ERIZZO, Nicolò
Detto Antonio per distinguerlo dai numerosi altri famigliari che portavano lo stesso nome, nacque a Venezia il 19 genn. 1687, dal cavalier Nicolò di Francesco, del ramo a S. Martino, e da Samaritana Nani del cavaliere e procuratore Antonio. Poiché la casa non disponeva di grandi fortune, l'E. rinunciò al matrimonio ed alla carriera diplomatica per dedicarsi al servizio dello Stato nell'ambito dell'apparato militare, seguendo l'esempio dello zio Nicolò (II), detto Bartolomeo.
Gli esordi dell'attività pubblica dell'E. si svolsero sul mare: non era ancora diciannovenne allorché fu eletto governatore di nave, il 18 nov. 1705, e così per più di tre anni fu impegnato ad incrociare nell'Adriatico, col compito di prevenire e controllare eventuali violazioni da parte delle squadre inglesi e gallo-ispane; quindi venne nominato patrono delle navi, l'8 giugno 1709. Ma non tornò a Venezia: qualche giorno più tardi il Senato gli concedeva la dispensa "di render presentemente li suoi conti per la carica di Governatore di nave, stante la sua absenza in Armata", e da allora l'E. fu occupato soprattutto ad assicurare gli approvvigionamenti alle fortezze venete in Dalmazia e Morea; il 3 giugno 1711 era quindi promosso almirante, ossia comandante di una squadra.
Scoppiata la guerra di Morea, nel marzo 1715 venne eletto nobile in Armata, dove qualche mese più tardi (6 novembre) assunse l'incarico di commissario pagatore; dopo l'infausto esito del conflitto poté finalmente rimpatriare e per alcuni anni alternò l'esercizio di magistrature di carattere giudiziario con altre maggiormente attinenti alle sue competenze nell'ambito militare: censore dal 4 ott. 1719 al 3 febbr. '21, provveditore all'Armar dal 15 febbr. '21 al 14 febbr. '22; fu poi provveditore sopra i Beni inculti dal maggio 1722 al febbraio dell'anno seguente, quando venne eletto provveditore generale in Dalmazia ed Albania.
La regione, sterile e montuosa, era totalmente priva di industria e commercio, ove si eccettuino le attività direttamente collegate alle esigenze della flotta ed alla navigazione mercantile di cabotaggio; la pace di Passarowitz le aveva assegnato alcuni ingrandimenti territoriali, ma solo attorno alla metà del secolo Venezia avrebbe concretamente elaborato un progetto mirante a risollevarne l'economia; per allora al Senato stava soprattutto a cuore l'organizzazione militare del territorio.
Questo il compito primario dell'E., che non doveva però rivelarsi il problema più spinoso: in un paese depresso materialmente e culturalmente, le prevaricazioni e le violenze dei nobili e dei maggiorenti locali lo costrinsero ad una vigilanza continua; era quasi giunto al termine del suo mandato, quando inviava al Consiglio dei dieci una relazione (Spalato, 5 ag. 1725) circa gli "eccessi gravosissimi successi nella città di Curzola".
Tali eccessi lo avevano costretto ad imprigionare undici di quei principali cittadini, i quali, animati da "torbido spirito", si erano dati a "detestabili procedure, con sedurre quei popoli ad inaudite e censurabili operazioni"; ne si trattava solo di vessazioni: il dispaccio dell'E. lascia trapelare soprattutto inquietudine per i prodromi di un movimento eversivo che faceva leva su una pressione fiscale tradizionalmente suscitatrice di malcontento, al punto che il più deciso dei ribelli, Girolamo Arnesi, "ebbe a palesare il perfido suo animo con quest'orrida espressione, ch'un giorno bisognerà fare un Vespero Ciciliano".
Nuovamente a Venezia, l'E. dovette subire un periodo di contumacia per aver rifiutato l'elezione a capitano di Padova, avvenuta il 29 luglio 1725; fu poi provveditore alle Artiglierie dal 16 dic. '28 al 14 sett. '29, quando si indusse ad assumere il rettorato patavino, al quale era stato riconfermato, stavolta con funzioni di podestà.
Nella tranquilla città euganea fu soprattutto la gran mole dei processi lasciati inevasi dal suo predecessore ad assorbirlo, si trattasse del ferimento di un contadino sorpreso dal rivale mentre, "oppresso dal vino", non era in grado di difendersi, o delle coltellate scambiatesi tra due villici "mentre giocavano alla mora", nell'osteria del paese, oppure delle tutt'altro che infrequenti violenze sessuali.
L'E. non portò a termine il mandato: il 16 marzo 1730 assumeva infatti l'importante carica di provveditore generale da Mar. C'era pace nell'Egeo, ma la situazione dell'area balcanica rimaneva pur sempre precaria, di riflesso alle tensioni ed ai mutamenti politici che stavano allora interessando le corti di Mosca e di Costantinopoli, per cui la nomina dell'E. deve essere intesa come una mossa precauzionale, in risposta all'esigenza di affidare in quel momento la flotta a persona, che ben ne conosceva potenzialità e manchevolezze.
Così, per oltre quattro anni, l'E. alternò crociere a bordo delle navi con periodi di sosta nelle città dalmate e nelle isole: frutto di questa attività, oltre ai consueti dispacci al Senato, numerose lettere al bailo presso la Porta ed al comandante delle truppe, J. M. Schulenburg; di particolare interesse, poi, una relazione, datata 1733, sulle condizioni della squadra. Proprio nell'anno in cui a Costantinopoli il bailo ed il visir si scambiavano le capitolazioni di pace, a Venezia si paventavano ostilità da parte dei Turchi, che avrebbero potuto approfittare di un'Europa impegnata nella guerra di successione polacca. Impietosa l'analisi del provveditore: posto che gli Ottomani disponevano di sessanta navi, la Repubblica avrebbe dovuto allestirne almeno trenta, "né sarà lieve esperimento il cimentarsi uno contro due, benché sovente ciò siasi fatto"; l'E. presentava quindi i calcoli dei costi necessari per armare una tale squadra, alla quale sarebbero occorsi almeno 4.500 marinai, e concludeva, non senza una punta di polemica: "Confesso alla Serenità Vostra sembrar impossibile questa raccolta, né so vedere né i mezzi né il modo, stando le disposizioni pubbliche nel modo che sono". La coraggiosa denuncia - come è noto - non sortì tuttavia alcun esito.
L'E. non tornò più in Levante, ma continuò ad occuparsi di questioni militari attraverso una presenza pressoché costante nelle specifiche magistrature; ancora, la sua appassionata attenzione ai problemi dell'esercito e della flotta ci è testimoniata dalla dettagliata relazione (1º febbr. 1743) sul castello di Chioggia, da lui ispezionato per incarico dei colleghi provveditori alle Fortezze; dai molteplici interventi in Senato, a difesa dell'efficienza e del prestigio delle truppe (l'8 giugno 1748 Francesco Tron scriveva al fratello Andrea, a proposito di un decreto in base al quale le promozioni degli ufficiali sarebbero avvenute principalmente per anzianità, che l'E. era stato il maggiore oppositore di questa norma, e concludeva: "Così a poco a poco vanno tagliando le unghie ai militari, levandogli l'autorità"); dalle lettere infine scambiate con il comandante dell'esercito, lo scozzese W. Greeme, nel '56 e '57, che lo rivelano attento e competente osservatore delle vicende collegate alla guerra dei sette anni.
Quanto alla carriera politica, l'ultimo trentennio della sua vita fu contrassegnato da un continuo succedersi di incarichi; anzitutto quelli inerenti all'organizzazione difensiva: deputato al Militar nel '35-'37, '40-'42 e '46-'48; provveditore alle Artiglierie nel '36 e nel '65; provveditore all'Arsenale nel '36-'38 e '54-'56; provveditore straordinario della fortezza di Legnago nel '39; provveditore alle Fortezze nel '42-'43 e '57-'58; aggiunto al Collegio della milizia da Mar nel '43-'44 e nel '46; provveditore all'Armar nel '45, '50, '53, '57; regolatore alla Scrittura nel '60-'62. Ma il lungo elenco delle nomine propone anche incombenze di ordine economico e finanziario: nel '39 fu, sia pure per pochi mesi, provveditore alla Sanità a Monfalcone, sopraprovveditore alle Legne, depositario del Banco di giro; quindi rivestì la carica di savio alla Mercanzia nel '40,'51 e '58, di deputato al Commercio nel '44-'47, di sopraintendente alle Decime del clero nel '45, '49-'51, '53-'55, '62-'63; divenne infine provveditore alle Beccarie, nel '49, depositario in Zecca nel '54, provveditore sopra i Denari nel '63-'64.
Alla vita privata non risulta aver dedicato molto spazio: gli conosciamo una sola vacanza, e il 23 ag. 1737 il Consiglio dei dieci gli concedeva il permesso di recarsi a Vienna per tre mesi, da dove fece ritorno con il fratello Nicolò detto Andrea, che aveva terminato il suo incarico di ambasciatore alla corte imperiale.
Morì a Venezia, il 7 marzo 1768, lasciando al prediletto nipote Nicolò detto Marcantonio tutte le sue sostanze, eccettuato un legato di 500 ducati per i "suoi" marinai poveri.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Misc. codd. I, Storia veneta 19: M. Barbaro-A. M. Tasca, Arbori de' patritii..., III, c. 420; Ibid., Segretario alle Voci. Elezioni del Maggior Consiglio, reg. 26, cc. 7, 54 s.; Ibid., Elezioni dei Pregadi, reg. 21, cc. 131, 135, 160 s., 181; reg. 22, cc. 40 s. n., 44, 53, 60, 63, 93 s., 103, 113, 152, 160, 172, 186; reg. 23, cc. 39 s., 42, 51, 53, 55, 69, 92, 96, 127, 144, 162, 169; reg. 24, cc. 23, 39 s., 42, 51, 79 s., 96, 100; Ibid., Cancelleria inferiore. Miscellanea testamenti, b. 31a, n.3353; Ibid., Avogaria di Comun, b. 159: Necrologi di nobili, ad diem; sull'attività di patrono alle navi, Ibid., Senato. Mar, reg. 175, cc. 53v-54r, 56v; per quella di provveditore generale in Dalmazia e Albania, Ibid., Provveditori da terra e da mar, bb. 572 s.; Ibid., Capi del Consiglio dei dieci - Lettere di rettori, b. 281, nn. 126-129; per la podesteria di Padova, Ibid., ibid., b. 106, nn. 187-254; sul provveditorato generale da Mar, Ibid., Senato. Mar, reg. 196 passim; Ibid., Capi del Consiglio dei dieci - Lettere di rettori, b. 293, nn. 153 s.; per la corrispondenza con il bailo Angelo Emo ed il maresciallo J. M. Schulenburg, Ibid., Archivio proprio Schulenburg, rispettivamente reg. 41/72-73, e reg. 51/54; per la licenza di recarsi a Vienna, Ibid., Consiglio dei dieci - Parti comuni, reg. 197, c. 114v; la relazione sul castello di Chioggia, cfr. Venezia, Bibl. del Civico Museo Correr, Mss. P. D. 621 C. IV; la lettera del Tron, Ibid., Mss. P. D. C 903, ad diem; per quelle a W. Greeme, Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl. VII, cod. 1912 (= 8328): Milizia veneta, cc. 770r-772r. Cfr. inoltre: M. Nani Mocenigo, Storia della marina veneziana da Lepanto alla caduta della Repubblica, Roma 1935, p. 354; P. Litta, Le famiglie celebri italiane, sub voce Erizzo, tav. III.