MALERBI (Malermi, Manermi), Nicolò
Nacque verosimilmente poco dopo il 1420; nulla sappiamo sulle sue origini e sul periodo della formazione e della maturità. Probabilmente "Venetus" (veneziano o veronese), figlio di un Filippo, fu professo nel monastero camaldolese di Classe. Di formazione latamente umanistica, forse era già sacerdote (o membro di altro ordine) al momento del suo ingresso in monastero, ormai avanti negli anni, intorno al 1470. Notizie certe su di lui iniziano solo quando appare quale ospite del monastero di S. Mattia a Murano, nel 1471.
Con la data 1( ag. 1471 usciva a Venezia presso Vindelino da Spira l'editio princeps della Bibbia in volgare, tradotta dal M. e condotta sulla vulgata latina (Indice generale degli incunaboli [IGI], 1697). Il M. usò in parte i volgarizzamenti biblici trecenteschi, ma l'opera, realizzata nel corso di otto mesi (come egli stesso dichiara) appare di eccezionale rilevanza. Nell'impresa gli furono compagni il francescano Lorenzo da Venezia (che diede poi vita alla tipografia "Nel beretin convento"), col compito di revisore teologico, e Gerolamo Squarzafico, umanista di Alessandria, impegnato in quegli anni come redattore editoriale per diversi tipografi. Nella princeps trova posto una lettera del M. a fra Lorenzo, nella quale esplicita ragioni e metodo del suo lavoro, che costituisce, per quegli anni, una delle riflessioni più acute circa le traduzioni di argomento religioso.
Dopo aver chiarito l'importanza della Bibbia all'interno del progetto salvifico divino, spiega di aver "da parola a parola [(] vulgarizato", così da offrire il testo a "tutti universalmente, senza alcuna differentia de maschio o de femina o de eta". La difficoltà di tale impresa è insita nel fatto che "malagevolmente si può a tal modo exponere nel vulgar et lingua materna: come sona la propria littera: essendovi molte cose in latino che senza supplimento se possi claramente darle a intendere"; tanto che le precedenti e parziali traduzioni risultano inutilizzabili in quanto "mancano di testo, et evi etiam aiuncto cum queste cose che del vero et original et litteral volume non si contiene". Nel libro dei Salmi è anche introdotto un brevissimo commento teologico, basato sull'opera trecentesca Commentaria in Psalmos Davidicos del carmelitano Michele Aiguani da Bologna.
Con la data 1( ott. 1471 fu pubblicata sempre a Venezia (IGI, 1698) per la prima e unica volta un'anonima traduzione biblica, più direttamente esemplata sulla tradizione trecentesca (in realtà copia in parte proprio la versione del M.): l'edizione è oggi attribuita ad Adam de Ammergau (ma un tempo a Nicolas Jenson). L'opera del M. ebbe invece numerosissime ristampe (per quelle quattrocentesche v. IGI, 1699-1707) almeno fino al 1567 (Venezia, Girolamo Scoto), quando ricadde nelle proibizioni ecclesiastiche. Il testo presentato subì progressive ma limitate revisioni, fino all'inclusione di testi proemiali di ascendenza riformata. L'edizione veneziana degli eredi di Niccolò Pezzana (1773), curata dal giansenista Alvise Guerra, che dichiara nel frontespizio di pubblicare la versione malerbiana "ridotta allo stile moderno e arricchita di note", è in realtà altra cosa.
Fu invece Jenson a dare alle stampe nel 1475 l'altra fatica del M., il volgarizzamento della Legenda aurea di Jacopo da Varazze, arricchito però di numerose aggiunte (IGI, 5037). L'opera deve essere stata frutto di un lavoro di équipe (tra i collaboratori un Gerolamo da Firenze) perché vi si rinvengono persino più versioni della medesima Legenda pubblicate in punti diversi. Anche qui il M. inserisce un prologo, rivolto questa volta "a tutte le devote et catholice christiane persone", cioè le "molte sì religiose come etiam laice persone" intenzionate a "portarse a la virtù et a la preclara lectione de le sacre littere". Il punto focale è la contrapposizione tra "li veri et philosophici amaestramenti" (nel senso della philosophia Christi) e "le sophistice arte d'argumenti". Il M. si scaglia contro le "vane, busiarde et lascive fabule poetice", delle quali egli doveva comunque possedere solida esperienza se, nell'epistola a fra Lorenzo, le aveva definite "l'altre doctrine ne le qual noi, longo tempo rivolti, non a virtù ma largamente alla arguta malicia, essendo ioveni, ce disgrossavamo".
La comunità monastica di S. Mattia fu certo coinvolta nella produzione di entrambi i volgarizzamenti. Scavi recenti forniscono nuovi dati sull'ambiente del monastero nel medio Quattrocento. S. Mattia, pur mantenendo un sistema di vita eremitica, era ben inserito nel mondo del patriziato e, più in generale, del laicato veneziano: si è in questo senso parlato di un "eremitismo urbano" (Caby). Stupiscono poi le notizie reperite circa la locale produzione libraria. Se certo si tratta di un'esperienza "minore", paragonata a quella dell'altro grande centro di cultura camaldolese della laguna, S. Michele, essa ha però caratteristiche sue proprie. Oltre, in generale, a un costante interesse per la dotazione libraria, vi si distingue una spiccata e sorprendente attenzione per il libro religioso volgare. Nonostante che la biblioteca (ma persino la chiesa e la fabbrica del monastero) sia stata annichilita con le soppressioni del 1810, i pochi ma preziosi frammenti recuperati illustrano tale produzione di manoscritti in volgare, a favore di monache e laici.
Si possono incontrare il priore Nicolò da Tolmezzo, che compila indici per un De civitate Dei, o il monaco Dionigi Teutonico, fecondo copista di testi religiosi volgari, o un Mauro d'Antonio, amanuense di una Vita di Giovanni Colombini; sul versante latino si ricorderà il prolifico Gerolamo da Praga. Sopra a tutti spicca però la figura di Mauro Lapi, di origini toscane giunto a S. Mattia dopo una travagliata esperienza a Camaldoli, connessa con gli inizi del generalato di Ambrogio Traversari. Il Lapi fu volgarizzatore dello pseudobonaventuriano Stimulus amoris e del De humilitate del patriarca Lorenzo Giustinian e si mostra cosciente dell'apporto linguistico che il suo idioma toscano poteva portare nella Venezia del tempo. Se sono certi i rapporti fra Lapi e il M., si dovrà immaginare che proprio l'esperienza maturata dal primo fosse il terreno sul quale fiorì il tentativo del M., che adombra forse un più vasto progetto di riversamento in volgare della cultura religiosa facendo proprio il nuovo medium tipografico. Ciò di fatto avvenne, ma ormai lontano dalle celle di S. Mattia.
Del M. poco altro è noto. Svolse alcuni incarichi, sia pur minori, all'interno dell'Ordine: fu priore, poi abate (non sempre residente) del monastero di S. Michele di Leme in Istria; scrisse (come risulta dall'epistolario dolfiniano) relazioni, perdute, per conto di Pietro Dolfin e, impegnato in un'opera di riforma dell'Ordine, risiedette a Classe tra il 1479 e il 1480; insegnò latino ai monaci; fu procuratore del monastero femminile dei Ss. Cristina e Parisio di Treviso.
Ancora in vita il 22 ag. 1481, quando fu presente alla visita del Dolfin (divenuto nel frattempo generale) a S. Michele, morì probabilmente prima dell'estate 1482, quando fu nominato un nuovo abate per il monastero di Leme.
Del M. esiste un presunto ritratto, rappresentato da una silografia inserita nell'edizione veneziana del 1490 della Bibbia di L. Giunti (IGI, 1704); si tratta però di una raffigurazione convenzionale, tanto da avere poi una sua propria fortuna anche in altri contesti; si noterà piuttosto la costruzione di un parallelo iconografico tale da presentare il M. come un nuovo s. Gerolamo traduttore della Bibbia.
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