Filologo e archeologo (Kutaisi 1865 - Leningrado 1934); prof. (1902) di filologia armena e georgiana all'univ. di Pietroburgo, presidente (1919) dell'Accademia per la storia della "cultura materiale". Ha pubblicato magistrali edizioni di manoscritti di antichi testi armeni e georgiani; ha condotto (dal 1892) ricerche archeologiche in Armenia; ha studiato a fondo aspetti della favolistica armena (Sbornik pritč Vardana "Le raccolte di favole di Vardan", 1894-99) e ha scritto trattazioni grammaticali di varie lingue caucasiche. Ha anche tentato la comparazione linguistica e la teoria della lingua, muovendo inizialmente da posizioni socio-linguistiche e da interessi glottogonici. Attaccato come "borghese" nel 1929, accentuò poi i legami tra le sue ipotesi glottogoniche e idee di derivazione marxista: negando le migrazioni etniche, la poligenesi linguistica, la discendenza genealogica e le famiglie linguistiche, respinse il confronto (perché "formalistico") degli elementi fonologici, e negò valore al concetto di lingua comune di un popolo, di una nazione. La lingua sarebbe invece una manifestazione di classe, anche alle origini quando fu creata da maghi come mezzo di comunicazione col totem. Dal materiale primigenio, costituito dai quattro monosillabi sal, ber, i̯òn e roš, si sarebbe avuto, per stadî, uno sviluppo di tutte le lingue, come frutto di esplosioni rivoluzionarie, a carattere economico-sociale, e di ibridazioni incessanti. Le teorie di M. hanno avuto fortuna solo nell'URSS fino al 1950 quando, dopo la polemica aperta dal linguista A. S. Čikobava, anche Stalin si espresse contro di esse, sostenendo che la lingua non è una sovrastruttura di classe.