SANUTI, Nicolosa
SANUTI, Nicolosa (nata Castellani). – Nacque presumibilmente tra la fine degli anni Venti e l’inizio dei Trenta del Quattrocento dal notaio Antonio Castellani e da Margherita Franchini; ebbe una sorella, Giovanna.
Non ci sono giunte notizie sulla sua vita precedente il matrimonio, celebrato il 6 aprile 1446, con Nicolò Sanuti, nobile bolognese e dottore in legge, con dote di 5000 lire. Nel 1448 Sanuti assunse il titolo di contessa della Porretta in seguito alla nomina del marito alla guida della neonata contea. Trent’anni dopo, Sabadino degli Arienti, nella raccolta di novelle ambientate nella contea intitolata Le porrettane, descrisse la contessa come una donna particolarmente bella e ricercata nel vestire.
Sanuti fu nota ai contemporanei per aver dettato nel 1453 un’orazione a sostegno della possibilità per le donne di alto rango sociale e culturale di manifestare il proprio status attraverso lo sfoggio di abiti e gioielli. Il destinatario del testo era il cardinale legato di Bologna Bessarione, che in quello stesso anno aveva emanato una provvisione di natura suntuaria allo scopo di imporre severi limiti all’abbigliamento femminile. L’orazione citava i più importanti esempi femminili della cultura classica al fine di sostenere come per le donne, escluse da sacerdozio e pubblici uffici, fosse necessario mostrare la propria virtù attraverso lo sfoggio di abiti e ornamenti. Sanuti non scrisse di proprio pugno l’orazione, ma ne affidò la redazione a un intellettuale bolognese – la cui identità è rimasta ignota, allora come oggi – affinché venisse scritta in latino: nonostante questo Sanuti ne rivendicò sempre la proprietà intellettuale.
Come dimostrano i numerosi esemplari manoscritti ancora conservati, l’orazione ebbe notevole diffusione nel corso dei secoli XV e XVI come modello letterario umanistico ed esempio della capacità critica femminile nei confronti dei limiti imposti dalle leggi suntuarie. Lo scritto provocò immediatamente la reazione di alcuni intellettuali. Già nello stesso anno le rispose Matteo Bosso, un illustre chierico che molto probabilmente fu tra i promotori e i redattori della legge emanata da Bessarione. L’intellettuale tuttavia non si schierò direttamente contro Sanuti, ma contro l’ignoto redattore dell’orazione, non ritenendo che questa potesse essere opera di una donna. Alla polemica si aggiunse poi la voce di Guarino Veronese, il quale intervenne a sostegno di Sanuti tramite l’invio di una lettera a Sante Bentivoglio che sembrava sostenere le posizioni della nobildonna. Il dibattito non ebbe però alcun risultato politico e il cardinale legato non apportò nessuna modifica alla legge.
Lo testimonia il noto episodio – enfatizzato dalla storiografia in quanto parve essere l’unico momento di scontro tra Sante Bentivoglio e Bessarione – del matrimonio tra Sante e Ginevra Sforza avvenuto nel maggio del 1454. In questa occasione fu organizzato uno sfarzoso corteo nuziale, che non rispettava dunque i limiti imposti dalla legislazione del cardinale. Bessarione reagì all’affronto con la scomunica delle donne presenti alle nozze e comminando l’interdizione dal sacerdozio ai frati agostiniani che avevano celebrato la messa nuziale nella chiesa di S. Giacomo. Benché Sante Bentivoglio sembrasse dunque contrario all’imposizione della legge suntuaria del 1453, per la necessità di mantenere buoni rapporti con il cardinale legato decise di non aprire un terreno di scontro. In questo modo riuscì, in seguito, a ottenere anche il ritiro della condanna che aveva colpito i frati agostiniani.
La prova dell’autorialità dell’orazione da parte di Sanuti è contenuta in un’epistola che la donna indirizzò a Sante Bentivoglio nel 1454 e nella quale ella riconobbe l’azzardo vanamente compiuto nel prendere posizione a nome di tutte le donne. Nella lettera, di poco precedente alle nozze di Bentivoglio con Ginevra Sforza, Nicolosa Sanuti gli dichiarò il suo amore. Notizie della relazione amorosa – che lo stesso Bentivoglio definì come «di fede, d’amore, di lettere, di ambasciate, risposte e doni» (Frati, 1895, p. 343) – provengono anche dai versi del salernitano Gianotto Calogrosso. Il poeta scrisse all’epoca in cui Sanuti era in vita e non si può escludere che il componimento fosse stato commissionato dagli stessi protagonisti del testo: Nicolosa Sanuti e Sante Bentivoglio.
Alla morte del marito Nicolò il 24 giugno 1482, in assenza di figli Nicolosa fu nominata erede universale insieme con alcune istituzioni religiose. Da quel momento si occupò della gestione e della locazione di proprietà e attività economiche avviate dal marito. Continuò a risiedere fino alla sua morte nel palazzo Sanuti (poi Bevilacqua), a Bologna, provvedendo personalmente al finanziamento di alcuni lavori di costruzione e manutenzione del prestigioso edificio; come da sue disposizioni il palazzo fu successivamente ceduto a favore di Giovanni Bentivoglio.
Sanuti morì nel 1505.
Affidò, come da testamento (redatto il 18 agosto 1495) il proprio patrimonio ad Alberto de’ Carbonesi, a monasteri e istituzioni ecclesiastiche bolognesi e ad alcune domestiche; alla sua morte fu redatto un inventario dei beni mobili da lei posseduti, tra i quali figuravano numerosi e preziosi capi d’abbigliamento, a testimonianza del ricco vestiario che aveva caratterizzato la nobildonna, fiera sostenitrice del ruolo femminile nella società cittadina del XV secolo.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Bologna, Corporazioni religiose soppresse, S. Salvatore, 129/2576, 263/2710; Archivio notarile, Cesare Nappi, 18 agosto 1495; Archivio notarile, Virgilio Gambalunga, 12 dicembre 1505; L. Frati, Lettere di Galeazzo Marescotti e Sante Bentivoglio, in Giornale storico della letteratura italiana, XXVI (1895), pp. 305-349; Corpus chronicorum Bononiensium, a cura di A. Sorbelli, in Rerum italicarum scriptores, XVIII, 4, Città di Castello 1905, pp. 201- 205; L. Frati, La vita privata in Bologna dal secolo XIII al XVII, Bologna 1928, pp. 251-262 (edizione dell’orazione); C.M. Ady, The Bentivoglio of Bologna, Oxford 1937, pp. 49 s., 134; G. Calogrosso, Nicolosa bella: prose e versi d’amore del sec. XV inediti, a cura di F. Gaeta - R. Spongano, Bologna 1959; S. degli Arienti, Le porretane, a cura di B. Basile, Roma 1981, pp.164 s.; D. Owen Hughes, Sumptuary law and social relations in Renaissance Italy, in Disputes and settlements. Law and human relations in the West, a cura di J. Bossy, London-New York 1983, pp. 69-99; G. Lombardi, Galiane in rivolta. Una polemica umanistica sugli ornamenti femminili nella Viterbo del Quattrocento, Roma 1998, pp. CXVI-CXXXVIII; Id., Traduzione, imitazione, plagio (N. S., Albrecht von Eyb, Niclas von Wyle), in Furto e plagio nella letteratura del Classicismo, a cura di R. Gigliucci, Roma 1998, pp. 103-138; V. Hacker, Die Konstruction der weiblichen Natur als Domestizierung der Frau. Zu Aspekten der Weiblichkeit bei Nicolosa Sanuda, Niklas von Wyle und Albrecht von Eyb, in Natur und Kultur in der deutschen Literatur des Mittelalters, Colloquium Exeter 1997, a cura di A. Robertshaw - G. Wolf, Tübingen 1999, pp.139-149; C. Kovesi-Killerby, Heralds of a well-instructed mind: N. S.’s defence of women and their clothes, in Renaissance Studies, XIII (1999), pp. 255-282; J. Bridgeman, «Pagare le pompe»: why Quattrocento sumptuary laws did not work, in Women in Italian Renaissance culture and society, a cura di L. Panizza, Oxford 2000, pp. 209-226; C. Kovesi Killerby, Sumptuary laws in Italy (1200-1500), Oxford 2002, pp.124-132; La legislazione suntuaria secoli XIII-XVI. Emilia-Romagna, a cura di M.G. Muzzarelli, Bologna 2002, pp. 148-152; E. Zanoli - G. Dalle Donne, Nicolosa bella, splendida nynpha e coraggiosa contessa, Sasso Marconi 2005.