SEBREGONDI, Nicolò
– Nacque a Domaso, nell’Alto Lario, da Giovanni Antonio detto Tamagnolo e da Giulia Calderari, probabilmente prima del 1580 (Longatti, 2017, p. 68). Nel 1595 era ancora in patria (p. 70); la formazione, secondo tradizione, come pittore nei Paesi Bassi (Marani, 1965, p. 175), è un dato da valutare con circospezione, mentre è possibile che egli si sia recato a Roma già attorno al 1601, trovandosi iscritto dal 1608 all’Accademia di Giovan Battista Crescenzi (Longatti, 2016 [2017], p. 71). A costui Sebregondi fece «il disegno della porta e delle vaghe finestre di trevertino, con molta gratia formate. Architettò a’ signori Panfilij la porta e la ringhiera nella piazza di Pasquino: e anche piantò il principio della chiesa della Madonna del Pianto a piazza Giudea» (Baglione, 1642, p. 365). Il lavoro per palazzo Crescenzi alla Rotonda si retrodata peraltro almeno al 1606, quando lo stuccatore ticinese Francesco Silva s’impegnava a realizzare decorazioni nello stabile «iuxta designum domini Nicolai Suburgundi» (La SS. Trinità dei Pellegrini di Roma, 2001, p. 16); da ciò sembra potersi ipotizzare la sua presenza in città da alcuni anni.
Nel 1611, impegnato nella costruzione di S. Maria del Pianto, Sebregondi viveva in casa Crescenzi (Gröbner - Tucci, 1993, p. 31). I lavori per la chiesa posta nei pressi del portico d’Ottavia gli furono pagati sino al gennaio 1613 (p. 33), ma rimasero interrotti e furono completati solo in seguito da Giovan Battista Mola (abside e sagrestia) e da Mario Bernardi (cupola).
Nel settembre 1612 Sebregondi si recava a Frascati, probabilmente per pianificare interventi nella villa Mattei, appena acquistata dal cardinale Ferdinando Gonzaga, ma nessun intervento fu poi realizzato (Guerrieri Borsoi, 2016, p. 88).
Il porporato, allora residente nell’Urbe, divenne sesto duca di Mantova nel 1612 e l’anno seguente chiamò l’artista a lavorare a Mantova, città alla quale Sebregondi legò larga parte della sua vita e del suo operato.
Nel secondo decennio del Seicento e fino alla morte, avvenuta nel 1630, Antonio Maria Viani fu prefetto delle fabbriche a Mantova, ma la principale fabbrica intrapresa da Ferdinando Gonzaga, la villa suburbana detta “la Favorita”, di cui restano le monumentali vestigia a poca distanza dalla città, benché iniziata da Viani, fu condotta sin dal 1614 da Sebregondi (Pastore, 1984, p. 81), che vi lavorò sino al 1624.
La morte del Gonzaga (1626), il sacco di Mantova nel 1630, demolizioni, danneggiamenti, l’uso improprio e il progressivo abbandono, hanno ridotto l’edificio a una vuota scatola muraria: pur gigantesco frammento di un palazzo che occupava un’area di circa 250 per 500 metri, con torrette angolari, terrazze, scaloni a doppie rampe sui due fronti, scuderie e giardini. Oggi rimane il solo corpo mediano, delineato da una superficie muraria mossa da lesene bugnate. Si riconoscono ancora una parte del loggiato del fronte sud, una scala elicoidale, il vestibolo d’accesso, il salone centrale e quattro sale a ovest. Ai pieni delle pareti si alternavano i vuoti delle ampie logge verso il giardino, mentre verso la città l’edificio mostrava una facies di lesene e bugne rustiche, alleggerita da un vivace cromatismo: sul fondo di cotto a vista spiccavano i materiali lapidei candidi o grigi e le superfici intonacate bianche. Il disegno delle cornici delle finestre prosegue presentando il motivo, a Mantova già impiegato da Viani, e in altro modo ancora prima da Giulio Romano, del frontone interrotto dalle chiavi della piattabanda. In questa imponente costruzione, la più vasta impresa architettonica di quegli anni, si deve riconoscere lo stile di Sebregondi: lontano dal rigoglio di ornati a carattere vegetale o animale di Viani, Sebregondi espone una sua interpretazione del rustico manierista, basata su un sapiente uso di pieni e vuoti, nonché su un prevalente linearismo. La villa annunziava inoltre l’intenzione già barocca di abbandonare il centro urbano per spostare la corte fuori dalla città (Marani, 1965, p. 176).
Sebregondi in quegli anni si impegnò anche in altri progetti, tra cui fabbriche a Pietole per il duca Ferdinando (p. 199 nota 97), ma non più esistenti, e il disegno, tradotto in incisione da Justus Sadeler, del frontespizio della Genealogia gonzaghesca di Antonio Possevino (1617); nello stesso 1617 principiò la ricostruzione della chiesa mantovana di S. Maria del Carmine (Pastore, 1984, pp. 83-86), ora perduta; il capitolato dei lavori prevedeva una sequenza di pilastri a scandire il ritmo delle cappelle, con capitelli d’ordine corinzio, sovrastati da architrave, fregio e cornice; il risultato finale non doveva allontanarsi troppo dalla chiesa romana di S. Maria del Pianto.
Nel 1621 progettò la cappella del Rosario in S. Domenico a Mantova, il cui apparato scultoreo fu affidato ad Alessandro Nani, forse con la sola eccezione della statua principale, che le fonti locali assegnano ad Alessandro Algardi; il lavoro fu completato nel 1623 (L’Occaso, 2008, p. 8; Berzaghi, 2012). La chiesa, ristrutturata a fine XVIII secolo, è stata interamente demolita nel 1925.
Sebregondi curò i rapporti con la patria, e infatti nel 1621 è documentata la richiesta di un suo parere per lavori al duomo di Como, forse per l’abside meridionale e per il tiburio (Longatti, 2016 [2017], p. 72). Al contempo, mantenne relazioni con l’ambiente romano, risultando iscritto nel 1625 alla confraternita della SS. Trinità (Pupillo, 2001, p. 25 nota 27). Gli è stato anche riferito – ma su malcerte basi stilistiche – un progetto del 1647 (Roma, Biblioteca apostolica Vaticana, Cod. Vat. 11258-202) per il concorso della fontana dei Fiumi di Innocenzo X, in piazza Navona (Gerlini, 1943).
Nel 1624 – mentre il cantiere della Favorita sembrava ormai prossimo a compimento – Sebregondi principiò una costruzione per i padri oratoriani a Casale Monferrato, che fu necessario demolire nel 1628 per ragioni belliche (Marani, 1971; Azzi Visentini, 1985, p. 108).
Le fonti mantovane gli attribuivano la costruzione della chiesa e dell’eremo di Bosco Fontana, iniziati nel 1632 e conclusi nel 1636. Gli edifici – demoliti nel 1793 – furono tuttavia progettati e costruiti mentre l’architetto era in Boemia (Ferrari, 2001, pp. 76 e 79).
La partenza da Mantova potrebbe datarsi al 1630, anno della peste e anno in cui gli morì la moglie Ippolita Acerbi (D’Arco, 1842); in seguito Sebregondi si risposò con Eleonora Grignani (Pastore, 1984, p. 90).
L’architetto prese il posto del defunto Andrea Spezza al servizio di Albrecht Waldstein, generalissimo imperiale, e operò a Praga, dove è certamente attestato il 4 settembre 1631 in palazzo Waldstein (Ferrari, 2001, p. 79). In seguito lavorò alla realizzazione di alcuni edifici come la loggia monumentale di Valdice e disegnò l’ampliamento di Jičín, un centinaio di chilometri a nord-est di Praga (Líčeníková, 1997; Nosari, 1997), nonché il viale di tigli che da Jičín conduce alla riserva di caccia di Valdice (1630-32) (Carrai, 2003, p. 384 nota 50), che probabilmente echeggiava il viale alberato che da Mantova conduceva a Marmirolo. L’intenso periodo portò Sebregondi a progettare numerosi altri interventi che gli vengono riferiti in letteratura (e non tutti di certa autografia): nel duomo di Jičín, nella sala terrena di Burg Kost, nel castello di Lembeck, le basi per la costruzione del castello di Sobčice, progetti (irrealizzati) per il chiostro dei domenicani a Jičín e per il gesuitico S. Ignazio (Fidler, 1987, p. 89). Nel 1633 progettò la cappella di S. Michele nel complesso premostatense di Strahov (Uličný, 2017, pp. 225-229). Si ritiene che abbia fatto ritorno a Mantova alla morte di Waldstein, nel 1634 (Ferrari, 2001, p. 79), ma forse servì anche il conte Rudolf von Tieffenbach, continuando la sua opera sia a Jičín – sul castello e sul duomo – sia a Kamenice, dove gli è riferito, ma in data troppo tarda (attorno al 1639), il castello (Fidler, 1987, p. 89; in generale, su questo periodo: Uličný, 2017, passim).
La prima sicura attestazione di Sebregondi di nuovo a Mantova – dopo l’intensissimo periodo boemo – è del 12 gennaio 1635 (Pastore, 1984, p. 95 nota 44), e dal 1636 egli assunse la carica di prefetto delle fabbriche (p. 85). Appena rientrato nella città gonzaghesca, avrebbe messo mano alla ricostruzione di Porta Cerese (Marani, 1965, pp. 177 e 199 s. nota 100).
Nel 1640 s’impegnò in apparati effimeri in onore della Vergine Incoronata, realizzando cospicue strutture a decoro del duomo cittadino e di S. Andrea (Azzi Visentini, 1985, p. 109). Nel 1644 si occupò degli apparati effimeri per festeggiare l’elezione al soglio pontificio di Innocenzo X (p. 110).
Nel 1641 stimò la fabbrica e i giardini della residenza benacense dei Gonzaga a Maderno (Ferrari, 1969). Dal 1642 prese avvio la ristrutturazione della collegiata di S. Stefano a Novellara, della quale Sebregondi fornì i disegni per la realizzazione di nuovo coro, cupola, parte del transetto, trabeazione della navata e finestroni (Tamborrino, 1997).
Nel 1644 fu ancora impegnato per la chiesa carmelitana di Mantova, quando furono poste le fondamenta di un nuovo campanile, poi lasciato interrotto (L’Occaso, 2011, p. 99).
Nel 1646 realizzò la mappatura dei confini tra Mantova e Reggio, assieme al perito reggiano Antonio Vasconi; operò in quegli anni anche come ingegnere idraulico – alla chiusa di Governolo e alla distribuzione delle acque nel Goitese (Pastore, 1984, p. 88) – e si dedicò all’erezione nel 1648 della chiesa di S. Antonio di Padova (scomparsa nel 1823, si trovava nei pressi del teatro Sociale). Nel 1649 realizzò un ulteriore importante apparato effimero, in occasione delle nozze del duca Carlo II Gonzaga-Nevers con Isabella Clara d’Austria (Azzi Visentini, 1985, p. 110).
Il 22 dicembre 1650 fu sottoscritto il contratto per la realizzazione del palazzo degli Studi, nel complesso gesuitico di Mantova; il lavoro fu realizzato da due capomastri, i fratelli Antonio e Francesco Prestinari, «nel modo e forma che sta notato nel disegno fatto dal signor Nicolò Subrogondi» (L’Occaso, 2008, p. 9).
Nel 1651 è documentato un passaggio per Padova, ove «l’architetto Subrogadi di Mantova» fu chiamato a esaminare il progetto di ristrutturazione del coro del Santo, da voltare nuovamente (p. 8).
Ancora nel 1651 Sebregondi illustrava al marchese Francesco Rolando dalla Valle i progetti per la “fabrica del Tè” di Mantova, per Carlo II, che includevano un padiglione a pianta quadrangolare e un ninfeo annesso all’esedra posta a quinta scenica del giardino; quest’ultima, realizzata, è tuttavia attribuita a Sebregondi, in mancanza di testimonianze archivistiche ad hoc (nei documenti non è esplicitamente riferita a suoi progetti), per confronto con la soluzione adottata nel perduto “cortile grande” della Favorita, del quale conosciamo la planimetria (Belluzzi, 1998); forse a Sebregondi sono anche riferibili le fruttiere di palazzo Te (pp. 61 s.).
Nel 1647 l’artista dettò il suo testamento (Pastore, 1984, p. 89).
Morì tra la fine del 1651 e il 29 marzo del 1652, quando già si fa menzione dei suoi eredi (Archivio di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, Mandati, b. 53, vol. 105, c. 51v); del 1652 è anche l’inventario dei beni (cfr. Pastore, 1984, p. 96 nota 46), nel quale figurano un quadro «con l’effigie del quondam signor deffonto sopra la tela» e un «disegno di Pinarolo» (Pinerolo?), forse a testimoniare ulteriori rapporti di Sebregondi col Piemonte (Marani, 1971; L’Occaso, 2008, p. 26 nota 11). Fu sepolto in S. Francesco; della sua lapide, dispersa, ci rimane solo una trascrizione della fine del Settecento (p. 9).
Si è supposto che sia stato ritratto in un dipinto ora alla Pinacoteca Tosio Martinengo di Brescia (inv. 2387; L’Occaso, 2008, p. 26 nota 6). Tra i beni del fu Carlo II (1665) troviamo descritto «un sforziero senza chiave con dentro diversi disegni del signor Sebragondi» (Piccinelli, 2010 [2011], p. 233 n. A650), eppure la sua produzione grafica conta un numero estremamente ridotto di pezzi, tra cui un dettaglio per il “casino” di palazzo Te (Azzi Visentini, 1985, pp. 106 s.).
Fonti e Bibl.: G. Baglione, Le vite, Roma 1642, p. 365; Registri artistici necrologici di Mantova, a cura di C. d’Arco, Bologna 1842, p. 29; E. Gerlini, Piazza Navona: catalogo, Roma 1943, pp. 100, 105, 107; E. Marani, Architettura, in Id. - C. Perina, Mantova. Le Arti, III, Mantova 1965, ad indicem; A. Ferrari, Fabbricati e giardini dei Gonzaga in Maderno, in Civiltà mantovana, IV (1970), pp. 276-280; E. Marani, Nuovi rapporti d’arte fra Mantova e Casale Monferrato, ibid., V (1971), pp. 391-394; G. Pastore, N. S. architetto della Favorita e di altre fabbriche mantovane, ibid., n.s., IV (1984), pp. 79-104; M. Azzi Visentini, N. S., in Il Seicento nell’arte e nella cultura con riferimenti a Mantova. Atti del Convegno… 1983, a cura dell’Accademia Nazionale Virgiliana, Cinisello Balsamo 1985, pp. 103-111; P. Fidler, Loggia mit Aussicht. Prolegomena zu einer Typologie, in Wiener Jahrbuch für Kunstgeschichte, XL (1987), pp. 83-101 (in partic. pp. 84-89); C. Gröbner - P.L. Tucci, Santa Maria del Pianto, Roma 1993, pp. 31-33, 40-51, 85, 101; A. Belluzzi, S., N., in Dictionary of Art, a cura di J. Turner, XXVIII, New York 1996, pp. 336 s.; M. Líčeníková, Úloha N. Sebregondiho ve službách vévody Albrechta z Valdštejna, in Valdštejnská loggie a komponovaná barokní krajina okolí Jičína [Atti del Convegno… 1997], Praga 1997, pp. 119-122; F. Nosari, N. S. urbanista, ibid., pp. 123 s.; S. Tamborrino, in Percorsi di architettura tra Cinquecento e Seicento: itinerari a Reggio Emilia e provincia, Reggio Emilia 1997, p. 141; A. Belluzzi, Palazzo Te a Mantova, Modena 1998, pp. 60-62; D. Ferrari, L’Eremo dei Camaldolesi e la palazzina secentesca nel Bosco della Fontana, in U. Bazzotti - D. Ferrari, La Palazzina e l’Eremo del Bosco della Fontana presso Mantova, Mantova 2001, pp. 76-79; La SS. Trinità dei Pellegrini di Roma. Artisti e committenti al tempo di Caravaggio, a cura di M. Pupillo, Roma 2001, pp. 16 e 25 nota 27; G. Carrai, I fiorentini al Castello: il progetto di Bernardo Buontalenti e Giovanni Gargiolli per la nuova galleria di Rodolfo II, in Umění, LI (2003), pp. 370-384 (in partic. p. 384); S. L’Occaso, Gli oratòri del Palazzo degli Studi e le sue decorazioni pittoriche, in Oratori e cappelle di palazzi mantovani, a cura di R. Golinelli Berto, Mantova 2008, pp. 8 s., 26; Id., S. Maria del Carmine, in Chiese carmelitane, a cura di R. Golinelli Berto, Mantova 2011, pp. 98 s.; R. Piccinelli, Collezionismo a corte. I Gonzaga Nevers e la «superbissima galeria» di Mantova (1637-1709), Firenze 2010 [2011], ad indicem; S. Tuzi, Inventario degli architetti e delle loro opere, in P. Portoghesi, Roma barocca, Roma 2011, p. 741; R. Berzaghi, Il “lapicida” Alessandro Nani tra Mantova e Ferrara. Scultura nell’età di Antonio Maria Viani, in Aldèbaran. Storia dell’arte, Verona 2012, p. 152; M. Caperna, La chiesa di S. Maria del Pianto e il suo prospetto laterale. Note da un cantiere interrotto del primo Seicento romano, in Materiali e strutture, n.s., II (2013), 4, pp. 51-74; M.B. Guerrieri Borsoi, Il sistema delle arti nel territorio delle ville tuscolane, Roma 2016, pp. 88 s.; M. Weiss, Die Gemälde der Schlosskapelle Dürnkrut. Marienkrönung, Altar und Embleme, Horn 2016, pp. 42 s.; M. Longatti, N. S. da Domaso, architetto del Duca di Mantova, in Altolariana, 2016 (2017), n. 6, pp. 67-74; Architektura Albrechta z Valdštejna, I e II, a cura di P. Uličný, Praha 2017, ad indicem; G. Carrai, N. S., ibid., II, 2017, pp. 1166-1199.