NINFEI E FONTANE (νυμϕαῖον, nymphaeum; κρήνη, fons)
Il termine n. indica, letteralmente, un luogo o santuario dedicato alle ninfe (v.). Solo per l'età ellenistica e romana è stato applicato a costruzioni di forma rettangolare, o ellittica, spesso absidate, con nicchie e prospetto architettonico, contenenti fontane, delle quali i n. costituiscono un aspetto monumentale, talora con non trascurabile intento urbanistico. N. di minori proporzioni si ebbero poi anche in case private, specialmente in età tardo-romana.
Grande importanza ebbe nella Grecia antica l'approvvigionamento idrico. Aristotele nella sua Politica (1330 a-b) considera il problema dell'approvvigionamento delle acque di pari importanza di quello della salubrità del luogo e della facilità di comunicazioni per la fondazione di una città. D'altra parte le fontane, nella loro forma più semplice adattamenti di sorgenti oppure collegate con cisterne o con acquedotti sotterranei, per la loro stessa funzionalità attraverso i secoli, hanno lasciato scarsi resti e presentano rimaneggiamenti che non ci permettono una precisa cronistoria del loro sviluppo.
A) Fontane. - Grecia. - Per le forme più arcaiche delle fontane in Grecia, ottima documentazione ci offre la ceramica, soprattutto le hydrìai a figure nere, con scene di donne alla fonte (un accurato elenco nell'art. cit. della Dunkley) anche se sono state variamente interpretate per la ricostruzione architettonica. Nella pittura vascolare infatti l'indicazione dell'edificio per fontana è fatta secondo linee essenziali e schematiche. Si tratta in genere di una protome di animale, dalla bocca del quale sgorga un getto d'acqua, che può essere sia una sorgente di cui questo è lo sbocco appena modificato dall'uomo, sia l'estremità di un grande impianto idrico con cisterne e bacini di decantazione. Un altro tipo assai semplice è formato da un pilastro in muratura, come quello rappresentato nella scena di agguato di Achille a Troilo sulla lékythos protocorinzia di Efestia, sul frontone in pòros dell'acropoli di Atene, sulla metopa del thesauròs del Sele, fino all'affresco della Tomba dei Tori a Tarquinia. Ma probabilmente si tratta di una maniera semplificata di rendere il muro addossato alla roccia o alla cisterna: mancava di solito la pressione per far zampillare l'acqua a quell'altezza. Esigenze di vita pratica trasformano la fontana-getto d'acqua in un edificio per fontana costituito in Grecia da tre parti essenziali: cisterna, bacino o bacini, e porticato: tale tipo è quello rappresentato nei modellini fittili di Lemno. Un altro tipo più arcaico è testimoniato dalle fonti a thòlos in cui si capta l'acqua a grande profondità, come la Burinna a Coo e la fontana di Syllion in Pamphylia. Le fontane pubbliche (non esistono fontane private ed ai bisogni delle abitazioni provvedono cisterne piovane e pozzi), cominciano ad assumere importanza architettonica con le prime sistemazioni urbanistiche dei tiranni, alla fine del VII sec.-inizî del VI, e sono, in genere, collegate con l'agorà come centro della vita cittadina. La più antica fontana monumentale che si conservi in Grecia, e che servì di modello probabilmente alle altre, è la fontana di Megara attribuita da Pausania (i, 40, 1) a Teagene. Costruita in opera isodomica, era formata da due lunghe cisterne coperte da un tetto sostenuto da colonne, sulla fronte due bacini e forse un porticato. Dello stesso periodo è la fontana di Samo collegata al grandioso acquedotto sotterraneo di Eupalinos, costruita per volontà del tiranno Periandro. Una fase ancora anteriore, se non altrettanto grandiosa, presenta la Perseia di Micene ampiamente rimaneggiata fino al tardo ellenismo. Assai simile alla fontana di Megara doveva essere nella sua forma primitiva la Peirene di Corinto, a noi giunta nel rimaneggiamento di età adrianea che la trasformò in un tempio-ninfeo con tre esedre ed un grande bacino rettangolare. Sempre a Corinto la Glaukè, grandioso complesso di cisterne, scavate nella roccia, con un portico davanti. Di poco successiva è la fontana S-E dell'agorà di Atene che si è tentato di identificare con la Kallirrhoe di incerta ubicazione, fontana famosissima chiamata successivamente Enneakrounos secondo l'interpretazione corrente di un passo di Tucidide (ii, 15, 5); secondo alcuni studiosi (Dörpfeld) da identificarsi con una delle fonti dell'Ilisso a S dell'Olympieion oppure con il complesso idrico del quartiere compreso tra la Pnice e l'Areopago. D'altra parte successivi scavi americani hanno anche proposto l'identificazione della Enneakrounos con la fontana a S-O della stessa agorà con due bracci ad angolo retto (v. atene), appoggiandosi ad un passo di Pausania (i, 14, 1) che la menziona nell'agorà. Una recente ipotesi (D. Levi) propone di pensare all'Enneakrounos come un sistema di fontane, trovando così l'accordo fra le fonti, ma necessita di ulteriori indagini sul terreno. Alla metà del VI sec. a. C., all'età degli Alcmeonidi, è datata la fontana della terrazza del tempio di Delfi che costituisce il prototipo di un'altra serie di fontane, composta di un bacino di alimentazione quadrato, a cui si accede con una gradinata, dal quale l'acqua attraverso un canale a cielo aperto prosegue verso un livello inferiore. Alla fine del VI sec. a. C. si data la fontana dell'agorà di Corinto, sistemata in una grotta naturale, particolarmente ben conservata perché in uso per breve tempo: uno dei suoi getti fu chiuso già nell'antichità.
Per il V sec. a. C. non abbiamo molti esempî di fontane conservate: notevole quella dell'agorà di Olinto, con un ampio bacino coperto da un porticato aperto probabilmente non solo sulla fronte ma anche sui lati brevi. Anche la fontana S-O dell'agorà di Atene è di questo periodo. Lo stesso tipo presentano la sistemazione della Klepsidra nel V sec. a. C. sulle pendici N-O dell'acropoli di Atene, benché fosse in uso dall'età micenea, e la fonte Minoa a Delo (v.). Variamente datata, ma probabilmente del V sec. a. C., è anche la fonte Kastalia di Delfi (v. delfi, vol. iii, fig. 36), una delle tre fontane attorno a cui si articolò il santuario di Apollo, scavata in un primo tempo nella roccia, ma con varie opere in muratura aggiunte, bacini e porticati, che ne perpetuarono l'uso fino in età moderna.
Comunque tra la fine del VII sec. e gli ultimi anni del V sec. a. C. esiste una continuità di tipi di edifici. Solo alla metà del IV sec. a. C. troviamo un'altra forma di fontana nettamente caratterizzata: edificio chiuso da mura sui lati con un colonnato frontale ed un secondo ordine di colonne o pilastri, parallelo al primo, nell'interno. Al di là di questo secondo colonnato vi è un bacino rettangolare chiuso ai lati da muri perimetrali e sulla fronte da plutei posti tra gli intercolumnî. Fontane di questo tipo troviamo a Pergamo, Magnesia sul Meandro, Sicione, Mileto. La fontana sotto l'acropoli di Ialiso a Rodi è l'esempio più tipico e meglio conservato del genere, mentre con la fontana presso i propilei romani del Piazzale di Apollo a Cirene abbiamo un esempio databile al pieno ellenismo. Sempre a Cirene si trova l'esempio più interessante di primitivo n., cioè grotta consacrata ad una ninfa considerata divinità della sorgente, che da una parte si riconnette alle grotte di sorgente greche e dall'altra ai ninfei-sacelli di età romana. Insieme con questa grotta è da considerare il n. sopra la cavea del teatro di Siracusa, scavato nel calcare.
Roma. - Per Roma e l'Impero abbiamo un maggior numero di notizie circa il rifornimento idrico e il problema si pose assai differentemente che nelle città greche e per ragioni geologiche e per ragioni storiche. Degli Etruschi invece conosciamo un solo esempio di fontana: quella dell'acropoli di Marzabotto costituita da due bacini quadrangolari, di cui uno superiore di decantazione. A Roma esisteva un gran numero di sorgenti; d'altra parte la vasta unità politica ed i progressi tecnici in campo costruttivo permisero il rifornimento idrico mediante acquedotti sopraterra. Tali impianti furono assai diffusi in tutte le regioni dell'Impero (v. acquedotto).
Per i primi secoli della sua fondazione, Roma (Front., De aq., 4) si servì dell'acqua del Tevere o dell'acqua di cisterne o pozzi. Con la captazione dell'acqua Appia, nel 512 a. C., comincia l'epoca delle costruzioni per fontane in Roma. Tali costruzioni sono in gran parte distrutte nella città, mentre le possiamo conoscere per i resti di Ostia, Pompei e di molte città africane come Timgad, Leptis Magna ecc. Si dividevano in tre tipi: fontes, cioè sorgenti, come il Fons Camenarum, che sgorgando con continuità permetteva impianti idrici, durati fino all'Impero; lacus, cioè bacini alimentati da una polla sorgiva, nei tempi più antichi, poi dagli acquedotti: a questo tipo ci riconduce il Tullianum con la sua sorgente paragonabile alle thòloi micenee, e la fontana di Tuscolo: esempio tipico il lacus Iuturnae nel Foro con un vasto bacino tufaceo, databile al II sec. a. C., durato in uso fino a Costantino; salientes, cioè colonne con bacini sottostanti a cui l'acqua giungeva a pressione: di questo tipo era la Meta Sudans presso il Colosseo, distrutta di recente, ma di cui abbiamo un altro esemplare in una fontana di Gemila (v.).
Nei confronti del sistema idrico delle città greche quello romano presenta, per l'abbondanza delle acque, una serie di monumenti privati che non esamineremo in quanto hanno elementi fissi e poco originali. Fontane di tale genere sono per altri aspetti assai importanti, avendoci fornito un numero grandissimo di statue e statuette da cui sgorgava lo zampillo a pressione, con una concezione assai diversa da quella del mondo greco in cui solo teste di leone o di animali simili erano usate come sbocchi di fontane, e solo in tre casi leoni interi. Del tutto insolita la forma della fontana della palestra di Ercolano, in bronzo, con tre serpi intrecciate fra loro.
B) Ninfei. - L'edificio più caratteristico come impianto idrico è nel mondo romano il n. (nympheum, nymphaeum, nimphium, νυμϕαῖον). Il primo problema si pone sull'uso del termine, usato in verità dagli archeologi come vocabolo convenzionale per tipi di edifici assai diversi tra di loro. Non conosciamo nel mondo greco esempî di tali monumenti, anche se possediamo la descrizione di una fontana ad esedra in un papiro della fine del III sec. a. C. e se una stipe votiva di Locri con materiale databile al III-II sec. a. C. ci ha restituito modellini fittili di n., che dobbiamo pensare contemporanei ad edifici simili esistenti nella realtà. D'altra parte possiamo confrontare il papiro, a secoli di distanza tuttavia, con l'esedra di Erode Attico ad Olimpia e per uno dei modellini possiamo fare il confronto con il n. di Butrinto, con nicchione centrale e nicchie minori sui lati. L'esistenza di una stipe votiva testimonia d'altra parte del significato sacrale di un tale tipo di edificio in Grecia, significato che sembra perdersi o per lo meno molto attenuarsi nel mondo romano. Le fonti epigrafiche, dal canto loro, parlano di nymphaeum (C.I.L., viii, 2657) in connessione con un edificio, distrutto nel secolo scorso, di Lambesi, chiamato in un'altra iscrizione Septemzonium (C.I.L., viii, 2658), il quale era formato da un ampio prospetto architettonico con nicchie su più piani da cui i getti di acqua si versavano in un bacino sottostante. Per tale tipo di edificio, assai diffuso in età imperiale più che a Roma nelle province (Asia Minore, Africa e Grecia), l'accordo sul nome di n. è generale. È d'altronde vero che Frontino (De aquaeductu Urbis Romae, passim) ignora il termine, che invece troviamo nei Cataloghi regionari; si può tuttavia pensare che Frontino comprendesse le fontane monumentali di tal genere nei munera di cui dice: Ita enim cultiores (aquae) adpellantur (Front., De aq., 3).
Il problema se considerarli n. sorge per edifici chiusi, rotondi o rettangolari absidati, interamente costruiti o adattamenti di grotte naturali, quasi sempre con getti di acqua, ma talvolta anche senza. Per tali edifici, tipici del mondo romano, alcuni archeologi parlano di n., ma altri, come il Mingazzini, rifiutano recisamente tale termine preferendo il nome di Musaea appoggiato ad un passo di Plinio (Nat. hist., xxxvi, 154) che dice: Non praetermittenda est et pumicum natura. Appellantur quidem ita erosa saxa in aedificiis, quae musaea vocant, dependentia ad imaginem specus arte reddendam... D'altra parte finché non sarà chiarito il rapporto tra un certo tipo di edificio ed il culto delle ninfe, a cui il nome νυμϕαῖον (νυμϕῶν ἱερόν della Suda) si riferisce, sarà meglio considerare in questa classe di monumenti anche quelli che il Mingazzini chiama musaea. Il Grimal nega, per esempio, che n. possa indicare per i Romani qualcosa di disgiunto dal senso sacrale e culturale.
Alla formazione architettonica dei n. del mondo romano hanno partecipato monumenti diversissimi: per i n. asiatici ed africani del tipo scenae frons, a cui si riconnetteva anche il Septizodium di Roma (v.), le ricerche sono orientate a stabilire se e come esista un vero rapporto con le grotte di sorgente ellenistiche, con l'architettura teatrale e con forme specifiche di rappresentazioni teatrali acquatiche come i tetimimi (Spano, Caputo, Traversari), che giustifichino certe particolarità costruttive dei teatri. Vi sono addirittura edifici per i quali esiste il dubbio se si tratti di teatri o di n., come quello di Bacoli. Tali edifici del tipo appunto di scenae frontes, diffusi in età imperiale, si inseriscono anche nella problematica che riguarda tutta l'urbanistica di queste città asiatiche ed africane, e la trasformazione delle piccole strade greche nelle grandiose strade porticate romane, le quali, per il fatto stesso di sorgere e svilupparsi in ambiente ellenistico, non possono che connettersi ad un gusto non romano.
Per gli edifici a pianta centrale, da quelli di Baia, ai due n. ottagonali della Domus Flavia a Roma, al casino degli Horti Sallustiani, al Tempio di Minerva Medica sempre a Roma, che pur con impianti idrici, hanno più il carattere di ambienti di riposo e si possono mettere in rapporto con edifici termali, esiste il problema se si possano considerare n. come quelli del tipo a scenae frons oppure dei musaea, della coenationes di tipo particolare. Il Mingazzini, avendo accettata questa ipotesi, afferma che, trasferendo quello che era degli uomini agli dèi, il Pantheon sarebbe da riconnettersi a tale tipo di edifici in quanto costruito per tenervi dei lectisternia dedicati a tutti gli dèi.
1. - Il più antico edificio a cui in suolo italico possiamo dare il nome di n. è quello di Bovillae, al XIV miglio della via Appia. È una sorgente addossata esternamente alle mura, molto al di sotto del piano di campagna e coperta da una vòlta di conci di peperino, disposti in anelli concentrici con la superficie in vista tagliata in forma di foglie acquatiche oppure a dare l'impressione della scabrosità di una grotta naturale. L'interpretazione come n. è assai discussa, ma il tipo è senz'altro riconducibile alle sorgenti in grotta del mondo greco.
Un altro tipo di n. di età repubblicana è assai interessante in quanto prototipo delle aule basilicali successive. Si tratta in genere di n. di terrazzamenti, ottenuti con il taglio delle colline. Essi sono un punto di passaggio fra l'adattamento delle grotte naturali e il n.-sacello interamente costruito; fra questi il n. sotto l'ex-convento di S. Antonio a Tivoli, databile alla metà del I sec. a. C: si tratta di un'aula rettangolare che termina in un'abside, davanti alle pareti laterali correva uno pseudocolonnato coperto da volticelle a botte. A tale tipo si rifanno i due n. della cosiddetta Villa di Cicerone a Formia, anch'essi aule rettangolari absidate, databili per la muratura all'età repubblicana con aggiunte posteriori è coinvolti per le trasformazioni successive nel problema della cronologia di tutto il complesso.
Sempre nel I sec. a. C. abbiamo la sistemazione del cosiddetto Antro delle Sorti a Palestrina, con il convogliamento delle acque sul mosaico dei pesci, che il Mingazzini considera un n. insieme all'abside dell'aula del tribunal: in tutte e due abbiamo l'applicazione artificiale alla roccia di pomici che imitano stalattiti. Nella stessa Palestrina si presenta, d'altra parte, la prima sistemazione urbanistica dei n., anche accettando la datazione più bassa (v. palestrina), con i vani rettangolari ornati di nicchie e i giochi d'acqua inseriti nelle spalle delle rampe di accesso; i piccoli n. al di sotto della scala centrale, fino alle nicchie con fontane, inserite negli avancorpi, ai lati della cavea terminale.
Altro n. assai interessante, quasi un tempio, è il cosiddetto Ninfeo Dorico del lago di Albano, aula rettangolare con nicchie su due piani alle pareti ed una nicchia più ampia sul fondo, in cui sbocca un cunicolo addentrato nel colle per il convogliamento delle acque. La decorazione è assai severa, tutta in peperino, senza uso di laterizio, commista di elementi dorici e ionici. È databile sempre alla prima metà del I sec. a. C.
Alla villa repubblicana, che precedette la costruzione del grandioso complesso adrianeo, è attribuito il n.-tempietto inglobato nel porticato che circonda il Cortile delle Biblioteche della Villa Adriana, anch'esso costituito da una sala rettangolare con nicchie ai lati e una nicchia più grande a mo' di abside sul fondo. Mentre al tempo di Adriano va datato il n. a N-E del Palazzo collegato con una grande sala tricliniare ed altri edifici con giochi di acqua in varie parti della villa. Per il Serapeion invece indicheremo più avanti come si tratti di un genere di edificio diverso. A questo tipo di n. rettangolari e absidati va accostata una costruzione di Stora (Algeria), assai poco studiata ed in parte distrutta, costituita da un'aula con nicchie ai lati ed una grande nicchia di fondo in cui giungeva un canale che la metteva in comunicazione con cisterne delle vicinanze.
Un edificio neroniano della Domus Aurea di recente scavato, notevole anche per la decorazione musiva della vòlta a botte, ripete tale schema con la variante che le nicchie laterali sono sostituite da finestre.
Un grandioso complesso databile in parte ad età augustea ed in parte al II sec. d. C. è quello di Nîmes (v.). Si tratta di un complesso di edifici attorno ad una sorgente salutare, la venerazione della quale deve aver preceduto il culto romano. Ad età augustea appartiene il n. propriamente detto, un porticato che si distende su tre lati con nicchie e bacini. Nello stesso peribolo che circonda il n. è posta pure un'altra fontana ampiamente rimaneggiata nel XVIII sec. e su un altro lato il cosiddetto Tempio di Diana. È un edificio costituito da un'aula rettangolare con nicchie sui lati lunghi, tre nicchie sulla parete di fondo con canalizzazione e infine nicchie ai lati della porta sia all'interno che all'esterno; in quelle all'esterno sono ancora conservati i bacini. Tale edificio è datato ad età adrianea, e, esclusa con sicurezza la sua destinazione a tempio, rimane evidente la sua connessione strutturale con gli edifici di età repubblicana descritti prima.
Della prima età imperiale, cioè augustea, ci resta un piccolo edificio privato di Roma, il n. di via degli Annibaldi, assai interessante e ben conservato, che fu ridotto dopo il suo abbandono, forse in seguito all'incendio neroniano, ad un muro di fondo a emiciclo con quattro nicchie coperte ad arco ed un bacino antistante. In origine le nicchie dovevano essere otto, attorno ad una centrale più ampia.
Con Nerone abbiamo i più interessanti edifici di n. di questo periodo, per il collegamento evidente con i grandi n. asiatici e africani databili tutti dal secolo successivo in poi, mentre il n. della Domus Aurea rappresenta la continuità di un tipo tradizionale. Il più antico è il n. appartenente alla Domus Transitoria, che si trova sotto il triclinium domizianeo (Bagni di Livia), costituito da un muro di fondo con funzione di sostegno, leggermente curvato ad esedra al centro, con cinque nicchie di cui la centrale ornata da una cascatella. Davanti al muro vi è un'ampia piattaforma, al posto del bacino, che troveremo in seguito, alta dal suolo m 1,30 e collegata con il piano sottostante da due scalette come un palcoscenico. La fronte di tale piattaforma era ornata da nove nicchie con zampilli, un ricco colonnato e un bacino profondo quanto lo zoccolo che sosteneva le colonnine. L'edificio faceva parte di un cortile con altri ambienti dedicati al riposo e venne interrato in epoca domizianea quando si riunirono le due cime del Germalus.
È la prima volta che troviamo questa interpretazione "teatrale" del n. da ricollegarsi al gusto pittorico appunto teatrale presente dal II al IV stile pompeiano; ma che questo edificio non sia un unicum senza ragione e, anzi, si riconnetta ad una corrente di gusto ben precisa, lo prova l'altro n. neroniano addossato alle sostruzioni del Claudianum del Celio. Era formato da nicchie a cui erano addossate colonne, ed aveva un complesso sistema di rifornimento idrico nell'intercapedine del muro di fondo. Tale n. che serviva al rifornimento idrico dello stagnum della Domus Aurea rimase in uso pochi anni in quanto Vespasiano ripristinò il Claudianum. Quindi la conclusione del Crema che da questi edifici rimasti in luce pochi anni e dalle minori fontane ellenistiche derivino i grandiosi n. imperiali è da riesaminare.
2. - Dopo questi interessantissimi esempî in Roma di n. con punti di contatto con l'architettura teatrale, dobbiamo uscire fuori dal suolo italico per trovare numerosi esempî di tali edifici. I n.-mostre d'acqua presenti soprattutto in Asia Minore ed in Africa si dividono in due tipi fondamentali ricollegati variamente alle scene teatrali: n. a facciata rettilinea con tre nicchie articolate in edicolette con e senza timpano e con colonnati ricorrenti su due o tre piani (Antiochia, Aspendos, Kremna, Mileto, Side, Sagalassos ed il Septizodium di Roma); n. con grande esedra centrale fiancheggiata da ali rettilinee, tipo a cui si riconducono esempî sia in Africa, sia in Siria e in Palestina (n. maggiore di Leptis Magna, Tipasa, Bostra, Amman, Gerasa, e la Mostra dell'Acqua Giulia o Trofei di Mario a Roma).
I singoli monumenti sono descritti nelle singole voci topografiche; quello che qui interessa è il problema se si possano chiamare Settizodî e quindi n., sull'esempio di quello di Roma. L'origine di tal nome è stata spiegata dal punto di vista filologico dal Maas ed applicata a monumenti archeologici dallo Spano. Il nome ci è documentato da epigrafi come quella di Lambesi (C.I.L., viii, 2657) che si riferisce a un edificio distrutto nel secolo scorso che aveva l'aspetto di una mostra d'acqua su più piani e che in altra iscrizione, sicuramente pertinente allo stesso monumento, è indicato come Nymphaei opus (C.I.L., viii, 2658). Un'altra iscrizione che probabilmente si riferisce al n. di Side (Lanckoronski, Inscr., 107) lo indica come υνὸς Νυμϕαῶν. Tale n. di recente ripreso in esame era composto di tre grandi esedre coperte da una cupola ed un colonnato continuo addossato al muro di fondo, che si richiama appunto all'aspetto del Septizodium di Settimio Severo. Secondo lo Spano l'origine di tali monumenti sarebbe da ricercarsi ad Antiochia sull'Oronte, in cui vi era sicuramente un grandioso n. a sfondo della principale arteria che traversava da N a S la città. Forse un secondo n. costituiva la scena del teatro in cui era posta la statua della Tyche. Ad uno di questi edifici di Antiochia doveva riferirsi la descrizione di Libanio (Or., ix, 202) che lo indica come Νυμϕᾶων ἱερόν. Questi due edifici risalgono ad età traianea, mentre Adriano, secondo Malalas (Chron., ed. Bonn 1831, p. 276) costruì a Dafne, sobborgo di Antiochia stessa, il ϑέατρον τῶν πηγῶν di cui non sappiamo se possa essere considerato un n. indipendente o una scena teatrale. Gli scavi del teatro hanno provato dei complessi impianti idrici che possono però riferirsi alle modificazioni subite dall'orchestra in età imperiale per permettere un nuovo genere di spettacoli acquatici. Il più noto monumento di tale tipo è il Septizodium di Settimio Severo, distrutto nel '500, che costituiva la fronte monumentale del Palatino verso Porta Capena. Si trattava di una grandiosa costruzione, lunga 89 m, che si svolgeva su tre piani, con tre grandi nicchioni collegati da ambulacri colonnati ed un bacino di raccolta alla base. Doveva essere decorato dalle statue dei pianeti, ζῷδια. Il confronto con la scena del teatro di Sabratha dello stesso periodo è particolarmente interessante per sottolineare il valore urbanistico di tali monumenti come quinte teatrali, che li inserisce nel problema più vasto delle grandi strade porticate dell'Oriente (Crema).
Tale esperienza urbanistica era diffusa anche in città assai meno monumentali di quelle africane o dell'Oriente, se ad Ostia fra il III e il IV sec. una facciata curvilinea decorata a n. ornava la confluenza della via degli Horrea Epagathiana e via della Foce, nella piazza dell'antico compitum. Anche nella trasformazione di molte case ostiensi in questo stesso periodo si aggiungono ricchi n. come quello della Domus di Amore e Psyche e il Ninfeo degli Eroti.
Per Roma abbiamo anche parlato della Mostra dell'Acqua Giulia dell'età di Alessandro Severo, riconducibile al tipo di scenae frons con grande nicchia centrale, che rappresenta, in quanto castello per la divisione delle acque, un'applicazione ancora utilitaria di questi monumenti, divenuti espressione soprattutto di opulenza.
Contemporaneamente a questo tipo grandioso di monumenti si elevano n. con strutture più semplici, ma con ricchissima decorazione, come quello di Erode Attico ad Olimpia (v.) costituito essenzialmente da un'esedra ornata da statue di Erode e della sua famiglia e della famiglia imperiale, terminante in due thòloi colonnate che coprono due zampilli. Per esso esiste un chiaro rapporto con il monumento del papiro ellenistico, illustrato dallo Schweitzer, anche se la fonte letteraria è datata con certezza alla fine del III sec. a. C. e il monumento alla metà del II sec. d. C. L'esedra colonnata con le thòloi terminali ci richiama motivi architettonici presenti nella pittura pompeiana di II stile. Ma allo stesso periodo di tempo e probabilmente allo stesso personaggio, dobbiamo edifici assai diversi, anche se con funzione in un certo senso analoga, come l'ultima sistemazione della fontana Peirene a Corinto, ed un monumento assai famoso anche per la suggestione del suo nome, il Ninfeo di Egeria, nel triopio di Erode sull'Appia, appena fuori Roma, che prolunga fino a questa età adrianea il tipo del n.-sacello caro all'età repubblicana e mantenutosi anche con Nerone (Domus Aurea).
3. - Ai n. sono stati collegati edifici di un altro tipo, i Serapei ispirati alla città egizia di Canopo, perché anche essi collegati con giochi d'acqua orchestrati in un edificio semicircolare e confluenti in un euripo come quello di Villa Adriana; ne conosciamo uno sul Palatino e il Serapeo indicato dalla Forma Urbis nel Campo Marzio. A questo tipo è riconducibile anche il Tempio delle Acque di Zaghuan collegato ad una delle due sorgenti che rifornivano Cartagine.
Per gli edifici a pianta centrale, tipici non solo dell'architettura romana in generale ma anche del suolo italico, il considerarli n. non ha basi e forse per essi il nome di musaea proposto dal Mingazzini servirebbe a distinguerli nettamente. Un esile filo di collegamento con i n.-grotte di sorgente potrebbe essere dato dal cosiddetto Bergantino del lago di Albano datato in età domizianea, che costituisce una regolarizzazione attraverso strutture murarie di una grotta naturale rotondeggiante, probabilmente un'antica cava; ove sia meglio chiarito il suo rapporto cronologico con l'altro "ninfeo" rotondo di Albano (attuale chiesa di S. Maria Maggiore), costituito da una sala circolare con quattro fontane in nicchie disposte simmetricamente alle estremità di due diametri che si intersecano ad angolo retto. Interesserebbe anche il suo rapporto cronologico con il cosiddetto tempio di Mercurio a Baia ed i successivi templi di Venere ed Apollo, per i quali tuttavia il sicuro collegamento con edifici termali risolve già in parte il problema. Ma il recente scavo della grotta di Sperlonga, dell'epoca di Tiberio, arricchita di statue ispirate al ciclo epico - anche nel Bergantino si erano trovati resti di una statua di Polifemo - e con una piscina al centro, forse per un vivaio di pesci, potrebbe far distinguere in queste grotte rotondeggianti, presso il mare o un lago, un tipo di monumenti affatto diversi dalle rotonde in muratura.
Fra i n. a pianta centrale, oltre a edifici minori come i due n. ottagonali della Domus Flavia e il n. ottagonale della Villa dei Gordiani a Roma, sono considerati monumenti importantissimi dell'architettura romana, il Casino degli Horti Sallustiani, datato all'età adrianea e il n. di "Minerva Medica" di costruzione post-severiana, tra il 253 e il 268 (v. roma).
Per tali edifici il Sjòqvist, studiando il Lavacrum Agrippae della Forma Urbis, da noi conosciuto attraverso un disegno del Bellori, che egli pone nel Campo Marzio, propone il nome di lavacra, il quale sottolinea il carattere utilitario di vasche coperte che non si può certo attribuire ad edifici lussuosi e complessi come il casino degli Horti Sallustiani e quello detto "Minerva Medica". La loro interpretazione come dietae lussuose, data anche l'esiguità degli impianti idrici, è la più probabile e li differenzia nettamente da qualsiasi tipo di edificio a cui dovrebbe spettare il nome di n. anche se gli stessi Settizodî si sono notevolmente allontanati dalle grotte di sorgente greche, sacre alle ninfe, e da qualsiasi interpretazione cultuale.
Ulteriori ricerche sul trasformarsi degli impianti idrici dalle funzionali fontane greche ai complessi monumenti romani, a cui ancora una volta si è attribuito il nome di n., porterebbero a distinzioni più precise fra tipi di monumenti assai disparati per forma e destinazione.
Bibl.: 1. Per le fontane greche in generale: Michon, in Dict. Ant., II, cc. 1227-37; O. Elia, in Enc. It., XV, 1932, pp. 633 ss.; R.E. Wycherley, How the Greeks Built Cities, Londra 1949, pp. 198-209; W. B. Dinsmoor, The Archit. of Anc. Greece, Londra 1949, pp. 198-209; W. B. Dinsmoor, The Archit. of Anc. Greece, Londra 1950, pp. 118, 288 ss., passim; R. Martin, Recherches sur l'agorà grecque, Parigi 1951, passim; id., L'urbanisme dans la Grèce antique, Parigi 1956, pp. 213-217, passim; fino a tutto il IV sec.: B. Dunkley, Greek Fountain-Buildings before 300 B. C., in Ann. Brit. School at Athens, XXXVI, 1935-36, pp. 142-204, con un catalogo dei vasi con scene di fontane; l'ampio esame di L. Pietrogrande, La fontana presso i Propilei nel santuario di Apollo a Cirene, in Africa Italiana, VII, 1940, pp. 112-131. Per le singole fontane in genere vedi le voci topografiche dell'E.A.A. ed inoltre i seguenti articoli posteriori alla Dunkley: per la Perseia di micene: W. Taylour, in Ann. brit. School at Ath., L, 1955, pp. 199 ss., tavv. XII-XVI; per la Pleirene di Corinto: F. J. de Waele, in Pauly-Wissowa, vol. XIX, cc. 110 ss., s. v.; per il problema dell'Enneakrounos: D. Levi, in Ann. Sc. Arch. Atene, XXXXIX-XL, N. S. XXIII-XXIV, 1961-62, p. i ss. (dell'estratto). Per la fontana dell'agorà di Olinto: D. M. Robinson, Excav. at Olynthus, vol. XII, 1946, pp. 95 ss., tavv. 85-92; per la Klepsidra di Atene: A. Parsons, in Hesperia, XII, 1943, pp. 191-267.
2. Per le fontane romane in generale: R. Lanciani, I commentari di Frontino, in Mem. Acc. Lincei, 1880; R. Cagnat-V. Chapot, Manuel d'arch. Rom., Parigi 1916-20, pp. 102-107; G. Lugli, I monum. di Roma antica, Roma 1931-38, Suppl., 1940, passim; id., Roma antica, Il Centro Monumentale, Roma 1946, passim.
3. Per i n. in generale: P. Monceaux, in Dict. Ant., IV, cc. 129-132, s. v. Nimphaeum; E. Polaschek, in Pauly-Wissowa, XVII, 1936, cc. 1518, s. v.; J. Heulsen, Milet, I, 5, Das Nymphaeum, Berlino-Lipsia 1919; G. Lugli, Nymphaea sive Musaea, in Atti IV Congr. St. Rom., 1935, I, pp. 155-168; B. Schweitzer, in Festgabe zur Winckelmannsfeier des Arch. Seminar, Lipsia 1938; P. Mingazzini, Le grotte di matermania e dell'arsenale a Capri, con excursus sui ninfei, in Arch. Class., VII, 1955, pp. 139-163; id., Il Pantheon e i cosiddetti ninfei - L'origine del nome Musaeum, in Arch. Class., IX, 1957, pp. 108-109; L. Crema, L'architettura romana, XII, tomo I dell'Enciclopedia Classica, Torino 1959 pp. 122 ss., passim; A. Frova, L'arte di Roma e del Mondo Romano, Torino 1961, passim. Per la datazione dei n. di Roma e del suolo italico: G. Lugli, La tecnica edilizia romana, Roma 1957. Per i rapporti tra i n. e l'architettura teatrale: G. Spano, Il ninfeo del proscenio del Teatro di Antiochia sull'Oronte, in Rend. Acc. Lincei, ser. VIII, VII, 1952, pp. 144-174; G. Traversari, Gli spettacoli in acqua nel teatro tardo-antico, Roma 1960; A. Neppi Modona, Gli edifici teatrali greci e romani, Firenze 1961, pp. 170 ss. Per i Settizodî: E. Maas, Die Tagesgötter in Rom und in den Provinzen, Berlino 1902. Per i rapporti tra i n. romani ed ellenistici: P. E. Arias, Modellini fittili di fontane di età ellenistica, in Palladio, V, 1941, pp. 193 ss.; id., in Not. Sc., N. S., VII, 1946, pp. 138 ss. Per i n. nell'arte topiaria romana: P. Grimal, Les jardins romains à la fin de la Republique et aux premiers siècles de l'Empire, Parigi 1943, pp. 312 ss. Ampie liste di n. in suolo italico danno: F. Noack, K. Lehmann-Hartleben, in Denkm. Ant. Archit., Baugeschichtliche Untersuchungen am Stadtrand von Pompeji, Berlino 1936, pp. 221-222, nota 7; P. Mingazzini - F. Pfister, in Forma Italiae, Surrentum, Firenze 1946, pp. 44-45; P. Mingazzini, art. cit., in Arch. Class., 1955. Per i singoli monumenti: n. di Butrinto: M. L. Ugolini, in Albania Antica, III, 1942, p. 81; n. di Palestrina: F. Fasolo - G. Gullini, Il santuario della Fortuna Primigenia a Palestrina, Roma 1953, pp. 25, 40 ss., 116 ss., tavv. IV-V; P. Mingazzini, in Arch. Class., Villa bei Tivoli, Berlino 1955, pp. 31 ss. e passim; per il n. di Nîmes: R. Naumann, Der Quellbezirk von Nîmes, Berlino 1937; A. Grenier, Manuel d'arch. Gallo-Romaine, IV, I, Parigi 1960, pp. 493 ss.; n. della Domus Aurea; F. Sanguinetti, in Boll. Centro studi per la Storia dell'Architettura, 1958, p. 35 ss.; G. Zander, ibid., pp. 5 ss.; n. neroniano della Domus Transitoria: P. Grimal - J. Guey, in Mél. rch. hist. Ec. Franc., 1937, pp. 142-164; G. Carettoni, in Not. Sc., 1949, pp. 54 ss.; n. del Claudianum: A. M. Colini, Storia e Topografia del Celio nell'antichità, in Mem. Pont. Acc. Rom. Arch., VII, 1944, pp. 146 ss.; n. della Pisidia e pamphylia: K. G. Lanckoronski, Städte Pamphyliens und Pisidiens, voll. 2, Vienna 1890, passim; n. di Side: A. M. Mansel, in Arch. Anz., 1956, pp. 86 ss.; n. di Dafne presso Antiochia: D. N. Wilter, in Atioch on the Orontes, Princeton-Londra 1938, pp. 59-62; n. maggiore di Leptis Magna: J. B. Ward perkins, in Journ. Rom. St., XXXVIII-XXXIX, 1948-49, p. 59; n. di Tipasa: J. Baradez, Tipasa, ville antique de Mauretanie, Algeri 1956, pp. 51 ss.; n. di Gerasa: C. H. Kraeling, Gerasa, City of Decapolis, New Haven 1938, tav. XXVIII; n. di Erode Attico ad Olimpia: H. Schleif-H. Weber, in Olympische Forsch., I, 1944, p. 53 ss., tavv. 22-32; C. Tiberi, L'esedra di Erode Attico in Olympia e il Canpo di Villa Adriana, in Quaderni Ist. St. Archit., Saggi in onore di V. Fasolo, 31-48, S. VI-VIII, Roma 1961, p. 35 ss.; il Septizodium di Lambesi: S. Gsell, Les monuments antiques de l'Algerie, Parigi 1901, I, p. 242; il Septizodium di Roma: C. H. Huelsen, Das Septizonium des Septimius Severus, in Winckelmanns Programm, XLVI, Berlino 1886; T. H. Dombart, Das Palatinische Septizonium zu Rom, Monaco 1922; per il confronto con il teatro di Sabratha: G. Caputo, Il teatro di Sabratha, Roma 1959; per i n. tardi delle domus ostiensi: G. Becatti, in Boll. d'Arte, XXIII, 1948, pp. 102 ss.; 157 ss.; n. della Ninfa Egeria: G. Lugli, in Bull. Com., LII, 1924, p. 103 ss.; Rotonda di Albano: G. Lugli, in Ausonia, IX, 1914, pp. 237 ss.; id., in Bull. Com., XLVII, 1919, pp. 197-205; per il Bergantino del lago di Albano: G. Lugli, in Bull. Com., XLI, 1913, p. 90 ss.; n. degli Horti Sallustiani: K. Lehmann-Hartleben, J. Lindros, Il Palazzo degli Horti Sallustiani, in Op. Arch. Ist. Rom. Regni Sueciae, 1935, pp. 196-227; "Minerva Medica": G. Caraffa, La cupola della sala decagona degli Horti Liciniani, Roma 1944; Lavacrum Agrippae: E. Sjöqvist, Studi arch. e topografici intorno alla piazza del Collegio Romano, in Op. Arch. Ist. Rom. Regni Sueciae, 1946, pp. 94-115.