VALERI, Nino
– Nacque a Padova il 28 aprile 1897 da Silvio e da Emilia Maestro, primo di due figli: il secondo, Arnaldo, seguì le orme del padre e fece, come lui, il farmacista tutta la vita.
Fratelli del padre furono Ugo, tra i più interessanti pittori del primo Novecento italiano, morto precocemente nel 1911, e Diego, noto poeta e poi docente di letteratura francese all’Università di Padova (v. la voce in questo Dizionario). La madre era di famiglia ebraica, figlia di un rabbino.
Nino compì gli studi liceali a Venezia, ma la sua vera formazione si svolse sulle riviste fiorentine primonovecentesche, da La Voce a Lacerba. In politica anch’egli risentì della grande presa del ‘mussolinismo’ e fu lettore assiduo degli esplosivi editoriali del giovane direttore dell’Avanti!.
Nel 1915 Valeri seguì la famiglia a Torino, dove il padre era divenuto dipendente dell’Alleanza cooperativa torinese: qui si iscrisse alla facoltà di lettere e conobbe Carolina Torretta, che doveva poi diventare sua moglie. Richiamato alle armi nell’estate del 1917, dopo il corso allievi ufficiali, dall’artiglieria, a cui era stato primamente destinato, passò all’aviazione. Nella seconda metà del 1919 fece parte delle truppe del generale Pietro Badoglio, nominato, dopo la spedizione dannunziana su Fiume, commissario straordinario militare per la Venezia Giulia, e quindi ebbe un contatto diretto con la realtà del ‘fiumanesimo’ e dei suoi miti, che doveva trasformarsi in problema storico oltre quarant’anni più tardi. Dopo il congedo si laureò in fretta a Torino con una tesi orale (come era allora consentito ai reduci). Nel 1920 fu iniziato in massoneria, nella loggia nazionale della Gran Loggia d’Italia (A.A. Mola, Storia della Massoneria in Italia dal 1717 al 2018, Firenze-Milano 2018, p. 529).
Si trasferì a Roma, dove si impegnò nella nascente industria cinematografica come aiutoregista, ma fu ‘richiamato all’ordine’ dalla fidanzata, che riuscì a riportarlo a Torino, sposarlo e avviarlo alla carriera di insegnante liceale, dopo regolare concorso. Fu un gruppo di amici, fra cui primeggiava Giorgio Falco, professore di storia medievale e moderna all’Università torinese, a costruirgli il passaggio all’Università. Le sue prime pubblicazioni (alcune edizioni scolastiche di Giordano Bruno, Marco Tullio Cicerone e Jean-Jacques Rousseau) furono piuttosto di filosofia che di storia: la sua vera opera prima fu, infatti, il saggio Campanella pubblicato a Roma nel 1931 nella collana Profili dell’editore Formiggini.
Negli anni successivi precisò i suoi interessi, appunto sotto l’ala di Falco. A partire dal 1934, con una serie di vasti saggi apparsi spesso sul Bollettino storico-bibliografico subalpino e poi in successivi volumi, venne studiando l’intricatissima storia dell’Italia fra Tre e Quattrocento: in particolare la vita di un così caratteristico condottiero come Facino Cane (La vita di Facino Cane, Torino 1940) e di quel grandissimo fra i signori del Rinascimento che fu Giangaleazzo Visconti (L’eredità di Giangaleazzo Visconti, Torino 1938).
La complicata storia italiana di quel secolo gli sembrò oscillare fra due indirizzi ideologici e politici opposti: l’uno tendenzialmente monarchico unitario, impersonato con maggiore risolutezza nella Milano viscontea; l’altro, sostanzialmente conservatore, mirante al mantenimento dello statu quo, rappresentato dalla Repubblica fiorentina e dalla sua aspirazione a opporre al «tiranno» la difesa delle libertà repubblicane. S’impose la necessità di una pacifica coesistenza, il cosiddetto equilibrio, che si rivelò tuttavia incapace di resistere all’ondata conquistatrice delle grandi monarchie d’Occidente.
Valeri cercò di concretare questo asse interpretativo in due successivi lavori: La libertà e la pace. Orientamenti politici del Rinascimento italiano (Torino 1942) e L’Italia nell’età dei principati: dal 1343 al 1516 (Milano 1949), quinto volume della Storia d’Italia illustrata dell’editore Mondadori. Ma anche il Settecento attirò la sua attenzione: Carlo Goldoni e soprattutto Pietro Verri, a cui dedicò una brillante biografia, anticipata a puntate sulla Nuova Antologia (Pietro Verri. Un rivoluzionario del Settecento, Milano 1937).
Con questa robusta produzione, Valeri vinse nel 1943 un concorso per la cattedra di storia moderna all’Università di Catania, ma gli eventi bellici lo tennero lontano per quasi due anni dalla sua sede: trascorse l’inverno 1943-44 a Cortona a stretto contatto con i fratelli Pietro e Luigi Pancrazi e con Giacomo De Benedetti, «preparandosi l’anima» – come avrebbe poi scritto – «ad accogliere nuovamente la libertà» (La lotta politica in Italia, Firenze 1945, p. V). Fra guerra e dopoguerra, operò una svolta verso la storia contemporanea, il cui primo frutto fu la fortunatissima antologia La lotta politica in Italia. Idee e documenti (Firenze 1945, poi più volte aumentata e ristampata), che voleva riproporre alle generazioni formatesi sotto il fascismo le voci principali del dibattito politico del cinquantennio liberale e i nodi problematici di quella storia.
Nel giudizio storico, ricorrente era il ricorso alle pagine della Storia d’Italia di Croce, ma anche a quelle di Luigi Salvatorelli, Gaetano Salvemini, delle Memorie di Giovanni Giolitti, e (magari come controcanto) anche dei libri di Gioacchino Volpe. L’ultimo capitolo era dedicato a Le speranze: Piero Gobetti, Carlo Rosselli, Antonio Gramsci e il gruppo dell’Ordine nuovo, Luigi Einaudi, Leonida Bissolati e Croce. Nessuna voce del mondo cattolico-democratico che pur si apprestava a prendere in mano le redini del Paese.
L’ambiente torinese degli anni Trenta era stato uno dei centri della cultura crociana in Italia: un crocianesimo divenuto – si potrebbe dire – canone empirico di interpretazione storica e approccio morale alla politica e alla vita. Con la grande libertà che gli era propria, Valeri vi aveva trovato un orientamento duraturo, sul piano storiografico e politico. Anch’egli partecipò al dérapage a sinistra di buona parte della cultura storicistico-crociana del dopoguerra, nella convinzione che il liberalismo laico, più che il nuovo partito cattolico, avesse come naturale interlocutore la sinistra marxista: così, in occasione delle elezioni politiche del 1948, aderì (con lo zio Diego) all’Alleanza per la difesa della cultura, espressione del Fronte democratico popolare (N. Ajello, Intellettuali e PCI 1944-1958, Roma-Bari 1979, p. 158); e ancora in quelle del 1953 si impegnò in Unità popolare, la formazione fondata da Ferruccio Parri che combatté a fianco dei partiti di sinistra contro la legge elettorale maggioritaria degasperiana.
Si è talora attribuito questa punta di radicalismo a una sua ispirazione gobettiana, il cui documento più significativo sarebbe l’Antologia della “Rivoluzione Liberale” da lui curata (Torino 1948). In realtà, Valeri non fu mai un gobettiano, ma assai presto, dall’edizione dei Discorsi extraparlamentari di Giolitti (Torino 1952) preceduti da un lungo saggio introduttivo, fu piuttosto l’uomo di Dronero il personaggio centrale e positivo della sua lettura dell’Italia liberale: mentre considerò Gobetti piuttosto un epigono della cultura antigiolittiana. Rispetto alla classica interpretazione crociana, che pure sostanzialmente faceva propria e sviluppava, Valeri sottolineava il tratto ‘empirico’ della personalità e della politica giolittiana, la sua capacità di intuire la qualità dei tempi e – piuttosto che dominarli – di cercare di ‘navigare’ in sintonia con essi, usando spregiudicatamente anche le iniziative degli avversari. Questa ‘magia empirica’ non riuscì tuttavia a controllare i momenti di crisi, a cui la sensibilità dello storico fu sempre particolarmente attenta, soprattutto la crisi del dopoguerra, a cui Valeri doveva dedicare un altro fortunato volume (Da Giolitti a Mussolini. Momenti della crisi del liberalismo, Firenze 1956). All’uomo politico piemontese avrebbe infine dedicato un’ampia biografia dopo il suo ritiro dalla cattedra (Giolitti, Torino 1971).
Intanto, aveva lasciato Catania (dove aveva avuto come allievo Rosario Romeo) e si era trasferito a Trieste, insegnandovi dal 1947 al 1954, per poi passare a Roma, facoltà di magistero, per succedere infine, nel 1961, a Federico Chabod in quella romana di lettere.
La sua visibilità presso il pubblico colto veniva aumentando per la collaborazione alla terza pagina di alcuni importanti quotidiani (Il Resto del Carlino di Giovanni Spadolini e La Nazione di Firenze) e per la sua costante partecipazione alla miriade di lezioni e pubbliche iniziative che, dopo il 1960, si svolsero su fascismo, antifascismo e Resistenza. Giunse a essere il coordinatore di alcune ambiziose iniziative editoriali della UTET come la Storia d’Italia (1959-1960), pubblicata in cinque volumi in occasione del centenario dell’Unità d’Italia, al primo dei quali contribuì con un ampio saggio su Le origini dello Stato moderno in Italia (1328-1450), e la collana di biografie La vita sociale della nuova Italia, che si inaugurò significativamente con Benedetto Croce, di Fausto Nicolini (1962). Valeri vi avrebbe inserito la sua già ricordata vita di Giolitti; un’altra ne avrebbe voluto dedicare a Filippo Turati, da lui sempre considerato organico al ‘sistema’ giolittiano: alcuni lacerti ne furono pubblicati poi in Turati e la Kuliscioff (Firenze 1974).
Già in Da Giolitti a Mussolini, e poi più risolutamente in D’Annunzio davanti al fascismo (Firenze 1963), Valeri avviava un processo di revisione critica della figura politica di Gabriele D’Annunzio, per l’innanzi valutato dalla pubblicistica antifascista quasi esclusivamente per i suoi tratti istrioneschi e come anticipatore del fascismo, sottolineando la complessità dell’immaginario e dell’ideologia dannunziani e la natura rivoluzionaria del fiumanesimo. Dopo il pensionamento dall’università, la sua salute andò progressivamente declinando: Spadolini patrocinò la stampa di una sua raccolta di articoli (Tradizione liberale e fascismo, Firenze 1971) e un’altra Valeri pubblicò presso Laterza (Dalla Belle époque al fascismo: momenti e personaggi, Roma-Bari 1975).
Morì a Roma il 26 aprile 1978.
A vent’anni dalla morte, l’allievo triestino Giulio Cervani raccolse meritoriamente una serie di sue Pagine recuperate (Udine 1998).
Fonti e Bibl.: Non esiste una bibliografia compiuta degli scritti storici e giornalistici di Valeri. Per una prima valutazione critica, A. Colombo, Ha raccontato l’Italia del Novecento, in Corriere della sera, 29 aprile 1978; G. Spadolini, N. V. un grande storico, in La Stampa, 30 aprile 1978. A un livello critico decisamente superiore, R. Romeo, Bohémien in cattedra, in Il Giornale nuovo, 13 maggio 1978 (poi in Id., Scritti storici, 1951-1987, Milano 1991, pp. 325-328). I testi di una pubblica commemorazione voluta dall’Università di Trieste sono in C. Musatti - G. Cervani - S. Zeppi, Ricordo di N. V., Roma 1978. Sulle iniziative editoriali coordinate da Valeri molti elementi in A. Musi, Storie d’Italia, Brescia 2018, passim.