NOÈ (ebr. Noah, Νωέ, Νως)
Eroe della Bibbia, decimo degli antichi patriarchi della linea di Set (Genesi, v, 28-ix, 29). Presenta tre aspetti: il giusto salvato dal diluvio, il padre della nuova umanità, l'inventore della viticoltura.
Nell'arte il primo aspetto trova larghissima elaborazione figurata a partire dal II sec. in pitture catacombali, in sarcofagi cristiani, in graffiti e in lastre funerarie, su un vetro dorato e su qualche lucerna fittile. Questi monumenti raffigurano costantemente N. dentro l'arca, stante o di prospetto con le braccia levate nello schema dell'orante, oppure di profilo con le braccia protese verso la colomba. La colomba è presente comunque anche nelle scene con il tipo orante.
Da questa comune iconografia si distaccano alcuni monumenti. Un sarcofago del museo di Treviri, forse della fine del III sec. d. C., dove compare un'arca più grande, entro cui è N. con il braccio destro levato verso la colomba, accanto a tutta la famiglia, la moglie, tre figlie e tre nuore, insieme con varî animali.
Una pittura in una cappella funeraria nella necropoli di el-Bagawat in Egitto, datata dallo Stern al IV sec., e raffigurante l'arca a forma di nave con la prua e la poppa alte, alle quali si collegano due spioventi di un tetto. Dentro la nave sporgono due cabine da una delle quali esce una figura maschile, mentre N. appare seduto a prua rivolto verso una colomba, sopra è l'iscrizione κιβωτὸς Νωέ.
Pittura nella seconda cappella funeraria di el-Bagawat sulla cupola, raffigurante l'arca come una nave con due tortili, che si levano a prua e a poppa, sulle quali si impostano gli spioventi del tetto, che si rialza come un lucernaio sopra alla cima dell'albero della nave. Dentro appaiono N. di prospetto con il braccio destro proteso verso la colomba, e accanto la moglie e altre sei figure della famiglia.
Mosaico di Mopsuhestia, datato dal Budde al V sec., nel quale compare l'arca come una cassa con quattro piedi, circondata da animali, con due colombe e senza la figura di N., ma contrassegnata dall'iscrizione κιβωτὸς Νωέ.
Nella tradizione biblica l'arca è detta κιβωτός e Giuseppe Ebreo la dice λάρναξ la Vulgata la chiama arca e l'arte figurata l'ha perciò interpretata come una cassa quadrangolare, spesso rappresentata con il coperchio alzato, con la serratura, e talvolta anche con le borchie, come in una lastra funeraria incisa del cimitero di Priscilla, in una di Sabino del Laterano, in una di Victoria al Laterano, mentre in una del Museo delle Terme (67726) è rappresentata una più ricca decorazione di borchia inquadrata da foglie di edera. Quando in pittura o in rilievo è rappresentata l'acqua generalmente non si vedono i quattro pieducci dell'arca, che sono invece raffigurati quando si sopprime l'acqua, come ad esempio nella pittura sulla parete d'ingresso del cubicolo di Orfeo nella catacomba dei SS. Marcellino e Pietro o nella lastra funeraria citata del Museo delle Terme, o in una frammentaria della catacomba di Priscilla con l'iscrizione N O E incisa sulla fronte dell'arca.
Una particolare rappresentazione è costituita da un frammento di sarcofago del Laterano, n. 206, dove appare l'arca quadrangolare con il coperchio chiuso sul quale poggia una colomba e la fronte dell'arca costituisce la tabula dove è incisa l'iscrizione funeraria di una fanciulla Coscantia.
Se quindi in Egitto è documentata una iconografia particolare con l'arca come una nave, la tradizione figurativa occidentale fissa fin dall'inizio la scena con l'arca come cassa galleggiante sulle acque del diluvio secondo una tipica interpretazione realistica del termine, riproducendo il tipo del forziere romano di cui si rende fedelmente la struttura lignea, la serratura, le borchie. Pitture, lastre funerarie incise, sarcofagi rispecchiano quindi un tema creato dall'arte popolareggiante romana del II-III sec. con estrema semplicità di linguaggio, con senso realistico nei dettagli dell'arca e con una interpretazione simbolica del soggetto, eliminando il motivo degli animali del racconto biblico, sopprimendo anche la famiglia di N., per concentrare la scena sul protagonista inteso come simbolo di salvezza per il credente. Forse il sarcofago di Treviri con la rappresentazione della famiglia dentro l'arca più grande e con gli animali, nasce come creazione isolata proprio di quel gusto narrativo dell'ambiente renano, che ci ha dato tipici rilievi della vita locale.
Per il problema della creazione dell'iconografia del motivo di N. e dell'arca vanno tenute presenti anche monete bronzee di Apamea, coniate sotto Settimio Severo, Macrino e Filippo l'Arabo, con la cassa quadrangolare dentro la quale appaiono figure e verso cui vola la colomba con ramoscello d'ulivo e poggia un uccello; sotto all'arca sono rappresentate le onde, dinanzi sono due figure con braccio destro levato, da identificare come N. e la moglie già usciti dall'arca che rendono grazie. Apamea di Frigia era detta Kibotos, perché colà sarebbe approdata l'arca di Noè. Si è supposto che le monete si ispirassero a pitture locali con questo tema. Di fronte alla concezione più narrativa orientale l'arte romana preferisce ridurre il tema ai motivi essenziali, trasformando anche N. in orante, sfruttando il soggetto specialmente nel quadro dell'arte funeraria con un contenuto simbolico di salvezza dell'anima, vedendo nell'arca l'immagine della Chiesa.
Bibl.: G. B. De Rossi, Roma sotterranea, II, Roma 1877, pp. 327-328; J. Wilpert, Le pitture delle catacombe, I, Roma 1903, p. 38; F. Gerke, Der Trierer Agricius Sarkophag, Treviri 1949; A. Grabar, Images bibliques d'Apamée et fresques de la Synagogue de Dura, in Cahiers Arch., V, 1951, p. 9 ss.; J. Fink, Noè der Gerechte in der frühchristlichen Kunst, Münster-Colonia 1955; L. Budde, Die rettende Arche Noes, in Riv. Arch. Cristiana, 1956, p. 41 ss.; R. P. J. Hooyman, Die Noè Darstellung in der frühchristlichen Kunst, in Vigiliae Christ., XII, 1958, p. 113 ss.