KJÆR, Nils
Scrittore norvegese, nato a Holmestrand l'11 novembre 1870, morto a Oslo il 9 febbraio 1924. Spirito pensoso, delicato, che ha lasciato nella letteratura norvegese, per squisitezza di sentimento e per schietta semplicità di arte, un'impronta tanto più profonda quanto meno appariscente, fu un poeta nato, che non cercò la poesia lontano, ma immediatamente intorno a sé. Profondamente religioso, quasi francescano nell'amore di ogni cosa creata, placò nella sua religiosità i contrasti del suo temperamento passionale, la malinconia insita nello stesso suo eccesso di sensibilità: trovò nell'immediato sentimento della presenza di Dio nella vita l'idillio a cui la sua anima anelava. Estraneo a tutto ciò che è rumoroso, plebeo, come a tutto ciò che è ansia di beni materiali; insensibile a tutto ciò che è problema sociale e politico, come a tutto ciò che è problema teoretico, astratta discussione; amò sopra ogni altra cosa l'uomo umile, che vive secondo natura la sua vita e non ha altra ricchezza che la sua inerme umanità. Predilesse perciò nei suoi essays (Essays, fremmende forfattere, Saggi, autori stranieri, 1895; Bøger og billeder, Libri e figure, 1898), soprattutto uomini candidi e semplici come Dickens o negati alla vita pratica come Villon e Hoffmann, Holberg e Cervantes. E più che nei drammi Regnskabets Dag (Il giorno della resa dei conti, 1902); Mimosas Hjemkomst (Il ritorno di Mimosa, 1907); For Træt er der Haab (Per l'albero c'è speranza, 1917), influenzati, per lo meno inizialmente, da Strindberg, ebbe tocchi felici nella commedia Det lykkelige Valg (La felice scelta, 1914). Ma la vera forma letteraria connaturata al suo temperamento trovò nell'epistola. Ne compose sei volumi (1908-1924), per gran parte in Italia, dove con particolare predilezione amò soggiornare, e a poco a poco, negli ultimi anni - non senza che vi fosse estranea la Storia di Cristo di Papini - finì col convertirsi al cattolicismo. Gli spunti sono i più varî, da una conversazione col barbiere a una celebrazione di Dante; da una suggestiva visione di paesaggio all'avvenimento della marcia su Roma, che K. fu tra i primi stranieri a comprendere con simpatia. Ma il fascino delle causeries, che K. ne trae, è nella sensitiva, intelligente spiritualità che le ispira e che si traduce in una prosa aerata e lieve, linda e aderente, che sembra illuminare quietamente dall'interno ogni cosa.
Opere: Samlede Værker, voll. 6, Oslo 1921 segg.