NIGER.
– Demografia e geografia economica. Storia
Demografia e geografia economica di Lina Maria Calandra. – Stato interno dell’Africa centro-settentrionale. La popolazione (17.129.076 abitanti al censimento del 2012, 18.534.802 abitanti nel 2014, secondo una stima UNDESA, United Nations Department of Economic and Social Affairs), che cresce del 3,9% l’anno (età media 15 anni), è tra le più povere al mondo, afflitta da insicurezza alimentare e periodiche siccità, inondazioni e infestazioni di locuste. Nella capitale, Niamey (1.011.277 ab.), vive quasi un terzo della popolazione urbana; altre città sono Maradi (267.249 ab.) e Zinder. Il N. è all’ultimo posto dell’Indice di sviluppo umano (speranza di vita, 58,4 anni nel 2013; accesso all’acqua, 52%; alfabetizzazione, 19%) e tra gli ultimi per PIL pro capite a parità di poteri d’acquisto (PPA), 1032 $ nel 2014. L’insicurezza nella regione contribuisce ad aggravare il quadro: il N. accoglie 96.000 persone bisognose di aiuto umanitario (tra cui 53.000 rifugiati da Mali e Nigeria); inoltre, 36.000 nigerini sono a loro volta sfollati in altri Paesi. Grazie alla relativa stabilità politica (a parte il colpo di Stato del 2010), l’economia è cresciuta in media del 5% nell’ultimo decennio, sostenuta da investimenti esteri (costruzioni, energia), uranio (4° produttore mondiale) e, dal 2012, petrolio.
Storia di Arturo Varvelli. – Come altri attori regionali, anche il N. presenta delle divisioni etniche di fondo che ne indeboliscono la tenuta sociale e ne mettono a rischio la stabilità politica. Le principali tensioni avvengono tra i gruppi che abitano il Nord desertico, seminomadi e più legati all’influenza e alla cultura araba (Tuareg, Kanuri e Toubou, sommati circa il 20% della popolazione), e le comunità stanziali subsahariane del Sud, che controllano la quasi totalità delle risorse alimentari e agricole del Paese. Al contempo però le ingenti materie prime nigerine (uranio su tutte) e le infrastrutture estrattive si trovano nel centro del Paese, in zone spesso contese tra le diverse componenti etniche. Fin dall’acquisizione dell’indipendenza dalla Francia nel 1960, la commistione di queste molteplici fonti di instabilità ha portato a frequenti rivolte da parte delle popolazioni del Nord, principalmente dei Tuareg, cui hanno corrisposto – influenzandosi a vicenda – frequenti colpi di Stato e una diffusa instabilità politica nel Sud del Paese.
Una grande rivolta dei Tuareg scoppiò nel 2007, allargandosi presto al Mali attraverso i porosi confini desertici tra i due Paesi. La ribellione si concluse due anni dopo, nel 2009, con la firma di un accordo a Tripoli (patrocinato da Muammar Gheddafi) che poneva le basi per una maggiore decentralizzazione e per la cooptazione di leader Tuareg nelle istituzioni politiche nazionali. Il presidente della cosiddetta Quinta Repubblica, Mamadou Tandja, salito al potere attraverso elezioni democratiche nel 1999, usò gli accordi di pace per estendere ulteriormente il proprio mandato oltre il 2009, come già aveva fatto in passato, istituendo la Sesta Repubblica nigerina. Le tensioni derivate da questa prevaricazione costituzionale – che avevano anche portato l’ECOWAS (Economic Community of West African States) a sospendere il Paese dall’organizzazione – condussero il N. all’ennesimo colpo di Stato nel 2010, al quale seguì una fase di transizione sotto il potere del CSRD (Conseil Suprême pour la Restauration de la Démocratie), un organo autoritario sotto il controllo dell’esercito (e del generale Salou Djibo, figura chiave del golpe). Questa fase confusionaria e al di fuori della legittimità costituzionale, condannata dalla comunità regionale e internazionale, si concluse con le elezioni del 2011 e la vittoria di Mahamadou Issoufou (uno dei leader dell’opposizione).
Il nuovo presidente continuò però la politica di inclusione dei Tuareg nelle istituzioni nigerine. Questo, nonostante la grave crisi alimentare che aveva coinvolto le regioni settentrionali del Paese (aridità, siccità e desertificazione condannavano da anni il N. all’emergenza umanitaria), permise di mantenere una relativa stabilità politica; anche e soprattutto nel contesto di deterioramento della sicurezza regionale in occasione della crisi in Mali tra il 2012 e il 2013. Il rischio spillover del terrorismo rimaneva tuttavia elevato: il flusso dei rifugiati dal Mali, i confini permeabili e le precarie condizioni economiche e sociali del N. mantenevano alto il pericolo di radicalizzazione di ampie fasce della società.