GIUSTINIAN, Nicolò
Nacque a Venezia probabilmente nel 1472 (fu provato all'avogaria di Comun nel 1490 al compimento dei diciotto anni) da Bernardo di Nicolò, del ramo della Ca' granda nella parrocchia di S. Pantaleone, e da Suordamor Giustinian di Pancrazio.
La famiglia alternava una solida attività mercantile con il servizio dello Stato: il nonno del G., Nicolò, sposato a Elisabetta Pizzamano di Fantin, esercitò la mercatura, ricoprendo cariche pubbliche di un certo rilievo (podestà a Cividale e a Ravenna, capo del Consiglio dei dieci, consigliere ducale). Lo stesso fece il padre, podestà e capitano a Crema nel 1483, savio di Terraferma nel 1488, vicedomino a Ferrara nel 1498. Nel 1500, capitano a Candia, armò a sue spese tre galee da impiegare contro i Turchi.
Il G. - che non va confuso con il figlio di Marco di Bernardo, anch'egli mercante e bailo a Costantinopoli nel 1513, morto nel 1519 - esercitò la mercatura con il fratello Pancrazio, dimorando per qualche tempo in Inghilterra e ricoprendo nel corso del primo decennio del XVI secolo la carica di console. Entrò quindi nella carriera politica, di cui si sa poco fino al dicembre 1514, allorché concorse, senza successo, alla carica di ambasciatore in Inghilterra. Il 17 marzo 1517 fu nominato dal Consiglio dei dieci provveditore sopra il Fisco. Tra il 1519 e il 1521 concorse a savio alla Mercanzia, a sindaco in Levante e a bailo a Costantinopoli. Nell'ottobre 1521 sfiorò l'elezione a provveditore a Zante, che aveva assai ricercato perché doveva provvedere a ben dieci figli. Il 6 luglio 1522 fu eletto bailo e capitano a Napoli di Romania, dove restò fino al luglio 1525.
La relazione composta in quest'occasione offre il consueto quadro a tinte fosche degli avamposti veneziani in Levante: "terra malissimo guardata", soldati "malissimo pagati", fortezze che hanno necessità di "concieri", "artellarie" scarse. La "terra", poi, ha "pochissimo territorio", perché la parte migliore è dei turchi: da ciò la penuria di cereali, che bisogna giocoforza acquistare da loro e i rapporti sono spesso guastati dal contrabbando e dal banditismo; non privi di tensione sono anche i contatti con i notabili e il clero locali. Consueti anche i rimedi suggeriti: rivedere l'imposizione fiscale e rendere più efficiente l'apparato difensivo.
Il G. era nel frattempo entrato nel novero delle personalità di maggior credito, come attestano le numerose candidature susseguitesi in questi anni: nel 1526 fu ballottato per provveditore alle Acque, per savio di Terraferma, per la giunta del Senato e per incarichi straordinari, come i "cinque sopra le Cose de frati di Corizuola" i "cinque sopra le Acque del Mestrin et Trevixan" e i "tre sopra i Hospedali". Nel gennaio 1527 fu eletto magistrato sopra le Acque e fu tra i candidati a savio di Terraferma, a sindaco e provveditore a Cipro e al Senato, nonché a oratore a Costantinopoli. Nell'ottobre 1528 concorse a provveditore sopra i boschi "di Trevisana e Friul", provveditore generale a Brescia, bailo a Costantinopoli, savio di Terraferma, censore e provveditore a Treviso e a Ravenna. Nel 1529 fallì l'elezione ad avogadore straordinario, ma il 16 giugno il Consiglio dei dieci lo nominò dei Dieci provveditori "a far condur le biave in la terra e in questa città" e successivamente, in concomitanza con un'emergenza alimentare, lo elesse commissario all'approvvigionamento nel Bresciano.
Il generale apprezzamento ottenuto spinse il G. a proporsi per l'elezione a provveditore generale a Verona, a Brescia e a Ravenna, e successivamente per le cariche di sindaco a Cipro, avogadore straordinario e, nel 1531, di bailo a Costantinopoli. Nell'agosto dello stesso anno fu eletto provveditore alle Biave, incarico che sostenne affrontando per sedici mesi un pesante rincaro dei cereali, fenomeni di aggiotaggio e un aumento dei prezzi di tutti i principali generi alimentari. Il prestigio che gliene venne gli spianò la via per l'elezione, il 22 dic. 1532, a bailo a Costantinopoli. Il 5 apr. 1533 ricevette la commissione: al primo punto la volontà di Venezia di "perpetuar" la pace con la Porta e con essa ottenere un buon trattamento dei suoi mercanti, libero movimento in Mar Rosso, la risoluzione dei contenziosi e l'assicurazione dei rifornimenti di salnitro e di cereali. Il 26 aprile il G. partì, accompagnato da due figli e dall'oratore e vicebailo Pietro Zen, giungendo a destinazione, dopo un difficile viaggio, solo il 16 luglio. Lo aspettavano anni altrettanto difficili, in un crescendo di tensione tra il sultano e la Serenissima. A Venezia, lo scontro tra fautori di una lega con papa e Impero contro i Turchi e i "pacifisti", tra i quali il doge Andrea Gritti, si rifletté sulla missione del G., che fu accusato dagli ambienti ostili al doge di inefficienza, intempestività e lentezza nell'informare la Signoria sui movimenti militari ottomani, fuga di notizie riservate e arrendevolezza verso le pretese turche. Il nunzio pontificio G. Aleandro - che riferisce queste critiche - riporta voci di un G. influenzato e subornato dal Gritti perché "povero et pieno di figlie". Il G. mise più volte in guardia la Signoria sulle mosse dei Turchi e del Barbarossa, nonché sui maneggi della Francia contro Venezia e a favore del sultano. La guerra veneto-turca del 1537-40 sorprese il G., che si accingeva a rientrare in patria, l'oratore straordinario Tommaso Mocenigo e il bailo entrante Giacomo Canal, che restarono prigionieri a Costantinopoli fino alla pace, conclusa nell'ottobre 1540.
Il 12 febbr. 1543 il G. fu nominato capitano a Famagosta, ove restò fino al 18 apr. 1545, quando passò le consegne ad Andrea Dandolo, la cui relazione finale, mancando quella del G., mette bene in luce l'isolamento del luogo e le difficoltà del suo governo. Rimpatriato, il G. ricoprì cariche domestiche anche di rilievo.
Morì nella casa di S. Barnaba il 1° genn. 1551, dopo otto giorni di malattia.
Aveva sposato nel 1497 Andriana di Alvise Molin, che gli diede sei maschi e cinque femmine. Nel testamento, redatto nel 1546, impose uno speciale vincolo di successione sull'amata dimora in Canal Grande pervenuta al padre per successione dal cugino Francesco di Piero. Lasciò eredi di una fortuna non lauta i due figli superstiti, entrambi mercanti e imprenditori, Bernardo, rimasto celibe, e Marcantonio, continuatore della famiglia, umanista e rinomato libraio.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Misc. codd., I, Storia ven., 23: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de' patrizi veneti, p. 464; Avogaria di Comun, regg. 107, 164-165; Notarile, Testamenti, bb. 1227, n. 69; 1214, n. 977; 1206, n. 104; 1217, VII, 53, c. 53; Dieci savi alle decime, b. 103, n. 849; Provveditori alla Sanità, Necrologi dei nobili, b. 159; Segretario alle voci, Misti, regg. 8, c. 96; 10, c. 9; 11, c. 13; Ibid., Elezioni in Maggior Consiglio, regg. 1, cc. 172-173; 2, c. 189v; Capi del Consiglio dei dieci, Giuramenti dei rettori, reg. 2, c. 175; Ibid., Lettere di ambasciatori, Costantinopoli, b. 1; Senato, Secreta, Deliberazioni, regg. 42, cc. 55v, 57-60; 55, cc. 71-73; Documenti turchi, b. 2 (settembre 1533); Misc. codd., I, 74; Collegio, Relazioni, b. 61, cc. 32-35; M. Sanuto, Diarii, XXVIII-XXX, XXXII-XXXIV, LIV-LVIII, Venezia 1890-1903, ad indices; Nunziature a Venezia, a cura di F. Gaeta, I-II, Roma 1958-60, ad indices.