cinese), in cui ogni parola è formata da un solo morfema.
Come s’è accennato, le nominalizzazioni possono instaurare una struttura argomentale diversa da quella della parola di origine. Confrontando, per es., (31) con (32) e (33), si osserva come il paziente della struttura argomentale di abbracciare sia realizzato come oggetto diretto in (31), dove ricorre in una clausola con verbo finito, e in (32) dove è retto dall’infinito nominale, mentre è realizzato come sintagma preposizionale in (33), dove è retto dal nome d’azione abbraccio (Castelli 1988):
(31) Piero aveva abbracciato Mario [oggetto] e questo insospettì tutti
(32) l’aver Piero abbracciato Mario [oggetto] insospettì tutti
(33) l’abbraccio di Piero a Mario [sintagma preposizionale] insospettì tutti
Infinito e nome d’azione, pur essendo entrambi nominalizzazioni, hanno infatti differente struttura argomentale: ciò è una conseguenza del fatto che i nomi d’azione sono ‘meno verbo’ dell’infinito nominale. Quest’ultimo, essendo più verbale del nome d’azione, conserva la reggenza dell’oggetto diretto.
Lo studio tipologico dei nomi d’azione per quanto attiene alla loro struttura argomentale (Koptjevskaja-Tamm 1993) ha portato a una distinzione tra le lingue in cui la struttura argomentale dei nomi d’azione è sentential-like (cioè uguale a quella propria del verbo di partenza; Koptjevskaja-Tamm 1993: 61) e lingue in cui essa è nominal-like (ossia uguale a quella dei nomi). Nell’ambito del tipo nominal-like esistono diverse configurazioni. Rispetto a tale schema, l’italiano presenta una struttura argomentale nominal-like con almeno due varianti. In un primo sottogruppo di casi rientra la realizzazione del paziente del verbo transitivo (dell’imputato in 34) e del soggetto di verbo intransitivo (di Mario in 35) come genitivi e del soggetto del verbo transitivo come obliquo (da parte del giudice in 34):
(34) la condanna dell’imputato da parte del giudice
(35) la partenza di Mario per la Scozia
In una seconda categoria appaiono come genitivi sia il paziente (di vita in 36, di Bach in 37) sia il soggetto di verbo transitivo (di Mario, di Pollini):
(36) il cambiamento di vita di Mario
(37) l’esecuzione di Bach di Pollini
È possibile anche che il paziente appaia come obliquo e non come genitivo:
(38) Mario ama sua moglie → l’amore di Mario per [o nei confronti di] sua moglie
Coi nomi d’azione la realizzazione degli argomenti può non essere obbligatoria, e in qualche caso è addirittura obbligatorio ometterli:
(39) Mario si pente dei suoi peccati [o di quanto ha commesso]
(40) il pentimento di Mario [*dei suoi peccati / *di quanto ha commesso]
Gli argomenti possono essere espressi per mezzo di aggettivi possessivi (41) o aggettivi denominali (42):
(41) a. il mio amore per la patria
b. il tuo desiderio di solitudine
(42) a. l’amore materno per i figli
b. la volontà popolare di andare a nuove elezioni
Se un verbo ha argomenti retti da specifiche preposizioni (➔ reggenza) queste si preservano nella nominalizzazione:
(43) dipendere da qualcuno → la dipendenza di Mario da sua madre
(44) combattere contro qualcuno → il combattimento di Don Chisciotte contro i mulini a vento
Del pari, altri complementi di tipo accessorio-circostanziale o avverbi di tempo restano invariati (45 e 47) o risultano sostituiti in vario modo da aggettivi gli avverbiali (46 e 47) riferiti al predicato:
(45) Mario parte per Tokio domani alle cinque da Fiumicino con suo fratello → la partenza di Mario per Tokio domani alle cinque da Fiumicino con suo fratello è confermata
(46) Mario ama Paola appassionatamente → l’amore appassionato di Mario per Paola
(47) Piero forse verrà qui domani → la probabile venuta di Piero qui domani
Il nome d’azione infine è compatibile anche con una frase completiva (Giorgi 1988: 296; ➔ completive, frasi) di modo sia infinito (48) sia finito (49):
(48) la mia convinzione (di poter partire al più presto) è incrollabile
(49) la mia promessa a Maria (che Gianni partirà al più presto) verrà mantenuta.
A differenza dei nomi primari, le nominalizzazioni hanno alcune proprietà in comune coi verbi.
Innanzitutto è possibile codificare la persona verbale mediante l’aggettivo possessivo:
(50) che io parta non fa piacere a nessuno → la mia partenza non fa piacere a nessuno
Questa possibilità consente di realizzare frasi in cui ci siano due soggetti diversi, uno per la nominalizzazione e uno per la frase in cui essa è inserita. Negli esempi (51-53) i due soggetti non coincidono:
(51) quando (lui) ritornerà gli organizzeremo una festa
(52) al suo ritorno gli organizzeremo una festa
(53) *nel ritornare/ gli organizzeremo una festa ?nel ritornare lui
L’aggettivo può avere sia interpretazione soggettiva che oggettiva il che comporta, almeno potenzialmente, ambiguità. Questa frase:
(54) la mia cacciata dalla città
può avere infatti le due interpretazioni seguenti:
(55) qualcuno caccia me dalla città [oggettivo]
(56) io caccio qualcuno dalla città [soggettivo]
Inoltre se il possessivo ha valore soggettivo tende a non essere espresso, o comunque è seguito da un sintagma introdotto da di (che realizza l’oggetto); se invece ha valore oggettivo è seguito dall’agente espresso col sintagma da parte di.
La categoria di tempo è neutralizzata nei nomi d’azione, come nell’esempio (57), dove la mia partenza può essere nel passato, nel presente o nel futuro (➔ temporalità, espressione della):
(57) alla (mia) partenza [= quando parto o partirò o sono partito]
La temporalità può invece essere espressa dall’infinito nominale che così definisce relazioni di tipo anaforico con il verbo della principale (58):
(58) il sentire la sua voce lo rassicurò → l’aver sentito la sua voce lo rassicurò
La collocazione temporale dell’azione espressa dal nome d’azione può avvenire però mediante avverbiali di tempo:
(59) la partenza di ieri, di domani, di oggi
(60) la partenza di Gianni ieri mi ha molto sorpreso
L’➔ aspetto può essere incorporato nel significato del nome d’azione e derivare dalla semantica del verbo: la duratività, per es., si valuta considerando la compatibilità con aggettivi di durata:
(61) dormire → dormita → lunga dormita [continuativo]
(62) agonizzare → agonia → lenta agonia [continuativo]
(63) morire → morte → morte lenta [risultativo]
(64) addormentarsi → addormentamento → *lungo addormentamento [trasformativo]
(65) uccidere → uccisione → *lenta uccisione [trasformativo]
Anche la telicità deriva dalla semantica del verbo di base. Per es., il contrasto tra apprendere e studiare (in cui il primo è telico, il secondo no) si riflette nei nomi d’azione corrispondenti, e nella loro compatibilità o incompatibilità con complementi di tempo continuato o determinato:
(66) (ho imparato l’inglese / *studiato inglese) a scuola in 2 anni
(67) l’apprendimento dell’inglese a scuola in 2 anni
(68) (*ho imparato l’inglese / ho studiato inglese) a scuola per 2 anni
(69) lo studio dell’inglese a scuola per 2 anni
I nomi d’azione non marcano morfologicamente la diatesi (70), ma ciò è possibile con l’infinito nominale (71). Coi nomi d’azione la differenza tra diatesi attiva e passiva si manifesta indirettamente nella diversa realizzazione degli argomenti (degli avversari contro da parte degli avversari):
(70) la sconfitta degli avversari / da parte degli avversari
(71) l’essere (stato) continuamente sconfitto dagli avversari / lo sconfiggere continuamente gli avversari
Infine l’infinito nominale può anche segnalare il valore transitivo (72) o inaccusativo del verbo (73) (➔ inaccusativi, verbi) perché contrappone un sintagma nominale (la porta) e una forma attiva del verbo (l’aprire) a un sintagma preposizionale (della porta) e alla forma intransitiva pronominale del verbo (l’aprirsi):
(72) transitivo: qualcuno aprì la porta → l’apertura della porta [ma l’aprire la porta]
(73) inaccusativo: la porta si aprì → l’apertura della porta [ma l’aprirsi della porta].
I nomi d’azione e le forme verbo-nominali dell’italiano rimandano al latino, dove gli uni e le altre già erano attestati. Il suffisso latino più comune per formare nomi d’azione è -ti- con l’allomorfo -(s)si- (Vineis 1993: 341; per la sintassi delle formazioni latine è fondamentale Rosen 1981):
(74) a. actio «azione»; vīsio «visione»
b. mansio < maneo «rimanere»
Altri suffissi deverbali sono -ti- (mors mortis «morte»; -tu- (cantus «canto», tactus «tatto»); -tur- (pictūra «pittura»).
L’uso nominale dell’infinito è uno dei tratti caratterizzanti del latino, dall’epoca arcaica e per tutta la sua storia:
(75) hoc non dolēre «questo non dolersi» (Cicerone, De fin. II, 18, 17)
(76) totum hoc displicet philosophare «tutto questo filosofeggiare spiace» (Cicerone, De fin. I, 1, 6)
(77) reddes Reddes dulce loqui, reddes ridere decorum «restituirai il dolce parlare, il ridere in modo civile» (Orazio, Ep. I, 7, 27)
Il latino sviluppa anche un possessivo (o dimostrativo) davanti all’infinito, per probabile influsso del greco: hoc [o ipsum] tuum amare «questo [o lo stesso] tuo amare». Dal IV secolo d.C. gli infiniti nominali appaiono in luogo dei nomi (Vanvolsem 1983: 13): velle per voluntas; posse per potestas, vivere per vita, scire o sapĕre per scientia.
Castelli, Margherita (1988), La nominalizzazione, in Renzi, Salvi & Cardinaletti 1988, pp. 333-356.
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Rosen, Hannah (1981), Studies in the syntax of the verbal noun in Early Latin, München, W. Fink.
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