GOGOL', Nikolaj Vasilevič
Scrittore russo, nato il 20 marzo 1809 a Soročincy (distretto di Mirgorod nel governatorato di Poltava), morto a Mosca il 21 febbraio 1852. Di costituzione delicata e di animo precocemente sensibile, subì nell'ambiente patriarcale della famiglia tipicamente ucraina tanto l'influenza del padre, Vasilij Afanaševič (1780-1825) commediografo di fama locale, che quella della madre, spirito incline al misticismo religioso e alla superstizione. Grande impressione fecero sul fanciullo anche la natura ucraina, e il temperamento del popolo, con la sua cupa sentimentalità, la tendenza alla fantasticheria e il caratteristico umorismo. Il padre suscitò inoltre in lui interesse per la storia e i tradizionali usi della sua patria. Col passar degli anni, e soprattutto dopo la morte del padre, si sviluppò ancora più in G. la naturale scontrosità e riservatezza che talvolta prendeva anche forme di orgoglio e di ambizione. A Nežin, dove compì i suoi studî, G. scrisse il suo primo tentativo letterario, l'idillio Hans Küchelgarten che risente fortemente della maniera in voga in quel tempo, del poeta Žukovskij e del romanziere Bestužev (Marlinskij) e in parte imita la Luisa del Voss. Risale anche ai primi anni della sua adolescenza la sua inclinazione per le arti figurative, in particolar modo per la pittura.
Nel 1828, col trasferimento a Pietroburgo, si realizzava per G. il sogno di tutta la sua giovinezza: entrare "al servizio della patria". L'ambiente della capitale, anche in conseguenza dell'insuccesso del poemetto surricordato, fu però per il giovine scrittore una delusione. Nel 1830, dopo una scappata all'estero che non durò più di un mese, egli entrava come impiegato al Ministero degli appannaggi. per uscirne poco dopo, con l'incarico di insegnar storia all'Istituto patriottico per giovanette, e tre anni dopo, nel 1834, all'università. Ma fu esperimento poco felice e di breve durata, ché il nuovo tentativo letterario da lui fatto, con la pubblicazione di una serie di racconti di contenuto ucraino, gli aveva rivelato la vera strada: la creazione letteraria. I racconti, intitolati Večera na hutore bliz Dikan′ki (Le veglie alla fattoria presso Dikanka, 1831-32) incontrarono, se non il favore pieno della critica, l'entusiasmo dei lettori, al gusto dei quali andavano incontro con due elementi caratteristici del romanticismo: la fantasia e il colore locale. Una seconda racuolta, Mirgorod (1835), mostrò che nello sviluppo dello scrittore il secondo dei due elementi aveva già preso il disopra, mentre l'interesse storico, dovuto all'insegnamento, aggiunse ai due elementi precedenti anche quello della ricostruzione del passato (Taras Bul′ba). I varî tentativi critici con i quali lo scrittore cercò di rendersi conto della propria arte (Arabeschi, 1835) e una serie di racconti successivi, come per esempio Il ritratto e Nevskij Prospekt, mostrarono quanto vivo e fecondo fosse in lui il senso della realtà, sia pure con la riserva di certi limiti a cui la riproduzione della realtà dovrebbe essere soggetta nella creazione. Un viaggio fatto nel 1832 in Ucraina aveva d'altra parte risvegliato nello scrittore il vecchio amore per il teatro, spingendolo anche in questo campo a tentativi che non dovevano tuttavia concretarsi che più tardi: nel 1836 con la commedia Revizor (L'ispettore generale) e nel 1842 con la farsa Igroki (I giocatori) e la commedia Ženit′ba (Il matrimonio).
La commedia L'ispettore generale che ebbe teatralmente un certo successo, anche perché la rappresentazione era stata permessa dallo stesso zar Nicola I, fu per lo scrittore il punto di partenza di tormentose vicende spirituali. La reazione dell'opinione pubblica, nelle classi più direttamente colpite dall'amara satira della loro vita, fu violenta e in giusta. Appoggio e conforto G. trovò tuttavia in Puskin, al quale egli doveva il soggetto della commedia e che ancora una volta, suggerendogli un altro soggetto, lo spinse ad affrontare un'opera nuova: Pochonždenija jčikova ili Mertvja duši (Avventure di Čičikov o Anime morte).
G. iniziò nel 1835 la preparazione di quest'opera, ma oppresso e desideroso di distrazione, nel giugno dell'anno seguente nuovamente partì per l'estero, dove riprese il lavoro iniziato, il quale doveva da questo punto diventare per varî anni lo scopo principale della sua vita. Il soggiorno a Roma (1837-1839) fu solo in parte per G. una parentesi di serenità e d'entusiasmo, sia per il suo amore per l'arte e il paesaggio italiano, sia per il proprio lavoro. Presto egli dovette ritornare in Russia, una prima volta per ragioni familiari, proprio mentre stava per portare a termine la prima parte de Le anime morte, e una seconda volta, dopo un altro anno di soggiorno a Roma, per la stampa del primo volume del suo romanzo-poema. Le sue condizioni di salute, che non erano state mai floride, negli ultimi anni erano assai peggiorate influendo fortemente anche sullo spirito dello scrittore. La tendenza al misticismo religioso cominciò a diventare quasi un'ossessione. Ritornato all'estero, il soggiorno in Italia si alternò con viaggi in luoghi diversi. Il lavoro intorno alla seconda parte de Le anime morte proseguiva lentamente, mentre più insistente si faceva nello scrittore l'idea della necessità d'una purificazione morale. Da questa idea nacque il libro Vybrannya mesta iz perepiski s druz′jami (Brani scelti della corrispondenza con gli amici), che, pubblicato nel 1847, produsse un'impressione disastrosa. Lo scrittore che fino allora era apparso come animato da idee progressiste, liberali, si rivelava addirittura difensore dell'autocrazia. Portavoce del malcontento si fece G. V. Belinskij, in una sua lettera aperta in cui con dolore e indignazione richiamava lo scrittore alla sua missione e alla sua arte. G. nel 1848 fece un viaggio in Palestina, al ritorno del quale, a eccezione di alcuni momenti, in cui parve risentir nostalgia della sua passata vita di artista, si abbandonò del tutto alle sue elucubrazioni morali e religiose che contribuirono a far peggiorare ancora le sue condizioni di salute. Il rinnegamento della passata attività di artista fu suggellato dalla distruzione della seconda parte de Le anime morte, a cui seguì poco dopo la morte dello scrittore.
Considerato di solito come il primo rappresentante del realismo narrativo russo, G. non ci si presenta tuttavia come un fenomeno improvviso, del tutto estraneo al movimento letterario precedente. Un certo distacco dalle correnti sentimentalistica e romantica del principio del sec. XIX s'era già avuto in alcuni narratori sia russi che ucraini. Lo stesso Puškin nei suoi Racconti di Belkin, nel romanzo in versi Eugenio Onegin e in quello in prosa La figlia del capitano aveva molto efficacemente spianato le via alla corrente realistica.
D'altra parte G. nelle sue prime creazioni, dai racconti ucraini ai racconti di Pietroburgo, non aveva quasi mai fatto della pittura realistica della vita lo scopo della sua arte. L'elemento fantastico si fondeva infatti in essa con quello realistico in modo così stretto da non lasciare a prima vista capire quale dei due avrebbe prevalso. Nei primi racconti ucraini anzi, al romanticismo fantastico si possono far risalire quasi tutti i soggetti dei racconti, e il realismo si riduce alle descrizioni della natura, dei tipi e in parte alla maniera del dialogo. Nella raccolta Mirgorod prevalgono invece soggetti tratti dalla vita reale, e in Taras Bul'ba, dalla storia, con abbondanza di elementi lirico-epici. D'altra parte l′elemento fantastico ricomparve, sostenuto da tendenze simbolistiche, in alcuni dei racconti di Pietroburgo come Il naso e Il ritratto, e non è estraneo al famoso Cappotto e a Le memorie di un pazzo. La pittura della realtà come scopo dell'arte narrativa non fu quindi un punto di partenza, sibbene un punto d'arrivo, e G. stesso, già al principio della sua attività aveva affermato che "quanto più un oggetto è ordinario, tanto più in alto deve stare l'artista per trarne lo straordinario, perché questo straordinario diventi perfetta verità". Il suo genio prettamente artistico lo salvò da un altro pericolo gravissimo, incontro al quale lo portava il suo continuo pensare e ripensare i problemi della vita sia individuale sia sociale: la sopravalutazione cioè dell'elemento filosofico nell'arte. A evitare questo pericolo giovò anche il fatto che G., compreso dell'importanza del realismo, si volse al teatro, verso il quale del resto l'aveva sempre spinto il suo istinto, capace di vedere il lato comico anche nelle più tragiche vicende della vita. Anche se più tardi G. stesso, ripensando ai personaggi della sua commedia L'ispettore generale, esagerò vedendo in essi simboli delle passioni umane, è certo che la commedia non nacque soltanto come una caricatura della vita contemporanea, come generalmente si è soliti considerarla, ma come il riflesso, attraverso il prisma dell'arte, della deformazione dello spirito umano in date condizioni di vita. Ad afferrare le particolarità di questa deformazione G. era portato naturalmente. È anzi questo in un certo senso uno degli elementi essenziali del realismo gogoliano. L'umorismo è, si può dire, la pietra di paragone della partecipazione di G. alla realtà che dipinge. Allo spirito di G. i lati negativi, oscuri, della vita, se parlavano più direttamente, come contraffazioni appunto della realtà capaci di suscitar riso, nello stesso tempo provocavano sofferenza perché lontani da quel mondo d' ideali che lo scrittore aveva coltivato in sé stesso e di cui essi erano più o meno la negazione. La famosa definizione del "riso attraverso le lacrime" non fu che l'esatta determinazione di due qualità naturali dello scrittore, che, pur in contrasto, si fondevano nella rappresentazione artistica in una sola. Se anche il riso gogoliano inteso come strumento d'edificazione morale può apparirci un precetto a posteriori, è certo che, per quanto riguarda l'arte, le predicazioni morali sono inscindibili dal sentimento di dolore che la contraffazione della realtà aggiunge al piacere generato in uno spirito disposto ad afferrarne l'essenza comica. Le divagazioni liriche, a tratti improvvise, sono come affermazioni di fede che l'autore fa a sé stesso per non cedere troppo né al riso né al dolore. Caratteristiche soprattutto esse sono ne Le anime morte che da questo punto di vista si distaccano pienamente da L'ispettore generale e dai racconti della stessa epoca, riallacciandosi parzialmente ai racconti ucraini.
Dalla commedia L'ispettore generale, il romanzo, o, come G. lo chiamò, il poema Le anime morte derivava anche ideologicamente solo in parte. Se per l'idea suggerita a G. da Puškin possiamo vedere ne L'ispettore generale e ne Le anime morte un'iniziale unità, nell'intenzione di G. il poema doveva totalmente allontanarsene. Puškin gli aveva suggerito la riproduzione, in una serie di quadri, delle vicende di un originale speculatore sulle conseguenze amministrative della mostruosa istituzione della servitù della gleba; nella nuova concezione di G., maturata durante lo svolgimento del lavoro, l'opera doveva invece soprattutto avere un valore morale. Infatti alla prima parte del poema, in cui l'eroe Čičikov percorre il paese "per rivelare i difetti e i vizî del russo, non le qualità e le virtù di esso", secondo le parole stesse di G., dovevano seguirne altre due, rivelanti la purificazione la prima e "le qualità e le virtù" l'altra, con una simmetria analoga a quella della Commedia dantesca.
Il nome di "scuola naturale", che gli avversarî di G. diedero a questi principî, con intenzione di scherno, doveva per molti decennî diventare simbolo e faro di tutta l'ulteriore letteratura russa. Da una forse eccessiva valutazione di questi principî derivò anzi quel contrasto tra G. e Puškin che per lungo tempo è stato un luogo comune di quella parte della critica letteraria russa che in Puškin ha voluto vedere soltanto un rappresentante dell'arte pura. Ma con Puškin G. ebbe in comune prima di tutto la sorte di trarre le deduzioni ultime della letteratura che li aveva preceduti e per qualche tempo la convinzione che l'artista abbia, in quanto tale, una sua missione particolare concessagli dalla Provvidenza. A differenziare i due grandi iniziatori della letteratura russa moderna venne la maggiore coscienza che ebbe G. di questa missione nel grembo stesso della società e non al di sopra di essa. Le frequenti contraddizioni che in questa concezione si notano in G. furono più che altro conseguenze del temperamento dello scrittore e delle vicende stesse della vita sociale, nelle cui più profonde latebre doveva essere dato di penetrare a pieno solo più tardi ai due grandi successori dell'autore di Anime morte: Tolstoj e Dostoevskj.
Ediz.: La migliore edizione delle opere complete di G. è quella di N. S. Tichonravov, Mosca 1889, in cinque volumi, a cui dopo la morte del critico, per cura di V. I. Šenrok, se ne sono aggiunti altri due complementari (1897). Buona anche l'edizione curata da V. Kallaš in dieci volumi, Pietroburgo 1908-1909. Tra le edizioni più facilmente accessibili ricordiamo quella "Slovo" di Berlino in 10 volumi (1921), Raccolta delle lettere di G. curata da V. I. Šnrok in 4 voll., Pietroburgo 1902. Delle traduzioni, numerosissime in tutte le lingue, si ricordano quelle pubblicate nella raccolta Il Genio Russo, diretta da E. Polledro (volumi pubblicati: Le Veglie, Mirgorod, Taras Bulba, Le anime morte, Torino), nella raccolta Scrittori italiani e stranieri del Carabba di Lanciano (volumi pubblicati: Le veglie, Mirgorod, Taras Bulba, Le anime morte, Torino), nella raccolta Scrittori italiani e stranieri del Carrabba di Lanciano (volumi pubblicati: Le veglie, Mirgorod, Tarass Bulba, L'ispettore generale, Le anime morte, trad. di F. Verdinois), Taras Bulba trad. di N. Festa (Milano 1932) e le versioni francesi della casa ed. Bonard (Parigi).
Bibl.: In russo: V. I. Šenrok, Materialy dlja biografii Gogolja (Materiali per la biogr. di G.), voll. 4, Mosca 1892-1897; V. Zelinskij, Russkaja kriticeskaja literatura o proizvedenijach N. V. Gogolja (La letter. critica russa sulle opere di G.), voll. 2, Mosca 1903; S. L. Bertenson, Bibliografičeskij ukazatel′ literatury o G. (Guida bibliografica della lett. su G.), Pietroburgo 1909 (abbraccia gli anni 1900-1909); N. Kotljarevskij, Gogol′, Pietroburgo 1915; I. Mandelstam, O charaktere gogolevskogo stilja (Del carattere dello stile gogoliano), Helsingfors 1902; D. N. Ovsjaniko-Kulikovskij, Gogol′, 5ª ed., Mosca 1924; S. Šambinago, Trilogija romantizma: Gogol′ (La trilogia del romanticismo: G.), Mosca 1911; V. F. Pereverzev, Tvorčestvo Gogolja (La creazione di Gogol′), Mosca 1914; A. Slonimskij, Technika komiočeskogo u Gogolja (La tecnica del comico in Gogol′) Pietrogrado 1923; V. Hippius, Gogol′ v pis′mach i vospominanijach (G. nelle lettere e nei ricordi), Mosca 1924, nuova ed. 1931; V. Vinogradov, Etjudy o stile Gogolja (Studî sullo stile di G.), 1926; I. D. Ermakov, Ocerki po analizu tvorčestva Gogolja (Saggi di analisi della creazione di G.), Mosca 1922.
In altre lingue: D. Mereschkowskij, Gogol, Monaco 1914; L. Léger, Gogol, Parigi 1914; G. Gesemann, Grundlagen einer Charakterologie Gogols, in Jahrbuch d. Charakterologie, I (1924); J. Lavrin, Gogol, Londra 1925; N. Festa, Storia, romanzo ed epopea nel "Taras Bulba" di G., in Convivium, III (1931), pp. 161-193; V. Zeńkovskij, G. als Denker, in Zeitsch. f. Slav. Phil., IX (1932), pp. 104-128; E. Haertel, Gogol als Maler, in Jahrbücher für Kultur u. Gesch. der Slaven, V, 2; id., Gogol′ a Roma, ecc., in Riv. di lett. slave, VII (1932); B. de Schloezer, G., Parigi 1932; E. Lo Gatto, Storia della letteratura russa, V, Roma 1932. Su scritti minori v. la bibl. di E. Damiani in appendice alla trad. di A. Veselovskij, Storia della lett. russa, Firenze 1926.