FRANCO, Nicolò
Nacque a Este, intorno al 1425. Laureatosi in utroque iure presso lo Studio padovano, si recò a Roma, dove fu notaio della Sede apostolica (così è definito in un documento pontificio del 1475). Canonico del capitolo di Este (a partire almeno dal 1450) e poi di quello di Treviso, fu quindi arciprete della cattedrale di Padova dall'ottobre 1476 al febbraio 1480, quando rinunciò in favore di Taddeo Querini, ricevendo in cambio la chiesa di S. Fidenzio di Polverara.
Suo primo rilevante incarico fu la legazione di Spagna. Il 1º ag. 1475 il papa Sisto IV conferiva al F., canonico di Treviso, "in Castelle et Legionis regni nuntio et oratori cum potestate legati de latere", piena autorità per reprimere gli abusi in materia di collazioni beneficiarie, per ristabilire la disciplina del clero e per rinforzare l'azione dell'Inquisizione contro ebrei e giudaizzanti. Il F. doveva poi sostenere il progetto di una nuova crociata e favorire la risoluzione dell'interminabile causa relativa alla successione al trono di Castiglia.
In Spagna il F. si fermò dall'ottobre 1475 fino al dicembre 1478, per quanto nell'ottobre del 1476 il papa l'avesse nominato vescovo di Parenzo. Sisto IV gli concesse motu proprio, in occasione della nomina vescovile, di conservare tutti i benefici ecclesiastici di cui godeva in precedenza. Il rapporto del F. con il papa dovette però guastarsi, perché nel marzo 1483 il suo nome risulta tra quegli ecclesiastici e consultori chiamati dalla Repubblica veneta a confermare - e con ciò legittimare - la decisione della Serenissima di appellarsi a un concilio generale in risposta all'interdetto scagliato dal papa contro Venezia, a causa della perdurante occupazione del Ferrarese da parte dell'esercito veneziano, sebbene il conflitto tra la coalizione guidata dal papa (di cui anche Venezia era parte) e il duca Ercole d'Este avesse oramai avuto termine con l'impegno della reciproca restituzione delle terre conquistate.
Morto papa Sisto, ed eletto nell'agosto 1484 il suo successore, Innocenzo VIII, il F. tornò quasi certamente in Curia. Nel dicembre 1484 ottenne la commenda dell'abbazia di S. Andrea di Busco (o del Bosco) nel Cenedese e il 21 febbr. 1485 Innocenzo VIII lo trasferì alla guida della diocesi di Treviso. In una lettera del 1485, indirizzata ai Dieci di balia fiorentini, Guidantonio Vespucci presenta il F. quale maestro di casa del cardinale Giuliano Della Rovere.
Con lo spostamento del F. da Parenzo a Treviso il papa intendeva anzitutto avere un rappresentante stabile presso le autorità venete in una delicata congiuntura politica e la sua nomina a oratore pontificio con potestà di legato a latere è di qualche mese successiva alla provvista della sede trevigiana (il papa informò il doge della missione del F. con lettera del 22 nov. 1485). La durata dell'incarico - che si sarebbe concluso intorno alla metà del 1492 - e gli stessi compiti affidati al F., che venne tra l'altro nominato collettore delle decime ecclesiastiche nel Dominio veneto, possono portare a identificare in lui il primo nunzio pontificio ordinario presso la Repubblica veneta.
Le vicende che accompagnarono la traslazione del F. a Treviso e l'assunzione dell'incarico diplomatico sono complesse e meritano di essere rievocate con precisione. Se pure infatti non si rinviene alcun segnale di contestazione veneziana all'investitura diplomatica del F., il passaggio di questo da Parenzo a Treviso si rivelò assai difficile, per più di un motivo. Da un lato il pontefice vide a lungo vanificati gli sforzi per trovare un sostituto alla guida della scomoda, e povera, diocesi istriana. Dall'altro, neppure la successione alla guida del vescovato trevigiano si rivelò indolore. I nomi che vennero proposti per quella ricca sede furono più di trenta, ma il Senato veneziano (la Repubblica godeva del diritto di presentare una rosa di candidati per tutti i vescovati del suo Dominio, e tra questi il papa sceglieva chi avrebbe ottenuto il beneficio) intendeva destinare colà Bernardo di Guido de' Rossi, nobile sedicenne, e alla notizia della nomina del F. ribatté non riconoscendo all'eletto papale il possesso temporale della diocesi. Non solo: la Repubblica invitò comunque il de' Rossi a porsi alla guida del vescovato ed esercitò pressioni sul F. perché rinunciasse a sua volta ai propri diritti. La situazione era peraltro complicata dal caso apertosi intorno alla successione alla sede vescovile padovana. Venezia rifiutava infatti di riconoscere la nomina pontificia a quella diocesi del cardinale Giovanni Michiel. Frattanto, anche il vescovo di Belluno Pietro Barozzi, che desiderava essere traslato nella sede di Treviso, brigava a danno del F. (Venezia pretendeva invece per il Barozzi il vescovato padovano).
Il papa propose infine al de' Rossi, se avesse riposto le sue ambizioni su Treviso, una provvista di benefici per un valore pari alla rendita di quella diocesi e in più una pensione di 400 ducati sulla mensa episcopale di Parenzo. Di questa diocesi, fino al 1487, quando finalmente fu trovato l'ecclesiastico disposto all'impegno (Giovan Antonio de' Pavari, segretario della nunziatura veneziana), il F. mantenne in commenda l'amministrazione. Tra il gennaio e il febbraio 1487 ottenne infine il consenso veneziano al possesso temporale della nuova diocesi: contemporaneamente il de' Rossi diveniva vescovo di Belluno e il Barozzi subentrava nella diocesi padovana (in Arch. segr. Vaticano, C.A., Oblig. et Sol., 83, c. 135, è riportata la notizia della traslazione del F. dalla diocesi di Parenzo a quella di Padova alla data 14 marzo 1487: errore di trascrizione o momentaneo ripensamento del pontefice?).
Nel frattempo, impossibilitato alla azione pastorale in Treviso, perché vescovo non riconosciuto dallo Stato, il F. si dedicò al suo delicato incarico diplomatico (nel giugno 1486 il pontefice, motu proprio, gli confermava tutte le prerogative attribuitegli dal suo predecessore Sisto IV durante la legazione spagnola).
La congiura dei baroni contro il re di Napoli Ferdinando d'Aragona aveva nuovamente incrinato il fragile equilibrio italiano sancito dalla pace di Lodi. Innocenzo VIII si schierò dalla parte dei ribelli, mentre Lorenzo il Magnifico e Ludovico il Moro appoggiarono Ferdinando. Nel conflitto che seguì, la stessa Roma venne minacciata dalla coalizione guidata dal re di Napoli. Da qui l'invio a Venezia del F. per indurre i Veneziani a intervenire.
Gli sforzi del nunzio pontificio, a lungo vani, ebbero infine esito favorevole con il trattato di alleanza siglato tra il papa e la Repubblica veneta nel dicembre 1486 e "pubblicato" agli inizi del 1487. Ma l'instabile situazione politica e militare impegnò il F. anche negli anni successivi: il pontefice gli ordinò a più riprese di sondare la disponibilità della Repubblica veneta a rispettare l'alleanza raggiunta, ed egli ebbe anche il compito (1487-88), in intesa con Giacomo Gherardi, legato pontificio a Firenze e a Milano, di adoperarsi per la composizione di una lega antiaragonese che vedesse impegnati con il papa e Venezia anche Firenze e il Milanese. Non sembra peraltro che il F. adempisse all'incarico (lo sforzo diplomatico comunque non ebbe alcun esito) con troppo zelo, dato che il Gherardi si lamentò della sua lentezza nel rispondere alle missive inviategli. Nel marzo '89 Innocenzo VIII chiese al F. di accertare la disponibilità veneziana a proseguire nella linea politica intrapresa anche nel caso della deposizione di re Ferdinando da parte del pontefice (in Arch. segr. Vaticano, Arm. XXXIX, tt. 19, 20, 21, sono conservate le missive che da Roma furono inviate al F.; disperse sono invece le lettere di quest'ultimo). La sua attività diplomatica si sarebbe esaurita solo nel 1492, con la pace firmata tra il pontefice e Ferdinando: quella pace effimera che non avrebbe impedito poco dopo la discesa in Italia di Carlo VIII, chiudendo con ciò una significativa fase della storia politica italiana.
Nel periodo 1485-92, comunque, in qualità di nunzio, il F. si applicò a una assai vasta serie di questioni. Nei primi mesi del 1486, nominato dal pontefice collettore di una decima straordinaria imposta dal papa sui benefici veneti per sovvenire alle necessità finanziarie legate al conflitto in corso, pubblicò la decima senza l'autorizzazione delle autorità veneziane, e ciò provocò vibranti proteste. Nel 1487, invece, provvide a mediare la causa insorta in materia di confini tra la Serenissima e Sigismondo d'Asburgo duca del Tirolo (la composizione data al 13 novembre di quell'anno). Il F. non riuscì invece a ottenere dalle autorità veneziane l'impegno per una ripresa della lotta al Turco, impegno che Innocenzo VIII intendeva rinnovare per sfruttare la favorevole situazione determinata dalla presenza in Roma del principe Gem, fratello e nemico dichiarato del sultano Bayazid II (riuscì comunque a garantire in Venezia la cattura - e successiva consegna in Roma - di Macrino Castracane, che per conto del sultano turco avrebbe dovuto avvelenare il pontefice e il principe Gem). Ancora, il F. tentò di risolvere il dissidio secolare che opponeva la S. Sede e la Repubblica veneta nel mare Adriatico, che Venezia considerava proprio "golfo", limitando con ciò la libertà di navigazione di chiunque altro.
Innumerevoli furono i suoi interventi in cause beneficiali: collazioni pontificie contestate da Venezia e risoluzioni di contrasti tra i titolari di rendite ecclesiastiche, come testimoniato dalle citate fonti vaticane. I rapporti con le autorità venete in materia non dovettero rivelarsi agevoli: addirittura nel 1489-90 il papa assicurò al F. ogni appoggio per aiutarlo a resistere alla pretesa veneziana di imporre al nunzio la rinuncia al beneficio di S. Andrea di Busco in favore di Antonio Graziadei. Toni talvolta aspri su tali questioni assunsero pure i rapporti del F. con il vescovo di Padova, Barozzi, geloso delle proprie prerogative nell'amministrazione della sua Chiesa (in taluni periodi le collazioni beneficiali nel Padovano operate dal nunzio superarono di molto in quantità quelle del vescovo).
Nel gennaio 1487 il F. concesse un'indulgenza a favore delle monache di S. Zaccaria di Venezia, e provvedimento analogo assunse il 6 maggio 1488 per la chiesa di S. Vito di Burano. Nel marzo 1487 comunicò alle autorità venete la decisione del papa di confermare le indulgenze già godute dalla chiesa di S. Marco. Il 15 giugno 1490 ricevette dal pontefice la delega per visitare i monasteri femminili del Dominio veneto, con ampia facoltà di compiere tutti gli interventi necessari a favorire il loro buon ordine. Nel giugno 1492, sempre in qualità di legato apostolico, decretò la fondazione del monastero delle clarisse di S. Maria degli Angeli in Feltre; il 20 giugno 1493 stabilì l'annessione della chiesa parrocchiale dei Ss. Vito e Modesto di Spinea di Mestre al monastero degli olivetani dell'isola di Sant'Elena in Venezia.
Tra i suoi interventi occorre specialmente segnalare le Constitutiones cleri Veneti, da lui emanate il 10 apr. 1491, contenenti norme sulla disciplina ecclesiastica, sugli ebrei e sul controllo dell'editoria. A questo proposito veniva prescritto l'obbligo per gli stampatori di non pubblicare libri che trattassero materia di fede o di autorità della Chiesa senza l'autorizzazione del vescovo o del vicario generale diocesano. Contemporaneamente il F. proscrisse - e il provvedimento viene considerato la prima misura censoria su opere a stampa -, insieme col patriarca veneziano Tommaso Donà, il trattato di Antonio Rosselli, De Monarchia sive de potestate imperatoris et papae (Venetiis 1487) e le Conclusiones DCCCC dialecticae morales di Giovanni Pico della Mirandola (Romae 1486).
L'attività del F., in qualità di vescovo di Treviso, si segnala soprattutto per i due sinodi diocesani da lui convocati nel 1488 e nel 1495. Le decisioni assunte in queste due assemblee - miranti a una maggiore disciplina e a un buon livello di istruzione del clero e al rispetto degli obblighi di residenza degli ecclesiastici con cura d'anime (le prescrizioni a questo proposito erano particolarmente severe) - furono coscientemente ispirate alle costituzioni sinodali emanate qualche decennio prima in Treviso dai vescovi Giovanni Benedetto e (soprattutto) Ludovico Barbo. Il 3 febbr. 1496, su sua iniziativa si istituì a Treviso la Confraternita del Santissimo; nello stesso anno egli fondò il Monte di pietà trevigiano, a ciò suggestionato dalla predicazione di Bernardino da Feltre, che aveva ispirato analoghe fondazioni in diversi altri luoghi.
Nel 1486 il F. stipulò un contratto con l'architetto Pietro Lombardo per il restauro del duomo trevigiano. Tra il 1488 e il 1493 fece effettuare dal suo vicario, Giovan Antonio de' Pavari, la visita pastorale della diocesi. Nel 1492 accolse l'istanza degli abitanti di Noale di edificare in quel luogo un monastero benedettino: a tal fine, il 6 aprile di quell'anno, firmò una bolla che concedeva 100 giorni di indulgenza a quanti avessero concorso alla costruzione del detto monastero (poi intitolato a S. Maria della Misericordia). Nell'aprile dell'anno successivo, su istanza della regina di Cipro, Caterina Corner, infoltì la comunità di religiose facente capo alla trevigiana chiesa di S. Vettore di Selvapudia inserendovi monache agostiniane.
Il F. si circondò in Treviso - e nella villa vescovile di San Vigilio a Montebelluna, dove spesso si ritirava - di valenti umanisti, la cui presenza era anche favorita dal soggiorno nella regione della regina di Cipro: nel 1491 provvide del beneficio parrocchiale di S. Agostino in Treviso il suo segretario Giovanni Aurelio Augurelli, poeta, amico del Poliziano (nel 1495 l'Augurelli gli donò una raccolta miniata di dodici sermoni); nel 1493 conferì il beneficio parrocchiale di Musano al poeta Girolamo da Bologna, altro suo familiare, che pure aveva poco prima allontanato da sé accusandolo di avere complottato contro la sua persona (Girolamo rinunciò poi a quel beneficio, che nel 1497 fu attribuito ancora all'Augurelli). Nella sua cerchia gravitarono anche Ludovico Pontico, il tipografo fiammingo Gerard van der Leye (Gerardo De Lisa) e il traduttore di Plutarco Giovanni Regio. Il veneziano Bertuccio Lamberti, dottore in arti, canonico di Concordia e protonotario apostolico, fu dalla fine del 1494 al 1499 suo vicario generale in Treviso.
In questi anni il F. tornò più volte a Roma. Il 12 luglio 1490 assistette a un intervento di Innocenzo VIII in concistoro; nel 1492 vi restò ancora per qualche tempo, richiamato in Curia forse da papa Innocenzo nell'ultimo periodo della sua vita o dal suo successore Alessandro VI.
La domenica delle Palme del 1495, il F. (che Domenico Malipiero ancora presenta quale legato pontificio, ma al quale a partire dal 1492 furono solo affidate dal papa missioni diplomatiche particolari e di breve durata) celebrò in Venezia con una messa la formazione della lega antifrancese, che riuniva con il papa la Repubblica di Venezia, l'imperatore Massimiliano I, il re di Spagna, i signori di Milano, Ferrara e Bologna.
I suoi ultimi anni, come testimonia il Sanuto nei suoi Diarii (e come Biscaro [1930] è riuscito poi a ricostruire sulle fonti, fornendo una versione per certi aspetti alternativa a quella del cronista veneziano), furono alquanto travagliati. Oppresso dai debiti - lo si è dipinto come un amante del lusso -, sul finire del 1498, dietro istanza dei creditori, era stato "scomunicato" in Rota (Sanuto) e le sue rendite beneficiarie erano state sequestrate dalle autorità venete. Per Biscaro - che non spiega però l'origine di una notizia che pure presenta assai dettagliatamente -, il più determinato dei creditori del F. era il protonotario apostolico Girolamo de' Bollis. Il Sanuto, che prende le difese del F., parla invece di un suo debito di pensione sulla mensa vescovile di Treviso nei confronti del cardinale Giuliano Della Rovere e dà la responsabilità di avere fatto scoppiare il caso al de' Pavari, "suo inimicissimo" già segretario della nunziatura veneziana e vicario del F. in Treviso, al momento in Roma, come maestro di casa del cardinale G. Cesarini: il F. l'aveva infatti accusato di illecito nella raccolta delle decime e di non pagare le dovute pensioni sulla mensa di Parenzo (di cui il de' Pavari, si ricorda, era vescovo) al pastore di Belluno, B. de' Rossi. Nel febbraio 1499 il F. si rivolse dunque alle autorità venete perché convincessero il papa ad assolverlo dalla condanna; queste si determinarono a farlo - dando incarico all'ambasciatore veneziano di rivolgersi in tal senso al papa e contemporaneamente di ammonire il vescovo di Parenzo perché non insistesse nella sua azione - sia per i meriti accumulati dal F. nel corso della sua esperienza diplomatica, sia perché, riporta sempre il Sanuto, lo stesso si era rivelato degno ed efficace pastore della diocesi affidatagli.
Il perdono di Alessandro VI giunse in Venezia il 24 luglio 1499, pochi giorni prima che il F. morisse, l'8 agosto, nella sua villa di San Vigilio a Montebelluna nel Trevigiano.
Nel frattempo, per risolvere la questione, il F. si era indaffarato a cercare un ente ecclesiastico disposto a fornirgli una cifra sufficiente a sanare i suoi debiti ottenendo in cambio - sotto la forma giuridica dell'unione - il beneficio di S. Andrea di Busco. Fu il capitolo della cattedrale trevigiana ad accettare l'offerta e ad anticipare la somma richiesta dal Franco. Tuttavia, per quanto il denaro fosse già stato spedito a Roma, il papa non autorizzò l'unione del beneficio che era stata concordata per garantire l'operazione. Si rendeva così ora necessario per il F. saldare il debito contratto con i canonici. Si presentò allora Girolamo Contarini (poi podestà di Treviso, nel febbraio 1500), che si impegnò a pagare al F. 750 ducati purché questi rassegnasse l'abbazia di S. Andrea di Busco a favore del suo figlio naturale Marco. Quest'ultimo si sarebbe accontentato di una rendita di 50 ducati annui, riservando tutti gli altri frutti del beneficio al Franco. Il Contarini si impegnava inoltre a pagare per conto del vescovo, sempre come compenso per la cessione dell'abbazia, una partita di decime cui il F. non era in grado di far fronte. Il patrizio veneziano versò la somma concordata presso il banco veneziano Pisani, ma subito dopo, l'8 agosto, il vescovo di Treviso, come abbiamo detto, morì. Il Contarini si affrettò allora a ritirare dal banco i 450 ducati che vi erano rimasti - gli altri 300 erano già stati ritirati per conto del capitolo trevigiano -, non curandosi di pagare le decime del vescovo defunto; la risoluzione dell'increscioso caso spettò poi al successore del F. alla guida della diocesi trevigiana, Bernardo de' Rossi.
Nel 1501 il Contarini eresse, a proprie spese, nella cappella del Santissimo del duomo di Treviso, il sontuoso monumento sepolcrale del F., adornandolo di una iscrizione che ne lodava i meriti. Con tutta probabilità il podestà intendeva avvalersi della generosa costruzione della tomba per avvantaggiarsi nelle cause che ancora lo vedevano impegnato con il vescovo de' Rossi per l'"affare" del capitolo, con la stessa Serenissima per le decime non pagate, e per discostare da sé le accuse di avidità, truffa e illecito che lo perseguitavano dal tempo dei suoi maneggi col Franco.
La complessa vicenda del 1499, con i confusi - e disperati - tentativi del F. per sanare i suoi debiti, non dovette però influire sulla considerazione che il papa nutrì nei suoi confronti: poco dopo l'assoluzione dalla scomunica, infatti, il 1º ag. 1499 Alessandro VI nominò il F. e Niccolò Dolce ricevitori generali, collettori ed esattori della decima sul clero che aveva voluto concedere alla Repubblica di Venezia.
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