NICOLOSO da Recco
NICOLOSO da Recco. – Nacque presumibilmente all’inizio del XIV secolo, da una famiglia proveniente dalla località di Recco, sulla costa a levante di Genova, probabilmente inurbatasi già nel corso del XIII secolo.
Sulla vita di Nicoloso sono disponibili dati assai scarsi, in quanto, come nel caso del suo contemporaneo Lanzarotto Malocello, la documentazione ufficiale genovese tace completamente su di lui, mentre le notizie derivate da altre fonti non sempre risultano attendibili, o di univoca interpretazione.
Il nome di Nicoloso era del tutto ignoto alla storiografia fino al momento della scoperta all’interno del cosiddetto Zibaldone Magliabechiano (Firenze, Bibl. naz. centrale, mss II.II., 327 Magl., cl.XXII, n. 122) di un’opera minore di Boccaccio, il De Canaria et insulis reliquis ultra Hispaniam in Oceano noviter repertis (1342), identificata da Sebastiano Ciampi, che la diede alle stampe una prima volta nella Antologia del Vieusseux nel 1826 e quindi in un volume nel 1827. In essa veniva riportata la notizia che nel 1341 Nicoloso aveva guidato, insieme al fiorentino Angiolino del Tegghia de’ Corbizi, una spedizione navale organizzata da re Alfonso IV del Portogallo, nel corso della quale era stato esplorato l’arcipelago delle Canarie, già raggiunto, presumibilmente nel 1336, da una precedente spedizione guidata da Malocello, che aveva scoperto l’isola di Lanzarote.
Dopo la pubblicazione del De Canaria, il nome di Nicoloso fu ampiamente e costantemente citato in gran parte delle opere di storia della geografia e delle esplorazioni, anche se le notizie sulla sua persona rimasero assolutamente vaghe. Il confronto con fonti documentarie consente tuttavia un migliore inquadramento del personaggio e della sua impresa nel contesto dell’epoca.
L’ipotesi che Nicoloso fosse nato intorno ai primi anni del secolo si basa sull’unica data assolutamente certa di cui si dispone, il 1341. Atti notarili genovesi hanno poi consentito di identificare con sicurezza alcuni parenti di Nicoloso, come il fratello Enrico, di professione speciarius, la cognata Raffetta di Niccolò Vinciguerra de Castro e un Giovanni, priore del convento genovese dei Carmelitani nel 1339.
Lo stretto legame esistente con la chiesa di Nostra Signora del Carmine di Genova, nei pressi della quale dovevano probabilmente abitare Nicoloso e i suoi congiunti, è confermato dal testo di una perduta lapide, datata 20 dicembre 1364, riportato da un erudito settecentesco (D. Piaggio, Epitaphia, sepulcra et inscriptiones cum stemmatibus, marmorea et lapidea, existentibus in ecclesiis genuensibus, 1720: Genova, Civica Biblioteca Berio, mr. V, 4, 1, c. 255): «DOM MCCCLXIIII die XX decembris. Frater Magister Petrus de Albertis papiensis cum eius conventu Ordinis Fratrum Sancte Marie de Monte Carmeli eo obligante imperpetuum celebrari unam messam pro anima Nicolosii de Recco et heredum suorum pro beneficio magno recepto ab eo et recepturo».
L’anno di morte di Nicoloso ricavabile dalla lapide non coincide con i dati provenienti da una fonte erudita del XVI secolo (Origine delle famiglie di Genova, Archivio di Stato di Genova, ms. 170, cc. 743r, 744r), la cui attendibilità non è pienamente accertata, secondo la quale Nicoloso sarebbe stato membro del Consiglio degli Anziani del Comune nel 1352, 1356, 1371, 1376 e 1387. Tali date non escludono una nascita all’inizio del secolo, tuttavia le ultime tre potrebbero riferirsi a un personaggio omonimo (la fonte in questione non è esente da simili confusioni), mentre le altre due appaiono molto più probabili e compatibili con una morte nel 1364.
Il rango nobiliare generalmente attribuito a Nicoloso nella storiografia non appare del tutto certo; sicuramente era comunque assai ben inserito nei circoli del potere economico e politico di Genova, come dimostrano il matrimonio di suo fratello con una de Castro e il suo stesso matrimonio con la figlia di un altro nobile, Guglielmo Cattaneo, dalla quale ebbe il figlio Michele, che compare in un atto notarile del 1352 in qualità di testimone e pertanto doveva essere nato almeno nel 1327.
Il complesso di questi dati consente di tracciare un ritratto di Nicoloso coincidente con quello di altri facoltosi uomini d’affari della Genova del tempo: impegnati nel commercio e nell’amministrazione cittadina in posizioni di responsabilità, in rapporto con il nuovo potere ‘popolare’, ma legati alle famiglie della vecchia aristocrazia che fino al 1339 avevano dominato la città. In effetti, la sua impresa di navigatore evidenzia proprio questo aspetto, dato che è assai probabile che si trovasse in Portogallo al seguito dell’Almirante Mor, il nobile genovese Emanuele Pessagno, il quale, nel siglare il contratto che aveva legato ereditariamente lui e i suoi discendenti alla Corona portoghese ai tempi di re Dionigi I, padre di Alfonso, si era espressamente impegnato a tenere costantemente a disposizione della flotta reale un gruppo di venti «homens sabedores de mar» di origine genovese (Belgrano 1881), che dovevano formare i ‘quadri superiori’ degli ufficiali della marina portoghese. È assai probabile che tanto Malocello quanto Nicoloso fossero parte di questo gruppo di tecnici raccolto intorno all’ammiraglio e ai suoi figli e che pertanto abbiano guidato le missioni di esplorazione nell’Atlantico in qualità di ufficiali regi.
Entrambe le imprese si inseriscono nel programma di esplorazione dell’Atlantico meridionale lungo le coste africane iniziato con la spedizione organizzata nel 1291, con il finanziamento di Tedisio Doria, dai genovesi Ugolino e Vadino Vivaldi, di cui non si era avuta più notizia dopo un’ultimo avvistamento al largo delle coste marocchine. Quest’impresa, descritta con inusitata ampiezza negli Annali redatti da Jacopo Doria, doveva essere ben presente a Pessagno che probabilmente suggerì al sovrano portoghese di riprendere l’iniziativa e allo scopo mise all’opera alcuni dei suoi collaboratori. Il fatto che tutto avvenisse, sia pure a opera di genovesi, con l’organizzazione e sotto l’egida del re di Portogallo può contribuire a spiegare il silenzio delle fonti genovesi in proposito, un silenzio rafforzato dalla segretezza di cui già allora i portoghesi tendevano a rivestire le loro operazioni di esplorazione oceanica (anche se nella carta nautica di Angelino Dulcert del 1339 compaiono per la prima volta alcune delle Canarie, tra cui l’isola Lanzaroti Maroxelli), come dimostra lo stesso passo dell’opera di Boccaccio nel quale viene rimarcato che Nicoloso si rifiutò di dare ulteriori particolari sulla sua impresa ai mercanti fiorentini con i quali aveva comunicato a Siviglia.
Anche le date delle due spedizioni e dell’incontro di Nicoloso con i suoi interlocutori a Siviglia sono assai significative: fino al 1336 la guerra in corso con la Castiglia aveva di fatto impedito l’organizzazione di qualunque spedizione che andasse al di là di un semplice sondaggio, come quella di Malocello, ma non appena il riavvicinamento castigliano-portoghese in funzione antimarocchina ne offrì le condizioni, i portoghesi si affrettarono a intraprendere la spedizione più poderosa, organizzata e guidata da Nicoloso, che ebbe luogo poco tempo dopo che le flotte congiunte portoghese e castigliana, guidate entrambe da ammiragli genovesi, ebbero sbaragliato quella marocchina nella battaglia del Rio Salado, nel 1340.
L’attenta ricognizione testimoniata dal racconto tramandato dal manoscritto fiorentino, nel corso della quale presumibilmente vennero toccate per la prima volta anche le Azzorre e Madera, indica chiaramente che i portoghesi erano all’epoca più interessati a trovare basi di appoggio per la loro navigazione, o eventuali ricchezze, che non a colonizzare le isole, ma è soprattutto notevole per l’attenzione ‘antropologica’ nei confronti degli indigeni, i ‘guanci’, che anticipa le caratteristiche di molte delle cartas de descobrimento indirizzate nei secoli successivi dai navigatori lusitani alla Corte di Lisbona.
Forse anche per sviare l’eccessivo interesse suscitato nei suoi interlocutori, Nicoloso sostenne che nelle isole non vi era niente che presentasse un reale interesse commerciale e che pertanto si era deciso di non proseguire nell’impresa. In realtà, probabilmente, il rinvio di ulteriori esplorazioni era legato anche all’esigenza di concentrare le forze navali nella campagna antimerinide intrapresa da Alfonso XI di Castiglia con l’appoggio portoghese per sottrarre definitivamente alle forze islamiche il controllo dello Stretto di Gibilterra e che non a caso aveva suscitato interesse e simpatie negli ambienti del governo genovese. Nicoloso doveva quindi presumibilmente trovarsi a Siviglia con la squadra navale portoghese ed è possibile che sia rientrato a Genova nel 1344, dopo che la presa di Algeciras ebbe messo fine alla campagna.
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