ERIZZO, Nicolò
Nacque da Nicolò di Francesco e da Samaritana Nani del cavaliere e procuratore Antonio, a Venezia il 1º genn. 1692.
La famiglia, che risiedeva nella parrocchia di S. Martino di Castello, non era ricca: disponeva, è vero, di entrate non esigue (specie dopo l'apporto dell'eredità di Andrea Navagero di Pietro, che nel 1679 le aveva lasciato i suoi beni, in buona parte costituiti da capitali in Zecca), ma non tali da bastare a soddisfare le esigenze di lusso e prestigio politico della piccola folla di zii e nipoti che affollavano il palazzo (ben otto Nicolò, alla data del 1691, tutti così battezzati per via di un fidecommesso), a fornire la dote a tre sorelle (Lucia, che nel 1712 si sarebbe sposata con Ottaviano Contarini, Faustina con Giacomo Canal, l'anno seguente, e Maria, con Benedetto Pisani, nel '27), a permettere al padre dell'E. di sostenere le ambascerie di Roma, Parigi e Londra.
Ora, se pensiamo che negli anni '70 del XVIII secolo gli Erizzo si sarebbero posti in luce tra i principali acquirenti dei beni già posseduti dagli ecclesiastici, e allora posti in vendita ad opera della Deputazione ad pias causas, è chiaro che siamo di fronte ad una famiglia in ascesa nell'ambito della società veneziana, e che è probabile che la spiegazione di un simile fenomeno debba anzitutto essere ricercata nel personale sacrificio di molti dei suoi esponenti, benché forse ispirati più alla logica del servizio reso alla "ragion familiare" che ad un presunto effettivo urgere di sentimenti di solidarietà ed amore. Nel quadro di tale realtà, il caso dell'E. appare emblematico, in quanto la sua vita e la sua carriera politica finirono per risultare pesantemente condizionate, quasi soffocate, dalla presenza del fratello maggiore, Nicolò detto Andrea.
Pure gli esordi dell'E. erano stati promettenti: savio agli Ordini, come si conveniva ai rampolli delle migliori famiglie, dal 3 apr. al 30 giugno 1717, e ancora per il primo semestre dell'anno successivo. Del resto gli toccava di diritto: il primogenito Nicolò era morto giovanetto (1700); Nicolò detto Antonio si era dedicato alla vita militare, ossia aveva scelto di ricoprire cariche attinenti all'apparato difensivo dello Stato; Nicolò detto Andrea era destinato al matrimonio (nel '19 avrebbe sposato Caterina Grimani del cavaliere Marcantonio); pertanto era nell'ordine delle cose che l'E. ambisse ad una carriera diplomatica, seguendo le orme del padre.
Divenne così provveditore sopra i Dazi (4 luglio 1718-3 luglio 1720), quindi fu eletto podestà di Padova (20sett. 1720), ma ottenne l'esonero dalla dispendiosa pretura euganea, impegnandosi ad esercitare entro i successivi due anni un altro reggimento, che fu la podesteria di Chioggia.
Qui, ai margini della laguna, in un ambiente economicamente e culturalmente depresso, per sedici mesi (19 genn. 1723 - 18maggio '24) l'E. dovette cimentarsi con problemi di poco o nessun rilievo, quali il furto di una pisside nella chiesa parrocchiale o le malversazioni del "saliner" Francesco Venier, al quale il Consiglio dei dieci intimò il rimpatrio.
Poi fu ufficiale alle Rason Nuove, dal 6 sett. 1724 al 5 genn. '26; dopo di che, nessun'altra carica, per un quindicennio. Come si è accennato, non è facile spiegare questa improvvisa interruzione di una carriera sino ad allora percorsa con promettente continuità, se non pensando al prestigioso (e dispendioso) esercizio diplomatico intrapreso dal fratello maggiore presso le principali capitali europee, dopo che la nascita di due figli maschi era giunta a sollevarlo dal compito di assicurare la continuità della casata.
Forse la morte dello zio Nicolò detto Bartolomeo, avvenuta nel dicembre 1738, ed il conseguente riassetto delle risorse economiche familiari suggerirono all'E. di tentare un nuovo inserimento nel mondo della politica, per cui accettò la nomina di provveditore in Zecca alla cassa di ori e argenti (23 genn. - 22 apr. 1740), seguita da quella di depositario del Banco Giro, dal 24 marzo al 23 giugno '42, ma fu un tentativo perseguito con scarsa convinzione, e perciò di breve durata.
La sua figura ricompare solo nel maggio del '60, davanti ai giudici di Petizion, ma per tutt'altre ragioni, e cioè in occasione della scomparsa del fratello Nicolò detto Vincenzo; nella circostanza l'E., per bocca dell'avvocato Giovan Battista Indrich, dichiarava che "nella purtroppo viva amarezza che portò nel di lui animo la fatale mancanza ... volendo anche ovviare ogni ulteriore motivo di domestiche differenze e contese, ha risolto rinuntiare ... all'eredità intestata": ma era un modo per averla comunque, essendo essa fidecomessa, azzerandone i debiti.
Non molto tempo dopo moriva a sua volta a Venezia, "da pleurite infiamatoria", il 28 marzo 1762.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Misc. codd. I, Storia veneta 19: M. Barbaro - A. M. Tasca, Arbori de' patritii…, III, c. 420; Ibid., Segretario alle Voci. Elezioni del Maggior Consiglio, reg. 26, cc. 17, 30, 135, 154; Ibid., Elezioni dei Pregadi, reg. 21, c. 116; reg. 22, cc. 182 s.; reg. 23, cc. 98, 111; Ibid., Lettere di rettori ai capi del Consiglio dei dieci, b. 75, nn. 86 ss.; Ibid., Giudici di Petizion. Costituti, accettazioni di eredità, b. 951/16, cc. 102rv; Ibid., Provveditori alla Sanità. Necrologi, reg. 949, ad diem. Cfr. inoltre: E. Garino, Aspetti della successione testamentaria in Venezia al cadere del XVIII secolo, in Studi veneziani, n.s., V (1981), pp. 258 s.; P. Litta, Le famiglie celebri italiane, sub voce Erizzo, tav. III.