GAMBARELLI, Nicolò
, Nicolò. - Figlio di Sebastiano, nacque a Piacenza nel quarto decennio del sec. XV da famiglia di floride condizioni economiche, fautrice della signoria di Francesco Sforza.
Il padre, che era affittuario di enti ecclesiastici, deteneva in appalto la gabella del sale. Un fratello, Gabriele, era membro del Collegio dei giudici e ricopri uffici dell'amministrazione ducale in Savona. Del G. sono note le relazioni di parentela, di consuetudine, di interesse economico e politico, con eminenti famiglie di Piacenza, quali gli Arcelli, gli Scolli e gli Anguissola.
Non ci sono note le vicende dei suoi anni giovanili: presumibilmente, come molti cancellieri, coltivò gli studi umanistici. Non conosciamo i motivi che lo indussero, intorno al 1458-59, a recarsi a Milano, dove molto probabilmente grazie alle relazioni della sua famiglia con le élites allora al potere, entrò a far parte della burocrazia sforzesca. A partire dal 1460, infatti, è attestata la sua attività all'interno della Cancelleria segreta del duca Francesco I, alle dipendenze e sotto la guida dei segretari ducali Cieco e Giovanni Simonetta. Nel 1462 fu nominato cancelliere ducale. Stabilitosi a Milano, presso la corte sforzesca, non interruppe i suoi rapporti con la città natale.
I compiti che il G. svolse nella Cancelleria ducale negli ultimi anni di Francesco I e nei primi di Galeazzo Maria furono eterogenei. Si occupò anche delle spese di corte: una sua quietanza del 1464 dà conto delle somme impiegate per far copiare e miniare alcuni codici, per pagare l'opera di un pittore e per altre spese fatte per conto dello stesso duca. Nel febbraio del 1470 Giovanni Simonetta, lodandone l'integrità e le qualità personali, gli affidò la tesoreria della Cancelleria della corte dell'Arengo. Nel 1471 il duca Galeazzo Maria Sforza, considerando che da oltre 12 anni il G. viveva nella capitale, gli fece concedere la cittadinanza milanese.
È verosimile che il G. (come il suo conterraneo Antonio Anguissola, tesoriere ducale, che ottenne contemporaneamente lo stesso privilegio) facesse parte di quella sorta di colonia di notabili piacentini allora attivi negli organismi delle tesorerie e delle cancellerie del Ducato. Facendo questa scelta essi, sul finire degli anni Cinquanta, non solo si erano apertamente e decisamente schierati per Francesco Sforza, ma lo avevano seguito a Milano per servirlo negli uffici di corte e nelle alte magistrature del dominio ducale.
Nell'esercizio delle sue funzioni il G. si occupò di varie materie amministrative, di affari interni ed esteri, di questioni ecclesiastiche, militari, giurisdizionali. In quanto cancelliere ducale, egli ricopriva - come altri suoi colleghi - una posizione ragguardevole nella gerarchia delle dignità di corte e aveva un'influenza tale in diversi rami della amministrazione da consentirgli di sostenere e di promuovere gli interessi della sua famiglia, dei suoi amici e dei suoi concittadini. È possibile rintracciare nei registri sforzeschi un cospicuo numero di documenti da lui siglati («Gambarellus» o «Nicolaus de Placentia») relativi a personalità e a enti di Piacenza: si tratta di commendatizie per amici, parenti e concittadini; oppure missive del duca in favore dei familiari del G. coinvolti in una lunga causa.
I legami del G. con la sua città sono uno degli aspetti più interessanti della sua biografia: la scelta dei cancellieri mirava anche a creare attorno al duca una rappresentanza qualificata che comprendesse esponenti di spicco, nobili e cittadini, di tutte le città del Ducato, allo scopo di alimentare e promuovere nuclei di consenso nei confronti della dinastia degli Sforza.
Nel 1468 il G. ottenne l'intervento di Galeazzo Maria per avere in affitto alcuni possedimenti del monastero piacentino di Chiaravalle; le pressioni del duca, che miravano a porre quel cenobio sotto un controllo più stretto, si scontrarono con la vivace opposizione di alcuni membri del capitolo del monastero e di alcuni cittadini piacentini. Nel 1475, invece, il G. riuscì a ottenere dalla mensa arcivescovile di Milano, parte in affitto e parte a livello a Groppello d'Adda - terreni boschivi e isole nell'Adda -, dalle quali si traeva legname. Per i suoi diritti su di essi il G. dovette affrontare negli anni successivi parecchie cause, intentategli dagli enti ecclesiastici proprietari e dalla Curia romana. In alcune di queste vertenze ebbe l'appoggio del duca di Milano.
La carriera del G. fu lunga, regolare e, a quanto se ne sa, non conobbe discontinuità o interruzioni. Nel 1480 operava sempre nella Cancelleria segreta, occupandosi, in particolare degli affari riguardanti le regioni dell'Oltrepò, e della corrispondenza con Mantova, con Ferrara e con Bologna.
Intorno al 1483 suo cognato, il medico Gerolamo Crespi, gli dedicò il Consilium praeservationis a peste (Milano, Giovanni Antonio da Onate) un trattato sulle precauzioni da prendere per evitare il contagio. Nella dedica il Crespi ricordava i pericoli che il G. aveva da poco affrontato quando aveva seguito gli accampamenti sforzeschi, riferendosi probabilmente alla partecipazione del G., come cancelliere, alle operazioni della guerra di Ferrara. Nella stessa dedica il G. è detto feudatario delle terre bergamasche di Capriate e di San Gervaso, sulla riva sinistra dell' Adda: è l'unica menzione di questa investitura.
Nel 1489 il G. vantava una delle più lunghe carriere tra i segretari ducali e aveva cumulato una particolare esperienza maturata come amministratore, diplomatico e politico. In una missiva da Milano indirizzata a Pietro Menzi, uditore della Camera apostolica, il nunzio apostolico Jacopo Gherardi lo raccomandava come uno dei più autorevoli membri della Cancelleria ducale, degno di ogni considerazione perché in passato si era adoperato validamente in favore della Curia romana in una certa questione finanziaria.
Questa lettera è un'ulteriore testimonianza delle relazioni che il G. continuava a mantenere con la città natale e con il suo ceto dirigente. In essa, infatti, il Gherardi tratta di una causa (fortemente contrastata dal vescovo di Piacenza, Fabrizio Marliani) che il conte Leonardo Arcelli, un parente del G., stava allora seguendo presso la Sacra Rota.
Nel 1489 il G. fece testamento presso il notaio Paolo Balsami. Nel 1491, a coronamento della sua lunga carriera, fu nominato segretario ducale presso il Consiglio di giustizia.
Mori il 29 sett. 1491, a Milano, pochi giorni dopo la nascita del suo ultimo figlio. Fu sepolto in S. Francesco Grande, in un'arca marmorea sulla quale fu apposta un'iscrizione che ne ricordava le origini e la carriera.
Aveva sposato nel 1475, col consenso di Galeazzo Maria, Clara di Piero Crespi, di famiglia milanese, che gli dette nove figli. Il duca Gian Galeazzo Maria dopo la morte del G. concesse a Clara una pensione per allevare i figli e per assicurare le doti alle figlie nubili. In seguito, esaudendo una richiesta della vedova, nominò il primogenito Pietro Antonio coadiutore nella Cancelleria ducale.
Fonti e Bibl.: Arch. di Staro di Milano, Sforzesco, Registri ducali, 196, p. 233; Ibid., Registri missive, 65, cc. 325-328; lbid., Missive, 81, c. 185v; 83, cc. 224, 237», 311, 328v; 84, c. 23v; 120, c. 143; Diplomatico, Autografi, Letterati, 130; Ibid., Famiglie, 77; Notarile, Notaio Paolo Balsami, 4418, n. 1832; A. Ivani, Commentariolus de bello Volaterrano, in L.A. Muratori, Rer. Ital. Script., XXIII, Mediolani 1733, coll. 5 s.; Id., Historia de Volaterrana calamitate, a cura di F.L Mannucci, in Rer. Ital. Script., 2 ed., XXIII, 4, pp. XXV, 4 n., 5 n.; V. Forcella, Iscrizioni delle chiese di Milano, III, Milano 1890, p. 103; Dispacci e lettere di G. Ghetardi, a cura di E. Carusi, Roma 1909, p. 384; Gli uffici del dominio sforzesco, a cura di C. Santoro, Milano 1948, p. 45; I registri delle lettere ducali del periodo sforzesco, a cura di C. Santoro, Milano 1961, p. 131; C. Simonetta, I diari, a cura di A.R. Natale, Milano 1961, p. 101; F. Argelati, Bibliotheca scriptorum Mediolanensium, Mediolani 1745, p. 667; L Ambiveri, N. G. segretario del duca di Milano, e le maschere del secolo XV, in Strenna piacentina, XVII (1891), pp. 107-112; P.O. Kristeller, Iter Italicum, I, p. 247; II, pp. s.