NINO PISANO
Scultore e orafo toscano operante nel corso del Trecento, figlio di Andrea Pisano, documentato tra il 1349 e il 1368, ma probabilmente attivo nella bottega del padre già dal 1343.N. è menzionato per la prima volta a Orvieto il 22 ottobre 1349 (Moskowitz, 1986, doc. 57, p. 204), quando gli viene corrisposto un compenso per la direzione dell'Opera del duomo ed è inoltre rimborsato della spesa degli strumenti da scultore; il 17 novembre 1349 è documentato come capomaestro della cattedrale di Orvieto, ruolo che può aver occupato fino al 1350 (Moskowitz, 1986, p. 5, n. 27; doc. 59, p. 204). La successiva menzione di N. risale all'aprile 1358 (Moskowitz, 1986, doc. 62, pp. 204-206), quando a lui e ad altri due orafi vennero commissionati per l'Opera del Duomo di Pisa una pala d'altare in argento ornata da sculture e degli insignia in smalto, opere tutte scomparse. Nel maggio dello stesso anno venne pagato per restaurare una tromba d'argento appartenente al Comune di Pisa (Moskowitz, 1986, doc. 63. p. 206). Dopo la morte dell'arcivescovo pisano Giovanni Scherlatti, nel febbraio 1362, gli esecutori testamentari dell'ecclesiastico stipularono con N., definito "aurifex et magister et sculptor lapidum", un contratto perché realizzasse il monumento funebre del defunto (Moskowitz, 1986, docc. 66-67, pp. 207-209). Nel testo vengono specificati sia la forma, sia i motivi scultorei, sia la data di conclusione dei lavori, entro quindici mesi. Un terminus ante quem per la morte di N. è fornito da un documento del 5 dicembre 1368 (Moskowitz, 1986, doc. 68, p. 209), data in cui il figlio Andrea ricevette venti fiorini d'oro che il Comune di Pisa doveva a N. per la tomba del doge Giovanni dell'Agnello, oggi scomparsa, sulla facciata della chiesa di S. Francesco. Kreytenberg (1984) ha attribuito a un tale Andrea di Nino un corpus di opere - poi ampliato da Bagnoli (1985) e ancora da Kreytenberg (1989) -, anche se non esiste alcuna testimonianza che comprovi l'attività di scultore da parte del figlio di Nino.Sono solo tre le statue che portano la firma di N. e nessuna di esse è datata. Altre tre opere scultoree gli vennero attribuite da Vasari (Le Vite, II, 1967, pp. 158-159), mentre una messe di statue e di rilievi è stata assegnata in epoca moderna a N. e/o al padre Andrea (autore dei battenti in bronzo per il portale meridionale del battistero di Firenze, conclusi nel 1336, e dei rilievi del campanile del 1337-1343 ca.), e al fratello Tommaso (autore, probabilmente intorno al 1370, del grande altare nel S. Francesco a Pisa). Le opere firmate da N. sono la Madonna con il Bambino in S. Maria Novella a Firenze, un'altra statua di soggetto analogo appartenente al monumento Cornaro nella chiesa veneziana dei Ss. Giovanni e Paolo e un santo vescovo nel S. Francesco a Oristano.Vasari (Le Vite, II, 1967, p. 158) asserisce che la Madonna in S. Maria Novella, la prima opera di N., fu iniziata da Andrea e completata dal figlio. A quest'ultimo attribuisce inoltre la Madonna con il Bambino, detta Madonna della Rosa, in S. Maria della Spina a Pisa, la Madonna del Latte (Pisa, Mus. Naz. e Civ. di S. Matteo) e il gruppo dell'Annunciazione, che ora è conservato nella chiesa di S. Caterina a Pisa (Milanesi, in Vasari, Le Vite, 1878, p. 489).Quanto scritto da Vasari fa sorgere problemi rilevanti. Se le tre sculture pisane che egli attribuisce a N. denunciano reciproci legami di stile, è però remota ogni loro affinità stilistica con le statue di Firenze, Venezia e Oristano, firmate dallo scultore; è per questo che alcuni studiosi hanno respinto l'attribuzione a N. di una tra le tre opere firmate (Toesca, 1950; Wolters, 1976), mentre altri hanno rifiutato la tradizione vasariana, attribuendo una o più di queste sculture ad Andrea Pisano o ad altri artisti (Lányi, 1933; Becherucci, 1963-1965; Moskowitz, 1986). Tutto ciò si spiega con le grandi differenze nella percezione della qualità delle singole opere d'arte firmate da N. o tradizionalmente associate al suo nome. Le variazioni su temi quali lo stile o la cronologia sono state numerose e contraddittorie e hanno portato a un'oscillazione tra un numero relativamente ristretto di sculture attribuite a N. da Moskowitz (1986) e le ca. cinquanta opere ascritte al maestro da Kreytenberg (1984). Burresi (1983), sviluppando un'ipotesi di Becherucci (1963-1965), ha inteso come opere di collaborazione tra Andrea e N. più di una dozzina di statue e rilievi.Delle tre sculture firmate, il santo vescovo nel S. Francesco di Oristano è quella che sotto il profilo stilistico si avvicina maggiormente all'opera di Andrea. Molte tra le figure realizzate da quest'ultimo si caratterizzano per un forte slancio verso un'aggraziata torsione gotica e contemporaneamente per un contenimento di tale impulso di modo che le forme assumano una gravitas fisica e psicologica di matrice giottesca. Il santo vescovo di N. esprime un equilibrio tra il senso di gravità, che curva verso il basso e appesantisce tanto la figura quanto il panneggio, e il contrastante volgersi verso l'alto della spirale del corpo e sollevarsi delle pieghe del panneggio, culminanti nella torsione del capo. La tipologia del volto del vescovo appare numerose volte sui battenti del portale del battistero fiorentino, per es. nel personaggio all'estrema destra nella scena del Seppellimento di Giovanni Battista. Entrambe le figure, che appaiono nel contempo idealizzate e tuttavia caratterizzate da notevoli particolari realistici, mostrano un analogo atteggiamento psicologico: una sfumatura di profonda ansietà disturba le fisionomie altrimenti serene e idealizzate. La concezione della figura umana così come appare nella statua di Oristano nasce quindi dagli ideali che sono alla base dell'arte di Andrea Pisano. Una serie di particolari - soprattutto le braccia e le mani - indicano, tuttavia, come l'autore di quest'opera non sia ancora in grado di dominare appieno ogni singolo dettaglio della propria abilità di scultore.Posta a confronto con altre opere firmate, la Madonna con il Bambino nella chiesa fiorentina di S. Maria Novella è stilisticamente l'opera più lontana dalle figure che Andrea realizzò per la porta del battistero e per il campanile del duomo della stessa città. Inoltre nella Madonna con il Bambino l'equilibrio classico e il naturalismo che pervadono la figura del santo vescovo sono quasi completamente assenti. La Madonna, nel suo atteggiamento sinuoso, quasi in assenza di peso, fa in modo che il panneggio si disponga secondo criteri che paiono più decorativi che dovuti a posizione e pesantezza effettive. L'impacciata torsione della mano del santo vescovo si trasforma nella Madonna in un volgersi elegante, quasi manierato. Inoltre, mentre nella testa di Oristano si avverte un profondo legame tra la sottostante struttura ossea (o cartilaginea, come nel naso) e le morbide forme carnose che la ricoprono (peculiarità questa che si ritrova ugualmente nella scultura di Andrea), la testa della Madonna è costituita da una materia più omogenea, malleabile e sensuale. Se la morbidezza del panneggio e la fattura delle superfici marmoree sono quasi identiche a quelle del santo vescovo, poche opere d'arte associate al nome di N. meritano al pari della Madonna fiorentina l'apprezzamento di Vasari per le capacità di N.: "Si può dire che Nino cominciasse veramente a cavare la durezza de' sassi e ridurgli alla vivezza delle carni" (Le Vite, II, 1967, p. 159).Come per la statua del vescovo, alcuni particolari caratteristici sembrano aver attinto direttamente dalla scultura di Andrea. La forma ovoidale della testa, che si allarga dolcemente in corrispondenza delle guance, e il sorriso evocativo, che volge al sentimentale, appaiono in numerose figure che decorano la porta del battistero fiorentino. L'esagerata posizione di contrapposto - con la curva a S che culmina nel volgersi in basso della testa - nel battente compare una volta nella figura del suonatore di violino nella scena della Danza di Salomè. Visti di spalle, i gomiti emergenti della statua della Madonna, che tendono la stoffa creando ampie curve ondeggianti, riecheggiano analoghi particolari della scena con il Seppellimento di Giovanni Battista. Questo confronto preciso, tuttavia, rivela quanto in effetti N. si fosse discostato da quella che virtualmente è una costante nelle opere di Andrea, ovvero l'equilibrio tra struttura ed elementi decorativi, preferendo privilegiare questi ultimi. Mentre nelle figure di Andrea il panneggio rispecchia il corpo sottostante, in modo che l'emergere e il recedere delle forme anatomiche possano essere individuati con chiarezza, nella Madonna di N. tali forme scompaiono, lasciando il posto invece all'astratto gioco decorativo creato dalle curve del panneggio.La terza statua firmata, la Madonna con il Bambino del monumento Cornaro nella chiesa veneziana dei Ss. Giovanni e Paolo, si trova in qualche modo in una posizione intermedia tra questi due poli. Da un lato l'enfasi data ai ritmi decorativi lineari e l'accentuata curva a S della posa richiamano caratteri analoghi presenti nella Madonna fiorentina; dall'altro l'atteggiamento assunto dalla figura veneziana si rivela meno ondeggiante, le proporzioni appaiono meno allungate, la torsione dei polsi è più naturalistica e l'impressione di equilibrio nella struttura e nella posizione assunta è molto maggiore che nella statuetta fiorentina. In sintesi essa rivela qualcosa dell'equilibrio e della gravità giotteschi che avevano trovato applicazione nella figura del santo vescovo. Il paffuto Bambino, solidamente costruito e più largo nei fianchi che nelle spalle, contrasta con le forme allungate e snelle del Bambino appartenente alla statua fiorentina.Posta a confronto con la figura di Oristano, tuttavia, la Madonna veneziana mostra una minore diversità tra gli zigomi e il mento e le parti carnose che li ricoprono. In ogni caso, però, entrambi i volti hanno una struttura interna più solida rispetto a quello della Madonna fiorentina, con le sue superfici levigate. Infine, lo sguardo affettuoso della Madonna veneziana appare più sobrio, più trattenuto rispetto al sorriso quasi sdolcinato della Vergine di Firenze.Andrea Pisano, in qualità di scultore di maggior rilievo per il suo tempo, dovette esercitare un significativo influsso sulla formazione del figlio, almeno nella prima fase. Appare molto probabile che l'evoluzione di N. abbia preso avvio da uno stile vicino a quello di Andrea, per poi muoversi in direzione di uno stile sempre più sensibile a influssi stranieri e comunque diversi. La Madonna veneziana e quella fiorentina permettono di ipotizzare che N. si sia allontanato dagli ideali artistici della sua prima fase, generatisi sotto l'influsso paterno, per approdare a una più fluida interpretazione della forma, nella quale l'equilibrio strutturale non costituisce elemento determinante. La Madonna veneziana, perciò, sembrerebbe essere la seconda, mentre quella di Firenze sarebbe l'ultima tra le sculture firmate di Nino. Weinberger (1937), al contrario, ha visto nelle opere di N. una sempre crescente influenza delle sculture di Andrea, mentre Burresi (1983) e Kreytenberg (1984) hanno suggerito cronologie diverse e alternative.Delle tre Madonne non firmate e prive di documentazione, attribuite da Vasari a N., la Madonna in S. Maria della Spina e la Madonna del Latte sembrano piuttosto da ascrivere ad Andrea (Burresi, 1983; Kreytenberg, 1984; Moskowitz, 1986). D'altra parte il gruppo con l'Annunciazione nella chiesa di S. Caterina, secondo quanto attesta Vasari (Le Vite, II, 1967, p. 159) recante la data 1370 e la firma di N. - che peraltro nel dicembre 1368 doveva essere già defunto -, è opera di un maestro anonimo che risentì degli influssi di Andrea, di N. e del contemporaneo Alberto di Arnoldo. Moskowitz (1986) attribuisce le figure in S. Caterina all'autore della Madonna con il Bambino nel santuario dell'Annunziata a Trapani (Burresi, 1983; Kreytenberg, 1984). Il legame tra il gruppo in S. Caterina e il nome di N. potrebbe ben derivare dall'esistenza di un modello (ipotetico, ma perduto) per questa e per numerose altre rappresentazioni dell'Annunciazione a carattere monumentale, la cui impressionante immediatezza era ottenuta sia grazie a una naturalistica policromia sia tramite gesti espressivi e sguardi comunicativi in grado di attraversare ampi spazi.Fondamento delle attribuzioni a N. devono restare le tre opere firmate e non le figure attribuitegli da Vasari o assegnategli da una tradizione acritica. Sebbene possa apparire privo di criterio il tentativo di datare con troppa precisione le sculture che, tramite un'analisi rigorosa, potrebbero plausibilmente essere attribuite a N., ciò nonostante si potrebbe comunque tentare di fissare una cronologia generale basata sui pochi documenti, sulle opere firmate e sulla relazione tra opere attribuite e sculture firmate.Il santo vescovo è la prima opera nota di N. prodotta nella bottega pisana di Andrea, nel periodo tra il 1343 e il 1347. Il monumento funebre per l'arcivescovo Simone Saltarelli (m. nel 1342) in S. Caterina a Pisa, ascritto per la prima volta a N. da Da Morrona (18122), è stato oggetto di giudizi contraddittori in merito a qualità e attribuzione. La concezione drammatica degli aspetti architettonici e del programma della tomba, così come lo stile della Madonna, assai vicini alla figura di S. Maria della Spina, ne precludono l'appartenenza a Nino. Poiché l'opera fu concepita e realizzata nella bottega pisana di Andrea, è possibile che a N. si debbano alcune figure; in particolare sono vicine al suo stile la figura di angelo alla destra della Madonna e l'effigie del giacente. I due santi che sormontano il sarcofago, sebbene in qualche modo di qualità inferiore per disegno e per esecuzione, furono indubbiamente realizzati sotto la diretta guida di Nino. Appartiene ugualmente a questo periodo la statuetta di S. Francesco (Pisa, Mus. dell'Opera della Primaziale Pisana), in cui convivono un accentuato senso del peso e della gravità e al tempo stesso, nel contrapposto e nel ricadere del panneggio, un'eleganza trattenuta; entrambi questi caratteri sono peculiari della precoce statua di Oristano e dell'angelo della tomba di S. Caterina a Pisa, leggermente più tardo.Intorno al 1345 N. dovette eseguire la Madonna con il Bambino e le figure di santi e angeli nel monumento Cornaro a Venezia. Queste sculture non furono necessariamente realizzate per la tomba del doge; più probabilmente vennero eseguite a Pisa e inviate a Venezia soltanto nel 1368, all'epoca della morte del doge (Toesca, 1951; Becherucci, 1963-1965; Wolters, 1976; Kreytenberg, 1984; 1989). Recenti indagini tecniche confermano che mentre i modi di applicare la policromia alle statue di marmo si conformavano a quelli delle tombe pisane, attribuite a N., dell'arcivescovo Giovanni Scherlatti e di Francesco Moricotti (Pisa, Mus. dell'Opera della Primaziale Pisana), le parti del monumento Cornaro in pietra d'Istria (l'effigie e l'inquadramento architettonico) presentano una coloritura secondo l'uso veneziano. Questa circostanza e alcune considerazioni stilistiche permettono di allontanare la cronologia delle statue da quella della tomba (Sponza, 1987). Certamente l'intervallo tra il gennaio 1368, quando il doge morì, e il dicembre dello stesso anno, terminus ante quem della data di morte di N., sembra un tempo difficilmente sufficiente per il progetto, l'esecuzione e l'invio da Pisa a Venezia di una complessa tomba monumentale con cinque grandi figure. Secondo un'ipotesi suggestiva elaborata da Sponza (1987), alcune tra le figure del monumento Cornaro sarebbero state in origine destinate alla tomba del doge Giovanni dell'Agnello, lasciata poi incompleta dopo l'espulsione dello stesso.Verso la fine del primo periodo pisano (1343-1347) l'opera di N. mostra una crescente assimilazione di elementi del Gotico settentrionale. A tale fase appartiene il S. Pietro che si accompagna alla Madonna a S. Maria della Spina.In un documento del 1348 appare citata una Maestà parzialmente completata a Pisa e quindi inviata a Orvieto (Moskowitz, 1986, doc. 52, p. 203). Questo riferimento è stato messo in relazione con una Maestà conservata appunto nella città umbra (Orvieto, Mus. dell'Opera del Duomo); in essa la Madonna e l'angelo di sinistra sono generalmente attribuiti ad Andrea, mentre l'angelo di destra si accorda maggiormente con lo stile di N. (di opinione diversa Burresi, 1983), ancora attivo nella bottega paterna. Nell'ottobre 1349 N. era capomaestro alla cattedrale di Orvieto, ma nessun'altra opera presente in quella città può essergli convincentemente attribuita.Infine, tra le opere maggiori legate al nome del maestro, vanno menzionate le già citate tombe dell'arcivescovo pisano Giovanni Scherlatti e di Francesco Moricotti. Nel contratto veniva stabilito che N. dovesse realizzare e installare nel duomo di Pisa una tomba a parete in marmo di Carrara, in cui fosse prevista l'immagine del giacente fiancheggiata da angeli, anch'essi in marmo. Il monumento, sormontato da un arco polilobato nello stesso marmo, doveva contenere sulla fronte del sarcofago al centro una Pietà fiancheggiata da angeli con ai lati le immagini della Vergine e di S. Giovanni Evangelista, ciascuna fiancheggiata da due angeli; erano inoltre previsti i Ss. Pietro e Paolo. Il sarcofago infine avrebbe dovuto probabilmente essere sostenuto da mensole sormontate da tre archi polilobi. Tutto l'insieme doveva essere realizzato sulla base di un disegno fornito da N. agli esecutori e per il monumento bisognava utilizzare anche la foglia d'oro.Durante uno degli spostamenti dalla loro collocazione originaria, i sarcofagi e le figure giacenti dei monumenti Scherlatti e Moricotti furono erroneamente scambiati, sicché all'epoca della loro installazione nel Camposanto (1833) i giacenti e i frontali vennero invertiti, provocando in tal modo un errore nella catalogazione delle tombe stesse (Supino, 1904), ma nell'od. collocazione tale sbaglio è stato corretto. Attualmente il giacente che può ritenersi il vescovo Scherlatti è legato ai rilievi conformi al programma specificato nel contratto (Burresi, 1986). Le parti scolpite degli altri tre rilievi del sarcofago e l'effigie sono meno raffinate e imitano stile e disegno della tomba Scherlatti di Nino. La tomba eseguita nel 1362 deve aver costituito il modello per il monumento di Francesco Moricotti, databile forse già alla metà degli anni sessanta del sec. 14°, quando l'arcivescovo era ancora in vita (Burresi, 1983; 1986), oppure dopo la sua morte nel 1395.Esistono almeno altre cinque sculture, variamente attribuite (Burresi, 1983; Kreytenberg, 1984; Moskowitz, 1986), che possono aver fatto parte del monumento Scherlatti o di quello Moricotti: due angeli, S. Pietro, S. Paolo e un santo vescovo (Pisa, Mus. dell'Opera della Primaziale Pisana). Sulla base del confronto con il pannello centrale del sarcofago Scherlatti, può essere attribuita a N. anche una Pietà, originariamente nella chiesa pisana di S. Cecilia (Pisa, Mus. Naz. e Civ. di S. Matteo).Il secondo periodo pisano di N., divenuto maestro con un'attività autonoma, va dal 1350 ca. fino almeno al 5 dicembre 1368. Sono probabilmente databili ai tardi anni cinquanta e agli inizi degli anni sessanta del Trecento i gruppi della Madonna con il Bambino a Detroit (Inst. of Arts) e a Firenze in S. Maria Novella (di opinione diversa Kreytenberg, 1984). In entrambi è riscontrabile la medesima tendenza notata sia nella figura di S. Pietro a S. Maria della Spina sia in quella dell'angelo di Orvieto. Contrariamente allo stile dei primi anni di attività, più classicheggiante, in questi gruppi si avverte una crescente tendenza verso proporzioni più allungate, verso posizioni di contrapposto più fortemente gotiche e ritmi di panneggio ondeggianti, giocati in contrasto con la caduta verticale degli orli. In queste due opere N. assimila profondamente alcuni manierismi che si ritrovano nella scultura francese del sec. 14°, in particolare l'accentuata curva gotica a S, la peculiare torsione del polso, gli accattivanti sorrisi e gli armoniosi ritmi del panneggio.Nessuna delle tre recenti monografie su N. tiene adeguatamente conto dei limiti dell'analisi stilistica in assenza di solidi elementi documentari (Burresi, 1983; Kreytenberg, 1984; Moskowitz, 1986). N., autore di tre sole opere firmate e di due monumenti documentati, uno dei quali non più esistente (il monumento di Giovanni dell'Agnello), costituisce un 'problema'. Considerato l'ampio numero di sculture che gli sono tradizionalmente attribuite o che vengono assegnate ad anonimi seguaci appare evidente che una particolare corrente stilistica associata al suo nome dovette catturare l'immaginazione di artisti e committenti a lui successivi. Se è virtualmente impossibile verificare un così ampio corpus di opere, egli sembra aver fornito un ideale estetico che anticipò il Gotico internazionale, preparando le basi per la sua ricezione in ambito italiano. È inoltre chiaro che le botteghe di N. e di suo fratello Tommaso (Moskowitz, 1986, pp. 171-176) da una parte rappresentarono l'epilogo della grande fioritura della scultura toscana iniziata con Nicola Pisano più di un secolo prima e dall'altra fornirono anche quegli elementi tecnici che resero possibili gli sviluppi successivi, quando al volgere del secolo emersero nuovi programmi, nuovi committenti e nuovi ideali.
Bibl.:
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