MATAFARI, Nicolò
– Nacque a Zara alla fine del XIII secolo dal nobile Guido, e fu avviato molto giovane alla carriera ecclesiastica, non è noto se presso i francescani o i domenicani.
Probabilmente iniziò gli studi giuridici a Bologna, forse tra il 1312 e il 1313, dove fu allievo del canonista Giovanni d’Andrea. Nel 1320 doveva già essere doctor decretorum, dignità che consentì a Ildebrandino, vescovo di Padova, di crearlo vicario generale della diocesi, sebbene avesse ricevuto i soli ordini minori. Dieci anni dopo è ricordato come «canonicus Varadiniensis» (Chevalier), indizio sicuro dei suoi stretti legami con la Corona ungherese.
Il 30 ott. 1331 il M. era a Venezia quale vicario di Angelo Dolfin, presule di Castello; sembra pertanto destituita di fondamento la notizia (Farlati, IV), secondo la quale il M. sarebbe stato a capo della diocesi di Nona dal 1330 al 1333.
Grazie al prestigio della sua dottrina, posta al servizio della causa guelfa e degli Angiò, e all’apprezzamento del cardinale Bertrand du Poujet, fu elevato, il 10 sett. 1333, al seggio arcivescovile di Zara. La nuova carica gli consentì di intensificare l’azione politica a vantaggio di Luigi d’Angiò e a favore dell’autonomia zaratina contro le pretese egemoniche di Venezia. Nel contempo non trascurò i propri doveri pastorali, come dimostra un concilio celebrato per dirimere la controversia sorta tra i canonici di Arbe e quelli di Zara in merito al pagamento di alcuni tributi straordinari. Quando nel 1344 Luigi, re d’Ungheria, rivendicò apertamente le proprie ragioni sulla Dalmazia, si aprì una crisi con Venezia che, nell’agosto dell’anno successivo, il M. con altri due dignitari cercò di risolvere mediante un’ambasceria presso la Serenissima. Il fallimento della missione, che non riuscì a impedire l’assedio da parte della flotta veneta, coincise con l’acuirsi dei sentimenti filoungheresi del Matafari. Il 21 dic. 1346, in seguito alla caduta di Zara in mano ai Veneziani, il M. si allontanò dalla sua diocesi. È da ritenere che, poco dopo il 1346 sino a tutto il 1350 e dal 1354 almeno fino al principio del 1356, il M., a parte un breve e non documentato soggiorno in Ungheria, o altre brevi assenze, non si sia allontanato da Padova, dove poteva contare sulla rete di rapporti intessuta nel corso dei suoi studi accademici. Come vicario del vescovo patavino il M. è difatti ricordato, poco prima dell’esilio, in un documento del 14 maggio 1345 (Gloria, II, 2, p. 24); cinque anni più tardi, il 15 febbr. 1350, assistette a Padova alla solenne traslazione delle spoglie di s. Antonio, cui presero parte anche il cardinal legato Guy de Montfort, il patriarca di Aquileia, Bertrando, e il vescovo di Verona, Giovanni.
Spettatore di eccezione della cerimonia fu F. Petrarca, che l’anno precedente aveva stretto relazioni amichevoli con il vescovo e con Giacomo (II) da Carrara. Non vi sono prove certe che il poeta conoscesse il M., sebbene una sua epistola (Familiari, II) in cui, rispondendo a un imprecisato amico, manifesta il rifiuto di scrivere, lui per primo, a un ignoto dalmata dimorante in Padova, sembri evocare il Matafari.
In seguito l’assassinio di Giacomo da Carrara, protettore del M., la morte del vescovo Ildebrandino (1352) e soprattutto quella del cardinale du Poujet, suo praecipuus dominus sin dal pontificato di Giovanni XXII, indebolirono la posizione del Matafari. A du Poujet e non a Bernardo cardinale di S. Susanna (Pietro di Bertrando), come si è congetturato (Bianchi, 1881, p. 10), fu dedicato il Thesaurus pontificum (o pontificalis), l’unica opera nota del Matafari.
Composta tra il 1346 e il 1351, probabilmente dietro esortazione di Ildebrandino, il Thesaurus metteva a disposizione degli ecclesiastici un manuale per guidarli nel ministero liturgico.
L’opera si articola in cinque parti, delle quali l’autore dà conto tanto nel Prologus quanto in una sua appendice, investono l’intero settore della disciplina, sia pure talvolta percorso solamente con rapidi cenni. Nella prima parte, suddivisa in quattordici capitoli, si tratta della collazione degli ordini ecclesiastici e delle dignità; i ventinove capitoli della seconda riguardano la consacrazione delle chiese, degli altari, dei cimiteri e degli apparati; negli otto capitoli della terza parte sono distribuite le regole concernenti la canonizzazione dei santi, le festività, le nozze, i digiuni; la quarta parte, con i suoi dodici capitoli, si occupa della celebrazione dei concili, degli uffici divini, dell’ordine diurno e notturno. Chiudono l’opera i diciassette capitoli dell’ultima parte dedicati all’administratio sacramentorum.
Seguendo le orme di Giovanni d’Andrea il M. indulge nell’uso dell’argumentum ab auctoritate, mettendo a frutto citazioni bibliche e frequenti allegazioni d’autori sia ecclesiastici sia profani, fra i quali spiccano i nomi di Gregorio, Agostino, Ambrogio e Girolamo. Delle numerose raccolte che precedono il Decretum di Graziano il M. ricorda soltanto il Decreto di Burcardo di Worms, mentre è soprattutto l’opera grazianea a essere oggetto di un accurato spoglio. Seguono, per frequenza e importanza, le citazioni dalle Decretali di Gregorio IX. Anche il Sextus e le Clementinae sono utilizzati e di essi, come delle altre compilazioni, sono noti tanto la glossa ordinaria quanto le summae e gli apparatus. Di Guglielmo Durante egli ricorda, oltre al Rationale, precipua fonte del suo Thesaurus, lo Speculum iudiciale. Altra fonte di rilievo è il Pontificale romano. Non mancano inoltre argomenti dal Corpus iuris civilis.
Edito in una rara edizione dell’inizio del XVI secolo (Tractatus sacrorum conciliorum tam generalium quam provincialium et episcopalium… Item thesaurus pontificalis seu manuale personarum ecclesiasticarum…, Parisiis s.d. [ma 1521-22 circa], per Durandum Gerlier) il Thesaurus è stato oggetto di edizioni parziali da parte di C.F. Bianchi e R. Elze.
Durante l’assenza del M. dalla diocesi, Venezia intensificò la pressione sugli ostaggi dalmati per inibire la sua azione. A tal fine impose al conte di Zara di esercitare la propria influenza sui propinqui del M. e in special modo su Demetrio, fratello del M., che nel 1348 divenne vescovo di Pédena. Non riuscendo a intimorirne la famiglia, la Repubblica si rivolse al papa per ottenere il trasferimento del M. ad aliam dignitatem e la sua sostituzione con un ecclesiastico favorevole alla propria causa. Poiché Clemente VI rimase sordo a tale richiesta, in assenza del M. la Chiesa cui era preposto fu retta da vicari: fra questi nel 1351 fu proprio Demetrio, che risulta esercitare la delicata funzione nell’arcidiocesi anche nel dicembre del 1357 (Smiciklas, p. 440), a dimostrazione della mai venuta meno influenza del M. sulla sua città natale.
Non si hanno per gli anni successivi molte notizie sul M., il quale dovette continuare a risiedere a Padova. Non lascia adito a dubbio infatti il suo inserimento in una tarda e rimaneggiata matricola doctorum utriusque iuris ricordata da Gloria (II, 1). In tale documento il nome del M. segue quello di Argentino (Arsendino Arsendi), figlio del celebre Raniero Arsendi, il quale di certo insegnò, oltre che a Bologna, nello Studio patavino tra il 1351 e il 1386. Nel marzo del 1355 il M. presenziava, insieme con Raniero e Arsendino, alla concessione della licenza in diritto civile ad Antonio Ardizzoni di Alessandria (ibid., II, 2, p. 38). Il 12 apr. 1355 il suo nome compare nel diploma di dottorato del medico Giovanni da Montegaldella con il titolo di vicarius generalis episcopi (ibid., p. 39).
La rinnovata influenza ungherese sulla Dalmazia consentì al M., nel 1358, di far ritorno nella propria arcidiocesi, dove morì nel 1367. I suoi resti furono inumati nella chiesa metropolitana di S. Anastasia. Nove anni più tardi suo nipote Pietro gli succedette nella guida della Chiesa zaratina.
Fonti e Bibl.: G. de Cortusiis, Chronica de novitatibus Padue et Lombardiae, a cura di B. Pagnin, in Rer. Ital. Script., 2a ed., XII, 5, p. 125; A. Barbosa, Collectanea doctorum in universum ius pontificium, I, Lugduni 1647, col. 68; F. Ughelli - N. Coleti, Italia sacra, I, Venetiis 1717, col. 71; B. de Montfaucon, Biblioteca bibliothecarum manuscriptorum nova, II, Parisiis 1739, pp. 960, 1516; B.M. De Rubeis, Monumenta Ecclesiae Aquileiensis, Argentinae [ma Venezia] 1740, col. 908; D. Farlati, Illyricum sacrum, IV, Venetiis 1769, p. 220; V, ibid. 1775, pp. 93 s.; Monumenti della Università di Padova (1222-1318), a cura di A. Gloria, I, Venezia 1884, pp. 340 s.; II, 1, Padova 1888, p. 70; II, 2, pp. 24, 38 s.; T. Smiciklas, Codex diplomaticus Regni Croatiae, Dalmatiae et Slavoniae, Zagrabiae 1913, XI, pp. 28, 440; F. Petrarca, Le familiari, a cura di V. Rossi, Firenze 1934-37, II, pp. 244 s.; III, pp. 166-174; S. Gliubich, Diz. biografico degli uomini illustri della Dalmazia, Vienna 1856, pp. 202-205; C.F. Bianchi, Zara cristiana, I, Zara 1877, pp. 47 s.; Id., N. de M., arcivescovo di Zara ed i suoi scritti, Zara 1881; U. Chevalier, Répertoire des sources…, II, Paris 1905, col. 3123; H. Hurter, Nomenclator litterarius theologiae catholicae, Oeniponte 1906, pp. 662 s.; A. Tamaro, La Vénétie julienne et la Dalmatie, II, Rome 1919, pp. 334, 359, 367; G. Praga, Baiamonte Tiepolo dopo la congiura, in Atti e mem. della Soc. dalmata di storia patria, I (1926), pp. 75 s.; U. Inchiostri, Di N. M. e del suo «Thesaurus pontificum» in relazione con la cultura giuridica in Zara nel secolo XIV, Roma 1929, pp. 27, 31, 41, 48; R. Elze, Der «Thesaurus pontificum» des Erzbischofs Nicolaus von Zara, in Revue des sciences religieuses, 1956, pp. 156-160; N. Klaic - I. Petricioli, Zadar u srednjem vijeku (Zara nel Medioevo), Zadar 1976, p. 338; F. Semi, Istria e Dalmazia, II, F. Semi - V. Tacconi, Dalmazia: le figure più rappresentative, Udine 1992, p. 677; Hierarchia catholica Medii Aevi, I, p. 281; Repertorium fontium historiae Medii Aevi, VII, p. 507.