DE RISO, Nicoloso
Nacque probabilmente a Messina nella prima metà del sec. XIII; fu fratello di Matteo, il più noto esponente della famiglia.
Ben poche notizie ci rimangono su di lui: nel 1270, anno a cui risale la prima testimonianza, era un uomo ormai maturo e già bene introdotto fra coloro che, ad una sicura provenienza familiare, univano la capacità di instaurare proficui rapporti col potere. I De Riso erano nel sec. XIII la più cospicua famiglia di Messina e in particolare nella seconda metà del secolo il più importante gruppo politico della città. A garantire tale posizione di prestigio contribuivano tanto la solidità economica e il ruolo egemone raggiunto nel contesto sociale cittadino, quanto la singolare predilezione loro accordata da Carlo d'Angiò, pronto a largheggiare in favori e protezione nei confronti di quanti assicuravano fedeltà e sostegno al suo programma di potere. Ciò che conosciamo delle attività del D. attesta senza ombra di dubbio come tutti i membri del gruppo parentale fossero riusciti a inserirsi in punti chiave della gestione politica e amministrativa del Regno. Il tramite era stato quello consueto: conseguiti ricchezza e prestigio, avevano consolidato la posizione raggiunta con l'acquisto di beni feudali o il conferimento di importanti cariche pubbliche e uffici di corte.
Nel 1270 il D. era chiamato, insieme con altri ufficiali, "ad ponendam finalem rationeni de officiis ab eis gestis", a fare il punto cioè e ad effettuare le consegne delle strutture burocratiche che fino a quel momento avevano amministrato.
Per il D. si trattava di porre fine alla sua gestione dell'ufficio "massariarum Sicilie citra flumen Salsum", vale a dire di quell'organo cui erano preposti il controllo e la sorveglianza delle masserie regie nel territorio della Sicilia orientale (Registri d. Cancelleria angioina, XXII, doc. 593, p. 123). Unità produttive impiantate sulle terre del demanio tipiche del paesaggio agrario meridionale in età svevo-angioina, le masserie regie costituiscono l'unico esempio di azienda rurale in cui si esplicavano tanto la fase iniziale della produzione che quella ultima dello smistamento commerciale del prodotto. Distribuite in maniera non uniforme su tutto il territorio del Regno e gestite per mezzo di appalti annuali, esse sono da considerare le strutture più complesse dell'apparato produttivo dello Stato, intorno alle quali ruotavano interessi e capitali di grande portata. Si spiega così il considerevole richiamo che esercitavano fra coloro che, appartenenti e non ai ranghi più elevati della società, disponevano di consistenti liquidità da investire. E che il D., gia nel primi anni della dinastia angioina, avesse potuto aggiudicarsi un ufficio tanto ambito, conferma che aveva raggiunto, in termini di ricchezza e di potere, risultati tutt'altro che trascurabili, tali anzi da consentirgli il progressivo conseguimento di traguardi sempre più importanti.
Nel 1271 il D. faceva parte di un gruppo di dignitari del Regno, fra i quali l'ammiraglio, inviati a riscuotere le somme che il re di Tunisi doveva inviare quale tributo al re di Sicilia, cui era legato da vincoli di fedeltà (ibid., VII, doc. 192, p.214): operazione nella quale era contemporaneamente impegnato, e in modo più concreto e decisivo, il fratello Matteo.
Il fatto che entrambi esplicassero nello stesso tempo le medesime funzioni induce a rafforzare l'opinione di una diffusa e capillare influenza della famiglia come clan parentale, al cui interno prendevano corpo e si concretavano i legami e le capacità personali di ciascun componente. Ma ciò che conta sottolineare è che il D. già in quegli anni era miles, vale a dire inserito a pieno titolo nei ranghi dell'aristocrazia militare del Regno. E se è vero che instaurare nessi immediati tra qualifica e potere può in qualche occasione rivelarsi fuorviante, è anche vero che nel caso specifico l'appartenenza alla classe feudale garantiva senz'altro al D. una posizione di prestigio, ma soprattutto ampi margini di manovra in quel composito ambiente di corte dove interessi privati e gestione della cosa pubblica finivano non di rado col coincidere.
A parte qualche breve notizia su talune sue iniziative, per esempio quella di una illegale appropriazione di beni feudali condotta a compimento insieme con Matteo e per la cui soluzione in favore della Curia era intervenuto lo stesso monarca (ibid., XXI, doc. 53, p. 259), sappiamo che l'essere miles forniva al D. l'opportunità di diventare uno dei più importanti ufficiali del Regno: il 14 Maggio 1272 egli veniva infatti nominato giustiziere di Terra di Bari, carica che avrebbe detenuto fino al 10 settembre dell'anno successivo (Minieri Riccio, Elenco cronologico, p. 7). Si tratta certamente di una tappa di grande significato nel progressivo consolidarsi della sua posizione. I giustizieri, il cui requisito fondamentale era appunto l'appartenenza alla classe dei cavalieri, concentravano infatti nelle loro mani ampie fasce di potere nei territori amministrati. Avvalendosi dell'ausilio di un certo numero di altri funzionari, curavano la giurisdizione civile e criminale, gestivano l'esecuzione dei mandati regi, provvedevano all'esazione di particolari imposte fondiarie.
Nel maggio 1272 il D. venne incaricato, quale giustiziere, di consegnare al secreto di Puglia una considerevole somma di denaro necessaria a completare il pagamento di certi corredi per la milizia regia che la corte aveva acquistato da mercanti veneziani; contemporaneamente gli venivano resi noti i nuovi capitoli emanati dal sovrano in merito ai compiti e alle funzioni "ad officiuni iusticiariatus spectantia", pertinenti cioè all'ufficio che ricopriva. Nel novembre successivo doveva curare insieme con Nicolao Frecze, portulano e maestro procuratore, l'estrazione dal porto di Bari di una certa quantità di frumento e orzo da inviare prima a Brindisi e poi a Durazzo; alcuni mesi dopo doveva occuparsi, insieme col maestro della Zecca di Brindisi, del pagamento dei cereali necessari alla confezione della panatica per i vascelli della Curia (Registri della Cancelleria angioina, VIII, doc. 25, p. 278; doc. 2, p. 274; IX, doc. 160, p. 48; X, doc. 195, p. 55).
Il fatto che il D. ricoprisse la carica di giustiziere proprio in Puglia, dove nello stesso periodo vivevano ed esercitavano funzioni di notevole prestigio numerosi altri personaggi che portavano lo stesso cognome (ibid., passim), sembrerebbe avvalorare l'ipotesi di origini comuni e di una coesione di intenti e di interessi tra i due rami dei De Riso, quelli appunto che vivevano a Messina e il gruppo che operava invece in territorio pugliese.
Nel maggio 1273, prima ancora che giungesse a compimento il suo mandato annuale di giustiziere, il D. veniva designato castellano del castrum di Rometta il più importante centro fortificato dell'entroterra tra Messina e Milazzo noto fin dall'epoca musulmana, e l'anno successivo assumeva l'incarico di vicarius Urbis, cioè di diretto rappresentante di Carlo d'Angiò a Roma (ibid., X, doc. 278, p. 76; XI, doc. 241, p. 139). Aquesta l'ultima notizia che ci è pervenuta sul D.: il 21 giugno 1275, in un ordine di comparizione inviato a numerosi esponenti dei ceti medio alti messinesi, sono citati infatti gli eredi "quondani domini Nicolosi de Riso", invitati a presentarsi con gli altri nella Regia Curia per rispondere "de bonis illicite captis", di quei beni cioè usurpati illecitamente secondo un costume al quale, come abbiamo visto, i De Riso non erano nuovi (ibid., XIV, doc. 200, p. 41). Sembra comunque che il D. fosse già morto il 7 marzo (ibid., doc. 162, p. 95).
Degli eredi diretti che gli sopravvissero conosciamo solo un figlio, Enrico, anche lui miles, e dunque primogenito e successore del padre nel titolo (ibid., doc. 205, p. 104). La consuetudine di dare al nipote il nome del nonno ci induce però a considerare suo diretto discendente anche quel Nicoloso, figlio di Corrado, coinvolto nelle vicende della lunga guerra contro gli Angioini (Codice diplom. dei re Aragonesi…, doc. CXLVIII, pp. 321 s.). Questi, preso prigioniero a Malta nel 1284, veniva graziato qualche tempo dopo dalla regina Costanza che lo sottraeva così "a quella morte ch'ei ben meritava per le portate armi contro la patria" (Amari, La guerra, p. 308).
Fonti e Bibl.: Codice diplomatico dei re Aragonesi di Sicilia, a cura di G. La Mantia, in Docc. per serv. alla storia di Sicilia, s. 1, XXIII, Palermo 1917, doc. CXLVIII, pp. 321 s.; De rebus Regni Siciliae (9 sett. 1282-26 ag. 1283). Documenti inediti estratti dall'Archivio della Corona d'Aragona, a cura di G. Silvestri, ibid., s. 1, V, Palermo 1882-1892, ad Indicem; Appendice, ad Indicem; Registri della Cancelleria angioina, a cura di R. Filangieri, Napoli 1950-1974, ad Indicem; C. Minieri Riccio, Elenco cronologico de' giustizieri di tutte le province del Regno di Sicilia dall'anno 1266 all'anno 1285, Napoli s.a., p. 7;Id., Elenco degli uffiziali governativi del Reame di Sicilia e delle diverse città rette da Carlo I d'Angiò, Napoli 1875, p. 33; G. Romano, Messina nel Vespro siciliano e nelle relazioni siculo-angioine dei secc. XIII e XIV fino all'anno 1372, in Atti della R. Accademia Peloritana, XIV (1899-1900), p. 226; E. Sicardi, Introduzione, in Due cronache del Vespro in volgare siciliano del secolo XIII, in Rer. Ital. Script., 2 ed., XXXIV, [1935], pp. XXII, CXLIX; P. Pieri, La storia di Messina nello sviluppo della sua vita comunale, Messina 1939, p. 103; E. Pontieri, Ricerche sulla crisi della monarchia siciliana del secolo XIII, Napoli 1950, pp. 189, 198, 259 s.; M. Amari, La guerra del Vespro siciliano, a cura di F. Giunta, Palermo 1969, I, pp. 192, 308;G. Buonfiglio Costanzo, Messina città nobilissima, a cura di P. Bruno, Messina 1976, pp.62-62b; C. Martino, La Valle di Milazzo fra età angioina e aragonese (Appunti e problemi di topografia e storia dell'insediamento), in Medioevo. Saggi e rassegne, IV (1978), p. 41; I. Peri, Uomini, città, e campagne in Sicilia dall'XI al XIII secolo, Bari 1978, p. 270; E. Pispisa, Messina nel Trecento. Politica, economia, società, Messina 1980, pp. 24, 26 s., 69; S. Tramontana, La Sicilia dall'insediamento normanno al Vespro (1061-1282), in Storia della Sicilia, III, Napoli 1980, p. 288.