TIEPOLO, Nicolò
– Secondo dei quattro figli maschi di Francesco ‘forfetta’ e di Altadonna Contarini di Alessandro, nacque a Venezia nel 1477.
Nonostante avesse estratto nel 1495 la Balla d’oro, non intraprese subito la carriera politica, ma si dedicò agli studi; a Padova infatti è documentata la sua presenza dal 1498 al 1503 come studente nelle arti liberali e medicina. Ma non si addottorò, continuò il percorso culturale per suo conto: l’alloro lo avrebbe conseguito, ormai trentenne, nella più prestigiosa sede romana. Ambasciatore presso la S. Sede era allora Giovanni Badoer, che il 13 luglio 1507 informò il Senato «Dil dotorar di sier Nicolò Tiepolo, per il papa, con gran suo honor. Qual à tenuto conclusion publice, coram 16 cardinali...; sì che scrive assa’ laude dil ditto» (Sanuto, 1882-1890, VII, col. 116). Anche Pietro Bembo non mancò di ricordare l’evento, inserendo Tiepolo tra i più dotti veneti; giudizio a più riprese condiviso da Gasparo Contarini, Pietro Aretino, Paolo Giustinian e diversi altri.
Del resto, in quanta considerazione egli fosse tenuto rendono testimonianza l’aver preso parte, il 26 marzo 1512, al corteo inviato ad accogliere il cardinale svizzero Matteo Schinner e l’anno dopo la richiesta, inoltrata al Consiglio dei dieci il 4 agosto 1513 dal fratello del papa, Giuliano de’ Medici, di inviare a Roma Tiepolo per colloqui segreti, senza «suspicar la venuta sua esser nomine publico» (Archivio di Stato di Venezia, Capi del Consiglio dei dieci, Lettere ambasciatori, b. 21, n. 10). Ancora, il 10 dicembre 1514 partecipò, assieme ai più illustri concittadini, a un banchetto in onore del condottiero Bartolomeo d’Alviano. Sono chiare attestazioni della stima e del prestigio di cui egli godeva, benché non avesse ancora ricoperto alcuna carica pubblica. Ne aveva infatti fallite diverse, tutte prestigiose: nel solo 1512, il 23 gennaio era stato ballottato ambasciatore in Ungheria, il 2 ottobre in Francia, il 4 novembre a Genova; il 25 luglio 1513 al papa, il 27 dicembre 1514 in Inghilterra. Forse era stato lui a evitarle, annunciando di volta in volta il rifiuto e la spiegazione l’avrebbe fornita al termine della relazione presentata nel 1532, di ritorno dall’ambasceria sostenuta presso l’imperatore Carlo V. In essa così ricostruì le disavventure incontrate dopo la scomparsa del padre, nel 1513, e della prima moglie, Emilia Savorgnan di Girolamo, da lui sposata (benché ormai quarantacinquenne) nel 1522: «M’aveva dopo la morte di mio padre la fortuna [...] tenuto faticato [per cui] convenne che [...] ponessi cura alla recuperazione e governo delle cose mie familiari [...], quando la medesima avversa fortuna [...] quasi in un medesimo punto mi tolse la moglie e la madre, lasciandomi tre piccoli figlioli, delli quali il maggiore non aveva ancor finito quattr’anni, e casa mia senza alcun governo».
Fu pertanto costretto a farsi carico dell’amministrazione domestica, specie «alla eredità materna, che sola era tutta la facoltà nostra», sicché per diverso tempo dovette trascurare la carriera politica (Relazioni di ambasciatori..., 1970, p. 281), che poi iniziò in sordina, con incarichi modesti e di breve respiro: il 31 maggio 1515 fece parte della commissione chiamata a giudicare i contrasti che opponevano la comunità di Aviano alla famiglia Gabriel; quasi un anno dopo, il 4 marzo 1516, fu la volta dei Premarin e del loro feudo a Zia, nell’Egeo. In seguito ricominciarono le mancate elezioni: fallite quelle all’ambasceria romana il 7 maggio 1516, al re di Castiglia il 22 febbraio 1517, al saviato di Terraferma il 26 giugno, il 29 settembre e il 4 ottobre, al re d’Inghilterra il 19 novembre dello stesso anno, quindi ancora più volte al saviato di Terraferma nel 1518 e nel 1519 e, negli stessi anni, alle ambascerie di Spagna, Francia, Roma. Le reiterate delusioni – se tali furono – sul versante politico vennero compensate dalla partecipazione a eventi mondani o pubblici: il 18 gennaio 1517 fu nel corteo ducale per la pubblicazione della tregua con l’imperatore; il 20 maggio dello stesso anno fu fra i patrizi destinati a ricevere Federico Gonzaga; l’8 ottobre 1518 venne invitato a una pubblica lezione di greco di Vittore Fausto. Dopo un breve intervallo politico (provveditore alla Fossa Boara, 24 settembre 1520), rifiutò per due volte (4 aprile 1521 e 24 febbraio 1522) la nomina all’ambasceria inglese, ma ecco che nello stesso 1522 si registrò una svolta nella sua esistenza: sposò Savorgnan e accettò (24 settembre) il rettorato di Rovigo, un’area povera dove il problema fondamentale era costituito dalle esondazioni dell’Adige e del Po. Lesse la relazione (che non ci è stata conservata) il 16 dicembre 1523.
Fece parte dell’ambasceria straordinaria inviata nella primavera del 1524 a rallegrarsi dell’elezione al pontificato di Clemente VII, poi fu savio di Terraferma nel primo semestre del 1525 e il 3 maggio venne eletto podestà di Brescia. Vi rimase diciassette mesi, occupandosi delle fortificazioni, ma soprattutto delle contribuzioni richieste alla popolazione in seguito all’adesione della Repubblica alla Lega di Cognac (22 maggio 1526); la risposta dei bresciani fu positiva e Tiepolo non mancò di sottolinearlo nella relazione conclusiva letta in Senato il 22 marzo 1527: «Io ho veduto, Serenissimo Principe, nella citade... tale dimonstratione di affetto et fede, non con parole solamente, ma cum gli effetti prompti, che maggiore da subditi sperare non si porìa» (Relazioni dei rettori..., 1978, p. 13).
Nuovamente savio di Terraferma da aprile a settembre del 1527, il 17 ottobre 1528 fu eletto riformatore dello Studio di Padova, il 5 marzo 1529 venne inviato al duca di Urbino, Francesco Maria Della Rovere, per trattare il suo ritorno al servizio della Serenissima; nominato il 1° maggio 1529 membro del Consiglio dei dieci e, da ottobre, della sua zonta, il 4 gennaio 1530 fu eletto ambasciatore presso Carlo V, nell’imminenza dell’incoronazione a Bologna. Al termine dell’evento seguì l’imperatore in Germania e nelle Fiandre, per ritornare a Venezia il 24 maggio 1532.
Nella relazione, letta agli inizi di giugno in Senato, la condanna senza appello del luteranesimo sembra motivata soprattutto dalla natura politicamente eversiva della dissidenza religiosa; largo spazio è poi dedicato ai disagi e alle spese affrontate nel «vivere o in cammino sopra le osterie [...] in tempo d’una carestia [...] tale, che uomo non è che si ricordi d’una maggiore in Germania» (Relazioni di ambasciatori..., 1970, p. 283).
Riformatore dello Studio di Padova dal 23 gennaio 1533 (e come tale chiamò nell’ateneo il giurista Andrea Alciato), censore il 29 giugno dello stesso anno e in ottobre membro del Consiglio dei dieci, il 5 maggio 1534 fu chiamato a occuparsi dei prestiti imposti al clero, poi entrò nella zonta dei Dieci e il 9 ottobre fu degli otto ambasciatori inviati a Roma per l’elezione al pontificato di Paolo III.
Scomparsa la moglie nel 1528, il 22 aprile 1535 si risposò con Maria Foscarini, vedova di Girolamo Barbarigo di Andrea. Sorprendente decisione, dal momento che Tiepolo si era deciso al primo matrimonio ormai in età matura e, benché Savorgnan gli avesse dato figli maschi e lui avesse vissuto tiepidamente la vita coniugale, volle rimaritarsi quando di anni ne aveva cinquantotto. Il nuovo stato sociale non incise comunque sulla sua carriera politica: il 22 aprile 1536 fu eletto nella commissione sulla riforma delle leggi, il giorno dopo venne confermato membro della zonta del Consiglio dei dieci (dei Dieci o della zonta avrebbe fatto parte sino alla morte, eccettuato il periodo 1546-48); infine, il 7 ottobre dello stesso 1536 fu eletto, assieme a tre colleghi, ambasciatore a Carlo V, allora a Genova, per confermare l’amicizia della Repubblica dopo la fallita spedizione in Provenza; la missione però non ebbe luogo, essendosi nel frattempo l’imperatore imbarcato per la Spagna.
Consigliere per il sestiere di San Polo nel 1537, il 7 aprile 1538 venne inviato, assieme a Carlo Cappello e Marco Antonio Corner, al convegno di Nizza.
La missione, tanto breve quanto difficile, si concluse con la relazione letta in Senato il 12 luglio, autentico capolavoro per acume e stringatezza. Impossibile, scrisse, sperare nella pace tra Carlo V e Francesco I, per cui l’unico risultato auspicabile era che la tregua in atto non fosse effimera; quanto a Venezia, l’imperatore non nascondeva la sua diffidenza per ciò che concerneva l’impegno antiturco, donde gli sforzi dei diplomatici per rimuoverlo dalla sfavorevole opinione.
Rimpatriato, il 22 ottobre 1538 Tiepolo fu nuovamente eletto riformatore dello Studio di Padova e fu anche savio del Consiglio per il primo semestre del 1540 e 1541; il 20 luglio 1541 gli venne affidata, assieme a tre colleghi, la missione di accompagnare l’imperatore nel suo passaggio per i territori veneti, nel corso del viaggio a Lucca. Ancora savio del Consiglio in vari semestri dall’ottobre del 1542 fino al dicembre del 1546 e poi dal gennaio del 1548 al marzo del 1551, l’11 dicembre 1542 fu eletto di nuovo riformatore dello Studio di Padova (carica rinnovata al termine della contumacia, il 18 gennaio 1546), quindi (29 luglio 1543) consigliere di San Polo e qualche giorno dopo (3 agosto) della commissione per le fortificazioni di Zara, correttore della Promissione ducale il 14 novembre 1545 e il 5 dicembre membro del collegio delle Fortezze. Il 22 aprile 1547 fu savio all’Eresia, quindi (1° giugno 1548 e 1° febbraio 1551) consigliere di San Polo, infine per la quinta volta (31 gennaio 1550) riformatore dello Studio di Padova. Era un chiaro riconoscimento del valore intellettuale di Tiepolo, amico e corrispondente dei principali esponenti della cultura del tempo ed egli stesso letterato, poeta ed eccellente oratore: basti per tutte la testimonianza di Ludovico Ariosto, che lo ricordò fra i dotti più illustri nell’ultimo canto dell’Orlando furioso.
Morì a Venezia, nella sua casa a San Polo, il 4 luglio 1551.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Misc. Codd., s. I, 20, Storia veneta: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de’ patritii..., VII, p. 83; Segr. alle voci, Elez. Magg. Cons., regg. 1, cc. 3, 5, 2, cc. 1, 3, 4; Segr. alle voci, Elez. Pregadi, reg. “A”, cc. 20, 56, 62, 82, reg. 1, cc. 6 s., 18 s., 27, 28, 30, 34, 36, 44, 55, 62-64, 85; Senato dispacci Spagna, fasc. 1, nn. 8-16 (Nizza 1538); Capi del Consiglio dei X, Dispacci ambasciatori, bb. 10, n. 156 (Francia 1531), 12, nn. 20-72 (Germania 1530-31); Dispacci rettori, b. 121, n. 34 (Rovigo 1523); b. 21, n. 10 (Roma 1513); Provveditori alla sanità, Necrologi, reg. 795, sub 4 (luglio 1551); Venezia, Biblioteca Marciana, Mss. It., VII.817 (= 8896), cc. 106, 275, 311, 337; 819 (= 8898), cc. 87, 178, 203, 208, 241; 820 (= 8899), cc. 174, 246; 821 (= 8900), cc. 9, 109, 174, 235, 275, 304; 822 (= 8901), cc. 29, 80, 128, 239, 311, 320; 823 (= 8902), cc. 204, 282, 317.
M. Foscarini, Della letteratura veneziana..., Venezia 1752, p. 493; E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, II, Venezia 1827, III, 1830, V, 1842, VI, 1853, ad indices; Id., Rime di Nicolò e Iacopo Tiepoli viniziani poeti del secolo XVI, Venezia 1829, pp. 5-26; M. Sanuto, I diari, VII, XIII, XIV-XVI, XIX-XX, XXII-XXVII, Venezia 1882-1890, ad indices; Acta graduum academicorum gymnasii Patavini ab anno 1501 ad annum 1525, a cura di E. Martellozzo Forin, Padova 1969, pp. 43, 45, 63, 80, 85, 89-91; Relazioni di ambasciatori veneti al Senato, a cura di L. Firpo, II, Germania 1506-1554, Torino 1970, pp. 174-284, 305-343; Relazioni dei rettori veneti in Terraferma, XI, Podestà e capitani di Brescia, Milano 1978, pp. 9-21; M. Bellabarba, Le pratiche del diritto civile: gli avvocati, le ‘Correzioni’, i ‘conservatori delle leggi’, in Storia di Venezia, VI, Dal Rinascimento al barocco, a cura di G. Cozzi - P. Prodi, Roma 1994, p. 803; Acta graduum academicorum gymnasii Patavini ab anno 1471 ad annum 1500, a cura di E. Martellozzo Forin, Roma-Padova 2001, pp. 75, 1491, 1502; G. Benzoni, Venezia, 11 agosto 1508: mille orecchie per Luca Pacioli, in Studi veneziani, n.s., LXIX (2014), pp. 119, 153-164.