ERIZZO, Nicolò
Nacque a Venezia da Stefano, detto Stefanello, della parrocchia di S. Canzian, secondo il Barbaro attorno al 1370. Il nome della madre ci è ignoto, e l'identificazione della sua stessa esistenza solleva alcune difficoltà: sappiamo infatti che il padre sposò Alisetta di Giovanni Bembo, la quale nel testamento del febbraio 1380 appare assai ricca, ma senza figli; e poi si risposò con una Caterina, che testando a sua volta nel settembre 1389 risulta pure senza figli, per cui istituiva commissaria la madre, Benedetta Soranzo. Dunque l'E. dovette nascere - come il fratello Marco - da una unione di Stefano, diversa e probabilmente precedente alle due sopra ricordate, dal momento che il 14 nov. 1415 egli presentava alla Balla d'oro il primogenito Giovanni, ormai diciottenne: si era dunque sposato certamente non dopo il 1397, ed è francamente difficile - pur se non impossibile - ipotizzare che l'Alisetta abbia partorito dopo il 1380 senza sentire il bisogno di modificare il testamento, o pensare ad un terzo matrimonio, questa volta fecondo, da parte di Stefano, negli anni compresi appunto tra il 1380 e il 1389, in ogni caso a ridosso della prima data, per permettere ad un figlio di sposarsi a sua volta entro il 1397.
Le genealogie del Barbaro presentano poi tre fraintendimenti, a proposito della figura dell'E., che vanno chiariti: esse errano anzitutto nel farlo sposare (nel corso del XV secolo) con Alisetta Bembo, che fu invece moglie di suo padre: lo sbaglio può essere spiegato col fatto che pure la consorte dell'E. si chiamava Alisetta (ignoto rimane purtroppo il casato), come risulta dagli atti relativi all'iscrizione alla Balla d'oro dei figli Giovanni (nato nel 1398), Andrea (nato nel 1405) e Benedetto (nato nel 1408); infine fu questo E. (e non l'omonimo zio paterno) a spostare la propria residenza da S. Canzian, nel sestiere di Cannaregio, a S. Martino di Castello, dove per secoli questo ramo avrebbe abitato, divenendo il più prestigioso e dovizioso della famiglia.
In gioventù l'E. dovette dedicarsi al commercio, come la maggior parte dei suoi concittadini più abbienti: il 15 luglio 1429 gli avogadori di Comun risolvevano a suo favore una pendenza in ordine ad una partita di panni bloccata in Sicilia, ed in precedenza egli aveva comandato la "muda" delle galere di Beirut, come si dirà; quanto alla carriera politica, essa ebbe inizio con l'elezione, avvenuta il 9 giugno 1413, di sindaco "ad partes Romanie, Crete et Nigropontis": in unione ai colleghi Andrea Ghisi, Giacomo Michiel e Francesco Garzoni egli avrebbe dovuto controllare l'amministrazione giuridica e finanziaria tenuta dai rettori nei domini veneti compresi fra Durazzo e Negroponte.
Fu proprio quest'isola a costituire la prima tappa della missione, che si svolse tra il luglio del 1413 e l'autunno dell'anno seguente: sull'azione espletata dall'E. ci restano le norme giudiziarie emanate a Modone, nel 1414, congiuntamente a quel castellano, Giovanni Navagero, ed una deliberazione senatoria, che alla data del 20 agosto di quello stesso anno ne sollecitava la partenza da Corfù ed il ricongiungimento con i colleghi "ad partes Albanie", per espletare il suo incarico al più presto, in modo da non gravare ulteriormente sulle casse dello Stato. Rientrato finalmente a Venezia, dopo alcuni anni di assenza dalla politica il 9 dic. 1421 era tra i provveditori alle Biave che consegnavano 10.000 ducati d'oro a Gian Francesco Gonzaga, quale pagamento di un grosso acquisto di frumento per conto della Repubblica; quindi lasciava l'incarico, il 10 marzo 1422, per assumere il comando della "muda" di Beirut, e due anni dopo tornava nuovamente in Levante, come rettore di Canea, nell'isola di Creta.
Fu una tappa qualificante per la sua carriera, che lo portò in seguito a ricoprire il saviato di Terraferma negli anni 1430 e 1431. A un decennio dalla conquista del Friuli, la nuova magistratura si trovava investita di numerosi e complessi compiti organizzativi, ai quali proprio allora andavano sommandosi i problemi connessi con la ripresa della guerra contro il duca di Milano. A questo proposito il Barbaro (seguito poi dal Litta) scrive che l'E., appunto nella sua qualità di savio di Terraferma, fu inviato nel 1431 ambasciatore in Francia, per sollecitare aiuti contro Filippo Maria Visconti; più modestamente il Priuli afferma invece che la missione si svolse presso il signore di Faenza. Del tutto infondate risultano però entrambe le notizie. A quel tempo Carlo VII di Francia aveva richiesto l'alleanza dei Veneziani, ma questi avevano prontamente declinato l'invito, temendo negativi riflessi per i loro commerci con la Borgogna e l'Inghilterra; quanto al signore di Faenza, Astorre Manfredi, da un pezzo militava sotto le insegne della Repubblica; inoltre la scarsa consistenza delle sue truppe (un paio di centinaia di uomini) non sembra giustificare l'invio di una specifica ambasceria, che infatti non compare in alcun documento ufficiale.
È certo invece che il 16 maggio 1431 l'E. era stato eletto provveditore a Modone, nell'estremo lembo del Peloponneso, e che un mese più tardi lasciava Venezia portando con sé 1.000 ducati d'oro, destinati a quella guarnigione. Del tutto usuale, per un veneziano del XV secolo, passare rapidamente, e con pari disponibilità, da questioni inerenti la Terraferma ad altre connesse con i domini marittimi o il commercio col Levante: e infatti l'E. seppe amministrare e difendere una Comunità greca con la stessa capacità con cui aveva operato, qualche mese prima, nel mondo della politica italiana, come testimoniano i suoi assidui contatti con i comandanti delle flotte, onde prevenire incursioni turche, e l'alleggerimento del problema - perennemente rinnovantesi -dell'approvvigionamento alimentare degli uomini a lui sottoposti, di cui venne, almeno in parte, a capo "per infinitas litteras" inoltrate al Senato.
Non sappiamo quando l'E. rimpatriò, né quando morì: l'ultimo dato certo che riguarda la sua esistenza è costituito dal testamento, dettato nel settembre 1435 nella sua nuova casa a S. Martino di Castello.
Appare assai ricco (cospicua la proprietà immobiliare), generoso nei legati destinati ai poveri o alle opere pie, ma del tutto distaccato dalla moglie e dai figli, i cui nomi sono relegati nel contesto delle abituali formule giuridiche; esecutore testamentario era il fratello Marco: quanto a sé vuol essere sepolto accanto agli antenati, ai Ss. Giovanni e Paolo.
C'è infine ancora una precisazione da compiere, su quest'uomo: il Sanuto ed il Barbaro (e, sulla scia, il Cappellari Vivaro) lo accusano dell'omicidio di Ermolao Donà, passato a fil di spada la notte del 5 nov. 1450, mentre rincasava. A quel tempo il Donà faceva parte del Consiglio dei dieci, ed i sospetti caddero sul figlio del doge, Jacopo Foscari, che fu relegato alla Canea, dove morì nel 1457; senonché in punto di morte l'E. avrebbe poi rivelato la propria responsabilità al confessore, dicendo di aver voluto vendicarsi di una condanna subita da parte del Donà, allorché questi era avogadore.
Precisa il Sanuto: "E nota, che il detto Nicolò Erizzo con uno di ca' da Mula, si lasciarono serrare nell'andito dei Provveditori di Comune per volere rubare tre volte, ma furono scoperti da chi andava a sonar l'ore, e poi furono condennati"; quindi, spirato l'E., il religioso avrebbe reso pubblica la vicenda, ma intanto anche il Foscari era morto. Senonché altre fonti, pur registrando l'uccisione del Donà, ignorano il nome e la parte stessa che vi avrebbe avuto l'E., e così i più accreditati e recenti storiografi; ora, è possibile che la condotta dell'E. non sia stata immune da censure: si è visto come nel 1414 la sua permanenza a Corfù venisse ripresa dal Senato, ed è un fatto che dopo il rettorato a Modone, nel 1432, non risulta ch'egli abbia più ricoperto alcuna carica; eppure è difficile accettare le affermazioni del Sanuto e del Barbaro. Innanzitutto pare che l'E. non abbia mai subito condanne, e poi sappiamo che non era sprovvisto di beni di fortuna: perché dunque avrebbe dovuto rubare come un comune ladruncolo? Ancora, non è facile accreditare l'esecuzione di un tal delitto ad un ottuagenario. Più probabile, invece, che l'episodio altro non sia che una voce senza fondamento, nata in margine all'aspra lotta che attorno a quegli anni i Loredan, congiuntamente ai Barbarigo ed ai Donà, combatterono contro la forte, ma discussa figura del doge Foscari e la sua famiglia.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Misc. codd. I, Storia veneta 19: M. Barbaro-A. M. Tasca, Arbori de' patritii..., III, pp. 414, 419 (per la responsabilità dell'E. in ordine all'omicidio del Donà, p. 309); Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl. VII, cod. 16 (= 8305): G. A. Cappellari Vivaro, Il Campidoglio veneto, II, c. 55v; Venezia, Bibl. del Civico Museo Correr, Codd. Cicogna 3782: G. Priuli. Pretiosi frutti..., II, cc. 9v-10r; Arch. di Stato di Venezia, Avogaria di Comun. Balla d'oro, reg. 162, c. 67rv; Ibid., Avogaria di Comun. Indice dei matrimoni con figli, sub voce Nicolò Erizzo; Ibid., Sezione notarile. Testamenti, b-486/51 (per i testamenti di Alisetta Bembo e dell'altra moglie del padre, Caterina, Ibid., rispettivamente: Sez. notarile. Testamenti, b. 1226: AttiRizzo Fantino, 54; Ibid., Cancelleria inferiore, b. 36/3.I.120); per la carriera politica dell'E., Ibid., Segr. alle Voci. Misti, reg. 13, c. 123r; Ibid., Senato. Deliberazioni Secreta, reg. 11, cc. 178v, 188v-195v, 210r; Ibid., Senato. Deliberazioni miste, reg. 58, cc. 57v, 60v; sul commercio dei panni con la Sicilia, Ibid., Avogaria di Comun. Raspe, reg. 3648, c. 26v. Si vedano, inoltre: M. Sanuto, Vitae ducum Venetorum..., in L. A. Muratori, Rer. Ital. Script., XXII, Mediolani 1733, col. 1139; Monumenta spectantia historiam Slavorum meridionalium, XII, Zagrabiae 1882, pp. 131, 190; C. N. Sathas, Documents inédits relatifs à l'histoire de la Grèce au Moyen-Age..., III, Paris 1882, pp. 7-21, 49, 73, 402, 411; I Libri commemoriali della Repubblica di Venezia. Regesti, a cura di R. Predelli, IV, Venezia 1896, p. 37; P. S. Leicht, La "Commissione" di ser Geronimo Da Mula castellano e provveditore di Corone e Modone nel 1494, in Archivio veneto, s. 5, LXXIII-LXXVI (1948), p. 92; Diz. biogr. d. Italiani, XL, Roma 1991, p. 723 (è la "voce" dedicata ad Ermolao Donà, ove però si ritiene l'E. responsabile dell'omicidio); P. Litta, Le famiglie celebri italiane, sub voce Erizzo, tav. I.