NITROCELLUOSE
. S'indicano con questo nome le sostanze che derivano dall'azione dell'acido nitrico sulla cellulosa.
Già fino dal 1833 H. Braconnot aveva osservato che trattando l'amido e il legno con acido nitrico eoncentrato e aggiungendo acqua si forma una sostanza, ch'egli chiamò xiloidina, facilmente infiammabile. Nel 1838 T.-J. Pelouze comunicava all'Accademia delle scienze di Parigi che trattando sostanze legnose, cotone ecc. con acido nitrico concentrato si formava una sostanza violentemente infiammabile, esplodente per percussione: egli la consigliava come buon prodotto per fabbricare fuochi di artificio. Nel 1846 C. F. Schonbein di Basilea e poco dopo R. R. Böttiger di Francoforte scoprirono che la nitrazione avveniva più facilmente e completamente facendo reagire il cotone con una mescolanza di acido nitrico e acido solforico concentrato. Dopo queste scoperte si cercò di industrializzare il processo di nitrazione, ma le forti esplosioni manifestatesi nelle fabbriche ne sconsigliarono un'ulteriore applicazione. Nel 1849, il capitano austriaco Lenk von Wolfsberg cercò di rendere più sicura la fabbricazione e la conservazione, adoperando acido nitrico molto concentrato e ispessendo le fibre. Ma l'applicazione del suo procedimento non impedì nuove esplosioni, e solo nel 1865 F. Abel, della fabbrica reale di polveri di Waltham Abbey in Inghilterra, riuscì a risolvere il problema applicando un processo di lavatura abbondante e sfibratura del cotone nitrato.
La fabbricazione delle nitrocellulose, resa possibile col sistema Abel, ebbe nuovo grande sviluppo dopo che P. Vieille nel 1880, gelatinizzando con apposito solvente, ottenne la nitrocellulosa in forma tale da potere essere impiegata come propellente nelle armi da tiro e dopo che A. Nobel nel 1889, con la scoperta dell'azione gelatinizzante della nitrocellulosa sulla nitroglicerina, apriva la via al suo impiego in altre classi di polveri, dette genericamente balistiti e corditi. Infine nuovi campi essa si è dischiusa, con le applicazioni industriali della celluloide e delle vernici a base di cellulosa.
Le nitrocellulose sono esteri nitrici della cellulosa, come si deduce dalle azioni che su di esse esercitano gli alcali, i solfuri alcalini e il cloruro ferrico. La massima percentuale di azoto teorico in esse contenuto è di 14,15%. Questo limite è però molto difficilmente raggiungibile, e non si ottiene coi procedimenti ordinarî di nitrazione. A. Hoitsema e J. Lunge, impiegando miscugli di acido nitrico concentratissimo e anidride fosforica, ottennero titoli di azoto del 13,9%.
Recentemente, con l'impiego di anidride acetica, si sono ottenuti titoli superiori, fino a 14, 10 di azoto.
Sebbene sulla vera natura della cellulosa non si abbia ancora alcuna certezza, studî recenti di K. Mayer e H. Mark condurrebbero ad ammettere che essa risulta formata da 40 ÷ 60 catene glucosiche mantenute unite da valenze secondarie o forze micellari. Ogni catena risulterebbe composta di circa 40 residui di glucosio in forma ciclica riuniti fra loro da legami glucosici, in posizione 1-4, formanti catene, dette a valenza principale, rettilinee, mentre le valenze secondarie sarebbero risultanze della forza di attrazione reciproca dei gruppi idrossilici e spiegherebbero l'insolubilità della cellulosa nell'acqua. Ora l'insieme del diagramma della cellulosa nitrata al massimo, se anche nettamente differente da quella della sostanza base, mostra lo stesso orientamento. La struttura della materia rimane inalterata nella sostituzione dei gruppi idrossilici con gruppi nitrati.
Il minimo elemento periodico rivelato dall'insieme della struttura della cellulosa è un residuo che comporta tre gruppi idrossilici. Si può quindi schematicamente indicarla con la formula (v. cellulosio)
Da questa formula, contenente tre funzioni alcooliche, derivano un mononitrato, un dinitrato e un trinitrato di cellulosa. Questo punto di vista, che è il più semplice, il primo emesso e a cui oggi si ritorna, fu contestato quando s'incominciarono a trovare nitrocellulose a composizione intermedia fra quelle dei prodotti unitarî sopra accennati. Per opera soprattutto di P. Vieille e C. I. Mendeleev si giunse ad ammettere che potevano esistere 12 gradi intermedî di nitrazione della cellulosa, ad ognuno dei quali dovevano corrispondere speciali caratteristiche fisiche e soprattutto differenze di solubilità nella miscela di alcool-etere. In progresso di studî quesie divisioni si dimostrarono non rispondenti al vero. Si ottennero, con procedimenti svariati, nitrocellulose a uguale titolo di azoto e con proprietà fisiche differenti. Oggi si ammette che la molteplicità dei tipi di nitrocellulosa derivi da miscugli, che possono essere praticamente infiniti, in differenti proporzioni, dei tre prodotti fondamentali.
Le nitrocellulose non differiscono, nell'aspetto, dal cotone comune da cui derivano. Esaminate alla luce polarizzata e al microscopio appaiono però iridescenti. Imbevute in una soluzione di iodio in ioduro potassico e poi bagnate con acido solforico si colorano in giallo, a differenza della cellulosa che dà la caratteristica colorazione azzurra. Le nitrocellulose sono solubili in nitrobenzolo, acetone; quasi totalmente, per i titoli azotometrici medî, nella miscela 2/3 di alcool-etere. Sono parzialmente solubili in alcool al 95%, quelle a basso titolo azotometrico soprattutto: più solubili e fino quasi totalmente nell'alcool assoluto, sempre per le basse nitrazioni. Con alcuni composti, come la nitroglicerina, le nitrocellulose formano dei colloidi più o meno vischiosi a seconda della natura della nitrocellulosa (grandezza molecolare) e del rapporto fra essa e la sostanza da gelatinizzare.
Fabbricazione delle nitrocellulose. - Materie prime. - La materia prima impiegata per la fabbricazione delle nitrocellulose è la cellulosa, e precisamente quella del cotone a fibre corte (linters) per la nitrocellulosa impiegata nelle polveri, e anche la cellulosa di carta per la nitrazione di prodotti commerciali, per celluloide e vernici. Oltre il cotone a fibra corta si potrebbe anche impiegare quello a fibra lunga, ma risulterebbe troppo costoso. Nei primi periodi s'impiegarono altre sostanze cellulosiche, più sempliamente, il legno. Cellulosa purificata dal legno si usò largamente in tempo di guerra. Attualmente si producono cellulose dal legno che possono competere in purezza con la cellulosa ottenuta dai linters e sono più economiche, ma esse non hanno ancora grande uso.
La cellulosa da adoperarsi per la nitrazione deve essere secca e soffice, per potersi facilmente imbevere della miscela nitrante. In tutti i casi in cui si vogliano nitrocellulose che presentino una buona conservazione nel tempo e che non abbiano quindi eccessiva tendenza alla saponificazione, occorre assicurarsi della massima purezza della cellulosa che si nitra, eliminando i prodotti affini, come ossicellulosa e idrocellulosa, che dànno nella nitrazione prodotti meno resistenti. E appunto perciò, nei capitolati di accettazione della materia prima, viene prescritto e limitato il tenore di ossi-idroeellulosa, che dal metodo analitico seguito per determinarlo viene chiamato "indice di rame" della cellulosa.
Nitrazione. - Per la nitrazione della cellulosa non s'impiega acido nitrico puro, ma mescolato con acido solforico. Il rapporto fra acido solforico e acido nitrico, il tenore di acqua della miscela, la quantità di essa in rapporto alla nitrocellulosa che si nitra, la temperatura tenuta durante il processo nitrante, sono altrettanti coefficienti, variando i quali si ottengono, a piacere, i titoli azotometrici richiesti. Questi oscillano generalmente dal 10,5 al 12% per le nitrocellulose industriali; dal 12% al 13% per le polveri da guerra.
Gli apparecchi impiegati per la nitrazione furono, all'inizio, semplici recipienti di gres, in cui venivano trattate piccole quantità di cellulosa (da 1 a 2 kg. per vaso). Chiusi da coperchi pure di gres, essi erano tenuti immersi in acqua fredda o in acqua tiepida per conservare la più opportuna temperatura di reazione: la nitrazione si lasciava compiere lentamente prolungandola fino a 24 ore per raggiungere i titoli azotometrici elevati (fulmicotoni). Dopo la nitrazione, il contenuto dei recipienti veniva rovesciato in centrifughe con cesto di ferro perforato da minutissimi fori; in esse, per forza centrifuga, si separava l'acido dalla nitrocellulosa e questa veniva poi gettata in acqua fredda e passava alle successive operazioni di lavaggio.
Questo procedimento in vasi di gres, molto costoso soprattutto per quello che riguarda la mano d'opera, venne completamente eliminato al comparire di apparecchi che servivano contemporaneamente alla nitrazione e alla centrifugazione del prodotto ottenuto, tipo classico di essi è quello di Selwig e Lange. Questo apparecchio (fig. 1) ha la caratteristica di poter imprimere al cesto due velocità di rotazione. In un primo tempo, riempiti la centrifuga di acido e il cesto di cellulosa, opportunamente distribuita in modo lento e progressivo in modo da imbevere bene i fiocchi del cotone stesso onde impedire eventuali decomposizioni, si mette in moto la macchina, facendo rotare il cesto a bassa velocità (da 30 a 60 giri al 1′). Così si mette in moto tutta la massa di acido, soprattutto quella esterna al cesto, la quale è condotta a portarsi verso le pareti interne e da queste a refluire entro il cesto, e così progressivamente, creando un moto continuo dell'acido attraverso la massa della cellulosa che contribuisce a dare la massima omogeneità al procedimento di nitrazione della cellulosa stessa. Finito questo periodo, che dura generalmente 20 minuti, si fa rotare il cesto a tutta velocità (da 700 a 800 giri al 1), aprendo uno scarico per l'acido, il quale si separa così dalla nitrocellulosa che rimane aderente alle pareti. Con tenaglie, generalmente di alluminio, si getta la nitrocellulosa in apposite canalizzazioni di gres da cui mn corrente di acqua il prodotto è portato alle tine di lavaggio. La macchina è fornita di opportune tubazioni di aspirazione per il tiraggio dei fumi acidi che si sviluppano durante tutto il procedimento. Un apparecchio Selwig e Lange può produrre 30 kg. di nitrocellulosa per ogni ora di lavoro.
Un'altra apparecchiatura molto originale è costituita dai bacini di nitrazione, sistema Thomson (fig. 2). Essa venne applicata dapprima nel polverificio inglese di Waltham Abbey, ma progressivamente si estese ad altri e venne sfruttata nella guerra mondiale. Si usa per la nitrazione un largo bacino di gres (in Italia vennero poi usati bacini di piombo) in cui si nitrano delle quantità di cellulosa ad es. da 10 a 20 kg. in 600 kg. di miscela solfo-nitrica. Durante quest'operazione sul bacino nitrante è piazzata una cappa di alluminio munita di aspiratore per i fumi acidi. Una volta terminata l'imbibizione e ben spianata la cellulosa nel bagno nitrante, si sovrappongono ad essa settori forati di gres o di alluminio, premendoli leggermente in modo che l'acido affiori appena da questi fori. Dopo, molto lentamente, vi si fa colare sopra un piccolo strato di acqua che funge da giunto idraulico e impedisce ogni emanazione acida. Si lascia in riposo il bacino il tempo prestabilito (ad es. due ore) dopo di che si apre contemporaneamente un rubinetto al di sotto del bacino e un leggerissimo e congruo afflusso di acqua al di sopra dei settori. L'acqua sposta, per strati paralleli l'acido dalla massa di nitrocellulosa imbevuta dello stesso. Praticamente non avvengono decomposizioni violente in questo procedimento; però lo spostamento provoca sempre alla superficie di delimitazione della miscela nitrante dall'acqua una leggiera denitrazione della nitrocellulosa, che si può calcolare in un o,2% di azoto. È quindi difficile col sistema Thomson ottenere titoli azotometrici molto elevati, come è difficile ottenere cotoni collodî perfettamente solubili nella miscela alcool-etere. Salvo questi inconvenienti, il metodo resta oltremodo redditizio per il grandissimo risparmio di mano d'opera e la semplicità d'installasione. La tecnica di questo procedimento porta a ottenere una piccola porzione di acidi solfo-nitrici deboli provenienti dalle ultime porzioni di separazione dall'acqua che devono essere riconcentrati con aggravio economico. D'altra parte lo spostamento d'acqua si può considerare come un ottimo primo lavaggio purificatore della nitrocellulosa stessa, talché le stabilità dei prodotti che si ottengono con procedimento Thomson sono, sempre, in grado apprezzabile, maggiori di quelli ottenuti col metodo Selwig e Lange.
Lavaggio. - Ottenuta la nitrocellulosa con una delle apparecchiature descritte, essa viene stabilizzata ulteriormente con una serie di lavaggi metodici che vengono generalmente effettuati in grandi tini di legno (fig. 3) muniti di serpentini per vapore, opportunamente costruiti in rame o in metallo resistente agli acidi debolissimi. La graduazione di questi lavaggi e la loro natura è oltremodo svariata: con il prucedimento Robertson, molto seguito, si usano lavaggi con miscele debolmente acide per solforico onde scomporre i prodotti solforici che si formano nell'azione dei bagni nitranti sopra la cellulosa. A questi lavaggi acidi vengono poi a far seguito lavaggi con carbonato di soda, ma sempre a tenore molto debole, e più lavaggi con acqua bollente.
Polpaggio. - Dopo il lavaggio, la nitrocellulosa passa al cosiddetto polpaggio, operazione che ha lo scopo di aprire l'opercolo della fibra di nitrocotone, permettendo così la fuoriuscita di quelle minime tracce di acido che vi fossero ancora rimaste. Il polpaggio si prosegue fino a che la fibra non abbia per massimo di lunghezza 2/10 di mm. e si compie nelle cosiddette "pile olandesi" (fig. 4) del tipo di quelle impiegate nella fabbricazione della carta. Il corpo di queste macchine è in ferro oppure in cemento e in quest'ultimo caso è rivestito di maiolica; i coltelli sono in bronzo piuttosto che in ferro.
Stabilizzazione definitiva; purificazione, immagazzinamento. - Dopo il polpaggio, la nitrocellulosa viene canalizzata in altri gruppi di tini, dove si compie il vero processo definitivo di stabilizzazione.
Questo ha luogo con successivi lavaggi, generalmente non meno di sei, compiuti non con sostanze alcaline, ma semplicemente con acqua pura e bollente.
Dopo la stabilizzazione, la nitrocellulosa viene purificata dalle eventuali sostanze estranee che può contenere, schegge di legno, particelle di ferro, ecc., in apposite macchine, del tipo di quelle che servono a purificare la cellulosa per carta, infine viene centrifugata e inviata umida al 30% di acqua nei depositi o magazzini.
Nella tecnica della fabbricazione delle polveri, la nitrocellulosa contenuta nelle polveri a nitroglicerina, viene impiegata ancora umida; quella che viene impiegata per polveri a nitrocellulosa pura viene seccata o mediante aria calda in appositi magazzini essiccatoi, oppure, questa operazione essendo da considerarsi molto pericolosa, viene disidratata con alcool e impiegata imbibita con esso.
Vischiosità. - In certi prodotti commerciali (gomme, gelatine, ecc.) interessa impiegare la massima quantità di nitroglicerina gelatinizzata fortemente dalla minima quantità di nitrocellulosa, utilizzando la proprietà specifica che ha questa di formare con la nitroglicerina un colloide. Ora poiché la capacità della nitrocellulosa di assorbire una maggiore o minore quantità di nitroglicerina è in funzione della sua vischiosità, ossia in dipendenza della sua grandezza molecolare, ne deriva che questa qualità fisica ha grande importanza. Anche per la produzione delle vernici alla cellulosa, del celluloide, ecc. occorre che venga regolato il requisito della vischiosità. Fino a qualche tempo fa, la vischiosità della nitrocellulosa non poteva essere regolata esattamente dipendendo soltanto dalla natura del cotone impiegato e dai trattamenti che questo aveva subito nel procedimento di sbianca. Oggi invece essa si regola esattamente, agendo sopra la nitrocellulosa stabilizzata, cuocendola in apposite autoclavi sotto pressione e in presenza di acqua bollente: gli apparecchi sono costruiti in acciaio antiacido, con opportune proporzioni, ad es. di cromo. L'operazione è condotta fino a una temperatura di 130°: la durata della cottura e della pressione influiscono sulla vischiosità, determinando evidentemente una depolimerizzazione della molecola. Dutante la cottura si liberano piccole quantità di acido nitroso, per le quali si rende necessario l'uso di un particolare tipo di acciaio negli apparecchi.
Conservabilità. - La possibilità di una conservazione della nitrocellulosa nel tempo (stabilità) ha importanti riflessi per la sua utilizzazione nelle polveri da guerra. La nitrocellulosa in sé è un composto non fondamentalmente instabile, ma labile. Piccole tracce di acido, temperature anche mediocremente elevate possono iniziare la saponificazione dei gruppi nitrici, e, una volta iniziata, il processo si può accelerare e diventare autocatalitico, ove intervengano speciali condizioni di massa e di temperatura. Il processo può quindi anche culminare in autodeflagrazioni violente e intense, di cui si sono avuti numerosi esempî.
La buona fabbricazione delle nitrocellulose conduce a prodotti conservabili lungamente. L'aggiunta di speciali sostanze, le quali con gli ossidi nitrosi dànno composti più stabili e comunque fissano questi ossidi stessi impedendo la loro azione autocatalitica, ha aumentato notevolmente la conservabilità delle nitrocellulose. Tra i prodotti più impiegati a questo scopo citiamo la difenilamina, le uree sostituite (dietidifenilurea simmetrica, ecc.). Questi composti dànno prodotti di nitrazione perfettamente definiti e fino alla loro saturazione in questo senso garantiscono l'ottima conservazione della nitrocellulosa in cui sono contenuti.
Saggi. - Per saggiare la resistenza delle nitrocellulose si sono impiegati metodi svariatissimi. Il primo, e anche oggi il più usato, è la prova alla carta amidoiodurata (prova Abel). Si sono anche adottati procedimenti che seguono lo svolgersi dei vapori nitrosi ad alta temperatura, permettendo misurazioni volumetriche o acidimetriche, impiegando per questo ultimo scopo, e per la maggiore sensibilità, anche i metodi potenziometrici (determinati dal pH). Bisogna tenere presente che poiché non si è riusciti ancora a trovare metodi di determinazione della stabilità delle nitrocellulose che controllino questo valore alla temperatura pratica cui si conserva il prodotto, tutti gl'indici ottenuti con le differenti prove di determinazione sono applicati al caso pratico solo per interpolazione.
Prodotti e usi. - Per quanto, a seconda delle proporzioni degli acidi nitrico e solforico e del cotone, delle condizioni di durata e di temperatura ecc., i prodotti della nitrazione della cellulosa risultino diversi per composizione e caratteri fisico-chimici, in pratica essi vengono distinti in: 1. fulmicotone o cotone fulminante, detto anche nitrocellulosa o impropriamente trinitrocellulosa (fr. coton poudre, fulmicoton; sp. algodon pólvora; ted. Schiessbaumwolle, Schiesswolle; ingl. gun cotton); 2. cotone collodio, detto anche nitrocellulosa solubile o impropriamente dinitrocellulosa (fr. coton collodion, coton poudre soluble; sp. algodon colodio; ted. Kollodiumwolle; ingl. collodion-cotton). Il primo si ottiene generalmente dalla nitrazione del cotone con una miscela di circa 3 parti di acido solforico e 1 parte di acido nitrico concentrato, a bassa temperatura; ha i più alti titoli azotometrici (13-13,2) ed è costituito da una miscela di esteri in cui predomina la endecanitrocellulosa. Il secondo si ottiene generalmente dalla nitrazione del cotone con una miscela di acidi meno concentrati, in cui il solforico sta al nitrico nelle proporzioni di 1,3-3 ad 1, e la percentuale di acqua fra 15 e 20: esso ha titoli azotometrici più bassi (cotone colloide 12,2%, cotone pirocolloide 12,2-12%) ed è costituito prevalentemente dalla ennecanitrocellulosa. Il fulmieotone dovrebbe anche, a differenza del cotone collodio, essere insolubile nella miscela etereo-alcoolica, ma, in pratica, a seconda delle condizioni di preparazione, si ottengono prodotti ad alto titolo di azoto anche solubili o viceversa, come pure prodotti intermedî, parzialmente solubili.
Il fulmicotone, prima della comparsa del trinitrotoluene (tritolo) nel campo degli esplosivi da scoppio bellici, fu largamente usato per le cariche delle teste di siluri e delle mine in generale. A questo scopo, esso era finissimamente polverizzato e inumidito con l'aggiunta di circa il 20% di acqua e l'1-2% di carbonato di calcio allo scopo di dargli maggiore stabilità, raggiungendo un peso specifieo medio di 1,20-1,25. In queste condizioni esso poteva essere tornito come il legno, dandogli le opportune sagomature in modo che, generalmente, la carica delle teste dei siluri, a forma ogivale, veniva composta di molti pezzi a differenti profili, che con molta esattezza costituivano il tutto incastrandosi l'uno all'altro. Negli ultimi tempi dell'impiego del fulmicotone, con presse più potenti, si ottennero le cariche in un solo pezzo: l'esplosivo era molto sicuro nell'uso e si conservava senza inconvenienti. L'innesco per farlo detonare era costituito da una carica cilindrica interna di fulmicotone secco, la quale attraversava tutta la testa del siluro. A sua volta il fulmicotone secco veniva fatto detonare da un innesco di fulminato di mercurio. Progressivamente però l'acido picrico e più il tritolo hanno eliminato l'impiego del fulmicotone a questo scopo.
Il cotone collodio è adoperato per la preparazione delle gelatine esplosive e delle gelatine-dinamiti, delle polveri senza fumo e di altri esplosivi. Quello a basso titolo di azoto serve anche per la preparazione del collodio, del celluloide, di alcuni tipi di rayon, di vernici e lacche, di lastre e pellicole fotografiche e cinematografiche.