ipocoristici, nomi
I nomi i., cioè le forme antroponimiche alterate per accorciamento o per aggiunta di suffisso (es. Gianni da Giovanni, Brunetto da Bruno, ecc.) sono piuttosto diffusi nel Medioevo. In particolare, per la Toscana e per Firenze, possiamo osservare col Brattö, autore di ricerche fondamentali sull'antroponimia fiorentina duecentesca, che, procedendo nel tempo, dall'alto Medioevo in poi, la loro frequenza aumenta nei documenti, e questo aumento comincia a rilevarsi più chiaramente a partire dal sec. XII. Attorno all'anno della nascita di D. gl'i. appaiono, nei documenti fiorentini, in numero discretamente elevato (quelli riferibili a più nomi, i soli presi in considerazione dalle statistiche dello studioso svedese nominato or ora, oscillano tra il 5 e il 18 per cento), ed è da notare che non è accertabile una maggiore o minore diffusione a seconda dei diversi strati sociali.
Il repertorio onomastico di D. ha naturalmente dimensioni assai più varie, sia in senso cronologico sia in senso geografico. Tuttavia il nucleo essenziale comprende forme sincrone o quasi sincrone alla vita di D.; e, per questa parte, si può dire che l'uso dantesco rispecchia in sostanza (né, forse, potremmo aspettarci qualcosa di troppo diverso) la situazione obiettiva trasmessaci dai documenti.
1. Cominciamo dalle forme antroponimiche alterate per aggiunta di suffisso. Predomina in D. l'alterazione mediante il suffisso -ino; tale alterazione è documentata assai frequentemente: Bernardin di Fosco (Pg XIV 101), Carlin de' Pazzi (If XXXII 69), Curradino (Pg XX 68); fra Dolcin (If XXVIII 55), Ildebrandinus de' Mezzabati (VE I XIV 8), Ubaldin degli Ubaldini della Pila (Pg XXIV 29), Ubertin Donato (Pd XVI 119); e con interfisso Azzolin, cioè Ezzelino da Romano (If XII 110), Ugolino della Gherardesca (If XXXIII 13 e 85), d'Azzo degli Ubaldini (Pg XIV 105), de' Fantolini (Pg XIV 121), Bucciola (VE I XIV 3); si aggiungano gli accorciati Cino, Ghino, Mino, Nino, dei quali si discuterà più avanti (cfr. 2.). Piuttosto diffuse sono anche le forme suffissali in -uccio, -ello ed -etto. Si veda per -uccio (-uzzo): Anselmuccio della Gherardesca (If XXXIII 50), Fabrutius de' Lambertazzi (VE I XV 6, II XII 6), e gli accorciati Puccio e Meuccio; si tralascia il Sennuccio (del Bene) di una rima dubbia (VI 1) tutta imperniata su vezzeggiativi in -uzzo. Per -ello, -ella: Angiolello di Carignano (If XXVIII 77), Tebaldello degli Zambrasi (If XXXII 122), Sordello da Goito (Pg VI 74, VIII 30 e 43, ecc., VE I XV 2), e gli accorciati Casella, maschile, e Nella, femminile. Per -etto, -etta: Brunetto Latini (If XV 30, 32 e 101), Brunelleschi (Rime XCIX 1), Lisetta (Rime CXVII 3 e 12; o è contrazione di Lisabetta?), e inoltre Fioretta, Violetta ancora delle Rime, nonché il provenzale (latinizzato) Folquetus del De vulg. Eloq., sui quali torneremo in seguito (cfr. 3.). Gli stessi suffissi si ritrovano poi anche in vari casi di cristallizzazione cognominale: Fantolin(i), Arrigucci, Rusticucci, Guinizzelli, Sacchetti, ecc.
Altri suffissi compaiono più sporadicamente: -óne in Pietro Bernardone (Pd XI 89), Bellincione Berti (Pd XV 112, XVI 99); -òlo in Sassol (o Sàssol?) Mascheroni (If XXXII 65) e nell'accorciato Ciolus (v. 2.); qualche altro ancora in i. accorciati (Giotto, v. 2.) o in cognomi (Bonatti, Soldanieri, ecc.); probabile la presenza di -ucco in Gentucca (Pg XXIV 37), peraltro di origine incerta. In regresso è, in quest'epoca, il suffisso -esco, che difatti nei testi danteschi, a parte Francesco, originariamente etnonimo, è limitato a qualche cognome: Guglielmo Aldobrandesco (Pg XI 59), Filippeschi (Pg VI 107). E ormai pressoché improduttivo è il suffisso germanico -́iz(z)o: in D. ricorre nei settentrionali Opizzo (If XII 111), Cunizza (Pd IX 32), e, interamente obliterato, in Uguiccione della Gherardesca (If XXXIII 89), da Pisa (Cv IV VI 5); cfr. O. Brattö, Studi, pp. 52-54; si aggiunga il cognome Sizii (Pd XVI 108), se, com'è probabile, dipende da Sìghizzo.
2. Quanto agl'i. ottenuti per accorciamento del nome originario, ricorrono con discreta frequenza quelli prodottisi per aferesi o sincope, o per varie combinazioni dei due fenomeni. Lo stesso nome di Dante (latino Dantes), che ricorre sempre in questa forma nelle opere certe dell'Alighieri (Rime XCIII 1, Pd XXX 55, nelle intestazioni delle Epistole V, VI, VII e XIII, e inoltre Ep XII 3, XIII 10; Quaestio intestazione e 24), è quasi certamente l'i., accorciato per sincope, di Durante (da ‛ durare ', " sopportare ", " tollerare "); e non si dovrà dimenticare, a questo proposito, che appunto Durante è il nome, esplicitamente dichiarato, del protagonista e autore del Fiore (LXXXII 9, CCII 14). I più noti e familiari di tali i. sono, anche negli scritti danteschi, Gianni (Giovanni) e Lapo (lacopo), il primo presente in Gianni Schicchi (If XXX 32), Gianni de' Soldanieri (If XXXII 121) e, eventualmente, nel Giannin Quirini di una rima dubbia, VIII 12; l'altro in Lapo Salterello (Pd XV 128) e in Lapo Gianni (Rime LII 1, VE I XIII 3). La loro usualità a Firenze in quest'epoca è provata, fra l'altro, dal fatto che D. stesso li adopera a volte col valore indefinito di ‛ Tizio ' e ‛ Caio ' o, esplicitamente, come esempi di nomi comunissimi: onde non diciamo Gianni amico di Martino, intendendo solamente la naturale amistade significare (Cv III XI 7); Non ha Fiorenza tanti Lapi e Bindi, / quante sì fatte favole per anno / in pergamo si gridan (Pd XXIX 103-105: va qui notato che anche Bindo è i., da Ildebrando). Più raro, come accorciativo di Giovanni, è Vanni, che s'incontra, al maschile, solo nel nome del pistoiese Vanni Fucci (If XXIV 125). Con i. di tipo accorciativo sono inoltre designati diversi altri personaggi contemporanei a D. o di poco anteriori. Sono parenti, amici o conoscenti quali Geri (Ruggero) del Bello (If XXIX 27), Casella (Casa, Benincasa, Pg II 91), Nella (Giovannella?), moglie di Forese Donati (Pg XXIII 87) e Tessa (Contessa), sua madre (Rime LXXVII 2); poeti coi quali D. fu in relazioni letterarie (da aggiungere a Lapo Gianni già ricordato): Cino (Guittoncino) da Pistoia (Rime XCVI 12, CXIV 2, VE I X 4, XIII 3, XVII 3, ecc.), Lippo (Filippo) Pasci de' Bardi (Rime XLVIII 1), Meuccio (Meo, Bartolomeo) Tolomei (Rime 1 e 9); donne cantate nelle rime d'amore, come Bice, Beatrice, e Vanna, Giovanna, di cui si dirà in seguito (cfr. 3.). Oppure sono personaggi variamente noti al suo tempo: Bonturo (Bonaventura) Dati (If XXI 41), Nino (o, in altre fonti, Ugolino) Visconti (Pg VIII 53), Giotto (Angiolotto?) pittore (Pg XI 95), Ghino (Ugolino?) di Tacco (Pg XVI 14); e ancora Lano (Ercolano Maconi?, If XIII 120), Puccio (Iacopuccio, Filippuccio, o simile) Sciancato (If XXV 148), Gaddo (Gherardo) della Gherardesca (If XXXIII 68) e il Ciolus (Petricciolo, Simonciolo, o sim.) dell'epistola all'amico fiorentino (Ep XII 3). Si aggiungano i cognomi o patronimici: Berti (Alberto, Lamberto, ecc., Pd XV 112 Fucci (da Ridolfuccio, o forse da Fantuccio o altro nome analogo, If XXIV 125), e Francesco d'Accorso (Buonaccorso, If XV 110).
A proposito di Berti si tenga presente che l'antroponimo Berto, di antica tradizione, poteva godere nel Medioevo di una notevole indipendenza (cfr. O. Brattö, Studi, pp. 93-94); e lo stesso si dica di Berta, citato due volte da D. (VE II VI 4, Pd XIII 139) per indicare genericamente una donna qualsiasi. Qualche altro esemplare pone singoli problemi di genere diverso. Non è ancora chiarito se Ciacco (If VI 52 e 58) possa davvero risalire a Iacopo, Giacomo. E controversa rimane l'identificazione del messer Giano di Rime XCIX 14: sarà Jean de Meun? o Giano, cioè Torrigiano, di messer Vieri de' Cerchi? (il problema onomastico s'intreccia qui, come per Dante / Durante, con la questione del Fiore). Del resto in vari casi, quando l'identità della persona sia incerta o ignota, anche l'interpretazione del nome rimane dubbia. Così Gottus (VE II XIII 4) potrebbe essere un Arrigotto o un Guidotto, o anche un Gottifredo, o simili. E il Minus Mocato di VE I XIII 1 potrà essere, in forma piena, un Bartolomeo, se se ne accetti l'identificazione, più volte proposta, col rimatore senese Bartolomeo Mocati.
Assai più rari e sbiaditi sono gl'i. prodottisi per apocope, o per caduta del secondo elemento di un nome composto, che possono incontrarsi nei testi danteschi. È probabile che Caccia d'Asciano (If XXIX 131) debba il suo nome alla famiglia cui appartiene, che è quella degli Scialenghi Cacciaconti (per forme intere con Caccia come primo elemento si ricordino, nella stessa Commedia, Cacciaguida e Caccianemico); così anche il florentinus nomine Castra di VE I XI 3 potrebbe aver derivato il nome individuale da un nome di famiglia (cfr. per es. Castruccio Castracani). Ad accorciamenti di forme composte potrebbero risalire inoltre Bocca degli Abati (If XXXII 106) da confrontare coi nomi fiorentini contemporanei Boccalata, Boccapiatta, Boccatonda, ecc., e Branca Doria (If XXXIII 137 e 140) che si alterna, nei documenti, con Brancaleone (e v. B. Migliorini, Saggi linguistici, Firenze 1957, 77, 103 n. 6). A parte è da considerare Bicci, forma abbreviata di Biccicocco, soprannome di Forese Donati, ricorrente usualmente, e anzi perfino anteposto al nome (Bicci vocato Forese), nella nota tenzone (Rime LXXIII 2, LXXV 2, LXXVII 1 e 12; solo Forese invece nella Commedia, Pg XXIII e XXIV).
3. L'uso dantesco dell'i. rispecchia in sostanza, come si è detto, senza scarti troppo marcati, le consuetudini contemporanee. Le forme i. accolte da D. sono in genere quelle usuali nei documenti, e hanno perciò un valore obiettivo. Se, per es., D. preferisce Cino a Guittoncino, questo accade perché la prima denominazione era, come attestano i documenti, quella usuale al suo tempo per indicare il poeta e amico pistoiese. E così è pel nome di un altro personaggio a lui assai familiare, Brunetto Latini; e per altri ancora. Osservò il D'Ovidio (Nuovi studi danteschi, Milano 1907, 42) che anche un esemplare assai tentante, come l'Anselmuccio del conte Ugolino, " è verosimile che Dante se lo trovasse, così, bell'e preparato... senz'avere una spontanea ispirazione o ricorrere a un accorgimento stilistico ". Con tutto ciò non è escluso che in qualche singolo caso l'i., pur aderendo a una situazione obiettivamente documentabile, contenga una certa carica espressiva: per es. nella tenzone con Forese, assieme a Bicci, anche Tessa potrebbe sottintendere un'intonazione volutamente confidenziale, se non proprio spregiativa (si ricordi che fonti letterarie antiche designano la madre di Forese col nome intero di monna Contessa). Si rimane, a ogni modo, nei limiti di attestazioni univoche; l'espressività, se c'è, non è messa in risalto da alternanze od opposizioni all'interno del testo dantesco.
Questa situazione di massima ha tuttavia qualche notevole eccezione. Nel sonetto Io mi senti' svegliar dentro a lo core della Vita Nuova (XXIV 7-9) Beatrice diviene Bice, e Giovanna, la donna amata dal Cavalcanti, diviene Vanna: io vidi monna Vanna e monna Bice / venir inver lo loco là v'io era (vv. 9-10); ed è da notare che nel passo prosastico immediatamente precedente, nel corso di una sottile interpretatio nominum, D. aveva trascritto per intero i nomi delle due donne. Beatrice è Bice solo in questo luogo, e l'ipocoristico corrispondeva, con ogni probabilità, alla denominazione usuale. Vanna ritorna invece in Rime LII 9, cioè nel sonetto Guido, i'vorrei. Siamo sempre, come si vede, nell'ambito di una certa lirica giovanile dantesca, dai toni sognanti e delicati, quella stessa in cui nascono vezzeggiativi-senhal come Fioretta (LVI 12) e Violetta (LVIII 1 e 5), al limite tra il nome proprio e il nome comune. Il carattere familiare e confidenziale dell'i. s'integra, in questi casi, assai chiaramente, a una temperie stilistica ben determinata.
Un altro esempio di oscillazione analoga, all'interno delle scritture dantesche, è Folquetus / Folco (VE II VI 6 - Pd IX 94), Folchetto di Marsiglia: qui al trovatore Folquetz del trattato è succeduto verosimilmente, nel clima ieratico del Paradiso, il vescovo Fulco, difensore della fede contro gli Albigesi. V. anche ONOMASTICA.
Bibl.-O. Brattö, Studi di antroponimia fiorentina. Il Libro di Montaperti (An. MCCLX), Göteborg 1953 (in partic. 43-48, 52-56); ID., Nuovi studi di antroponimia fiorentina. I nomi meno frequenti del Libro di Montaperti (An. MCCLX), Stoccolma 1955; A. Castellani, Nomi fiorentini del Dugento, in " Zeit. Romanische Philol. " LXXII (1956) 54-87; ID., Note critiche d'antroponimia medievale, ibid. LXXVI (1961) 446-498; G. Folena, Fra i Lapi e i Bindi del Duecento, in " Lingua Nostra " XV (1954) 1-6 (e ibid. XVII [1956] 28-30); per i nomi femminili: L. Chiappelli, I nomi di donna di Pistoia dall'Alto Medioevo al sec. XIII, Pistoia 1920; O. Castellani Pollidori, Nomi femminili senesi del sec. XIII, in " Studi Linguistici Italiani " II (1961) 46-64. Sugl'i. per accorciamento e la loro varia fenomenologia, cfr.: M. Orlando, Raccorciature di nomi e cognomi, in " Italia Dialettale " VIII (1932) 1-54; IX (1953) 65-135; su quelli per derivazione suffissale: Rohlfs, Grammatica, §§ 1032-1154; ID., Zur Kulturgeschichte der italienischen Familiennamen, in An den Quellen der romanischen Sprachen, Halle 1952, 195-214 (in partic. 205-208). Sul nome di D. cfr.: M. Scherillo, Alcuni capitoli della biografia di D., Torino 1896, 44-65; G. Tibón; The name ‛ Dante ', in " Names " I (1953) 208; O. Brattö, Nuovi studi, cit., 83-87.