DUODO, Nicolò
Nacque a Venezia il 2 apr. 1657 da Pietro di Girolamo, del dovizioso e prestigioso ramo a S. Maria Zobenigo, e da Chiara Foscarini di Nicolò.
La prematura scomparsa del padre non gli impedi di ricevere una compiuta educazione storico-letteraria, indispensabile requisito per accingersi alla carriera politica, cui il D. avrebbe dedicato la sua lunga esistenza, preferendo lasciare al fratello minore Francesco il compito di sposarsi e di provvedere alla continuità del casato.
Cosi, non appena raggiunta l'età prescritta dalla legge, il D. fu eletto savio agli Ordini (la magistratura che allora costituiva l'abituale tirocinio politico per gli esponenti delle famiglie più in vista dell'aristocrazia lagunare) per due anni consecutivi, dal 10 giugno al 30 sett. 1682, e per il semestre aprile-settembre dell'83, dopo di che assunse l'incarico - davvero insolito per un giovane appena agli inizi della carriera - di patrono all'Arsenale, che tenne sino al 5 maggio 1686; quindi fu savio alle Decime dal 20 genn. 1687 al 19 genn. '88.
Anche le cariche che seguirono paiono maggiormente pertinenti alla maturità dell'uomo politico veneziano piuttosto che ad un giovane poco più che trentenne: fu infatti provveditore alle Pompe (ossia delegato a contenere lo sfoggio del lusso) dal 22 giugno 1689 al 21 giugno '90 (così il reg. 23 del Segretario alle Voci. Elezioni del Maggior Consiglio, c. 53; il successivo reg. 24. c. 52, reca invece le date 4 sett. '89-3 sett. '90), e nei primi giorni del 1690 fece parte dell'ambasceria d'onore inviata ad incontrare lo stanco e malato, eppur vittorioso, doge Francesco Morosini che ritornava dal Levante, dopo aver affidato a Girolamo Corner il comando delle operazioni militari contro gli Ottomani.
Poi un decennale silenzio, una parentesi oscura nell'arco della carriera politica del D., e della sua vita. A tenerlo lontano dalle magistrature (come forse anche a spiegare l'anomalia di quelle ricoperte negli anni '80) fu, con ogni probabilità, la concomitante ininterrotta assunzione, da parte del fratello maggiore Girolamo, del saviato di Terraferma, la qual cosa fini in pratica con l'escludere dal Collegio gli altri membri del casato.
Infatti, solo quando Girolamo lasciò Venezia per sostenere l'ambasceria della Repubblica presso la Corona spagnola, il D. poté riprendere l'esercizio della politica, che fu scandito da un incessante succedersi, e talora intrecciarsi, di prestigiose cariche: eletto provveditore sopra gli Ori e Monete dal 25 maggio 1701 al 24 maggio 1702, divenne anche provveditore in Zecca al pagamento dei Pro' (28 genn.-28 febbr. 1702), e alla Cassa ori e argenti (1° giugno-31 ag. 1702); fu quindi inquisitore sopra i Boschi dal 22 luglio al 3 agosto, sempre del 1702, e riconfermato provveditore sopra gli Ori e Monete dal 9 nov. 1702 all'8 nov. 1703.
Una carriera tutta calata nell'ambito amministrativo-finanziario dello Stato, ed in esso risolventesi, senza evidenti apporti al dibattito politico, quale si veniva elaborando nell'assemblea senatoria, e senza che le cronache, o altre fonti, abbiano avuto modo di recepire, e di rinviarci, l'immagine dell'uomo, il ruolo da lui assunto in questa prima fase della sua esistenza, tra lo scorcio del XVII secolo ed il primo decennio di quello successivo; in mancanza di documenti, pertanto, il giudizio che possiamo formulare su di lui non può essere che indiretto, e perciò da accogliere con prudenza. Esso consiste nel supporre, semplicemente, che questa ininterrotta presenza nelle magistrature alle quali spettava la guida finanziaria della Repubblica - nella delicata congiuntura rappresentata dagli alti costi derivanti dalla neutralità armata decisa in occasione della guerra di successione spagnola, che a sua volta si collocava tra i gravosi impegni provocati dalla prima e seconda guerra di Morea (1684-99 e 1714-18) - sia riconducibile alla competenza di cui il D. dovette fornire prove non dubbie, ed al conseguente prestigio che gliene derivò.
Privi dunque di concreti elementi atti a far luce sulla sua figura, non resta che proporre l'elenco delle cariche ricoperte: provveditore alle Fortezze (27 genn. 1703-26 genn. 1704); provveditore in zecca alla Cassa ori e argenti (28 febbraio-27 maggio 1704); savio alla Mercanzia (11 giugno 1704-10 giugno 1706); provveditore sopra Ori e Monete (17 luglio 1704-16 luglio 1705); dopo essere stato chiamato a far parte del novero dei trentadue tansadori (21 marzo 1705), fu ancora provveditore alle Beccarie (19 giugno 1706-18 giugno 1707); aggiunto ai revisori e regolatori dei Dazi (3 nov. 1707-2 nov. 1709); provveditore sopra gli Ospedali e Luoghi Pii (20 sett. 1708-11 sett. '10); savio alle Acque (12 ott. 1709-11 ott. '11); sopraprovveditore alla Giustizia Nuova (5 nov. 1711-21 febbr. '12); catasticatore in Terraferma (eletto il 21 sett. 1711, insieme con Federico Barbarigo e Nicolò [II] Erizzo); rifiutò poi le nomine di inquisitore all'Arsenale (11 febbr. 1712) e provveditore sopra gli Ogli (2 apr. 1712), perché chiamato a ricoprire quello che avrebbe costituito il suo più importante e prestigioso incarico, ossia l'ambasceria presso la S. Sede.
Nonostante la famiglia potesse vantare una lunga tradizione di devozione ed attaccamento a Roma, egli cercò in un primo tempo di evitare la nomina: infatti, tre giorni dopo la votazione, avvenuta in Senato il 18 febbr. '12, si fece eleggere bailo a Costantinopoli, calcolando verosimilmente che, se proprio la patria lo voleva ambasciatore, almeno gli accordasse una sede remunerativa; senonché, un mese più tardi, il D. chiese la dispensa (probabilmente nel timore di trovarsi prigioniero dei Turchi nell'eventualità - peraltro destinata di lì a poco a verificarsi - di un nuovo conflitto tra la Repubblica e l'Impero ottomano); e cosi, il 14 luglio, non ebbe modo di sottrarsi ad una rinnovata designazione alla sede romana, sia pure accompagnata, qualche mese dopo (30 marzo 1713), dal tenue conforto dell'elezione a savio del Consiglio, con diritto di riserva del posto.
Il D. giunse a Roma il 3 giugno 1713, dopo aver acceso un livello passivo di 10.000 ducati con il cavaliere Giovanni Michiel; qui, oltre alle solite annose questioni che formavano oggetto di contrasto fra le due corti (come l'irriducibile avversione dei sudditi greci ortodossi ad accettare la liturgia di rito latino; l'intenso contrabbando di sale e olio che avveniva attraverso la sacca di Goro; i tentativi pontifici di bonificare il Ferrarese immettendo nel Po le acque del Reno, con prevedibili negative conseguenze per il Polesine veneziano), il D. dovette occuparsi della vertenza che opponeva la Repubblica alla corte di Parigi ed alla S. Sede a motivo del cardinale P. Ottoboni, veneziano, ma caduto in disgrazia presso i concittadini per aver accettato un importante beneficio dalla Corona francese, in palese violazione delle leggi dello Stato, ed ancora - ma soprattutto - sollecitare al pontefice quegli aiuti militari e finanziari che potevano consentire alla Serenissima di sostenere la guerra contro il Turco per la difesa della Morea e, dopo la perdita di quest'ultima, di Corfù.
Non era un compito facile, quello del D., ed infatti per molti mesi i suoi sforzi ottennero risultati assai modesti, come l'emanazione da pane di Clemente XI, nell'ottobre del '15, di un indulto per quanti si fossero offerti di militare nell'armata veneta; più tardi, però, dopo lo sbarco turco a Corfù e l'invio, da parte veneziana, di un ambasciatore straordinario al pontefice, nella persona di Giovanni Francesco Morosini, al fine di procurarne la concreta adesione alla causa della Cristianità, la S. Sede mutò atteggiamento ed acconsenti ad inviare in Levante una squadra di quattro vascelli "presidiati d'abbondante numero di soldatesca, e d'ottimo equipaggio de marinari", ai quali, nell'estate del '16, si aggiunsero alcune navi portoghesi e maltesi.
La tenace difesa dell'isola, organizzata da J. M. Schulenburg, e la successiva vittoria degli Imperiali a Temesvár determinarono la sconfitta degli Ottomani, ma non per questo ebbe termine la permanenza romana del D., destinata a prolungarsi per ben sette anni, sino al maggio del 1720.
Cosi, nelle pieghe di un incarico ormai relativamente tranquillo, il D. trovò modo di procedere a tutta una serie di restauri a palazzo Venezia, di farsi accogliere tra gli arcadi col nome di Aclasto Eurotano e di ricevere dal papa, nel 1719, le insegne di cavaliere, unitamente ad "una ricca croce - cosi il Moroni - con entro parte del santo Legno della vera" ed alle reliquie di s. Faustina, che il D. avrebbe poi collocato nella chiesa di Monselice, giuspatronato della famiglia.
Dopo il rientro a Venezia, infatti, egli poté dedicarsi alla sua passione per l'architettura affidando ad Andrea Tirali il completamento del suggestivo complesso costituito dalle sette chiesette che, come una sorta di Via Crucis, portano alla scamozziana villa di Monselice.
Qui, dopo aver realizzato una "grotta artificiale" a ricordo del soggiorno nel luogo di s. Francesco Saverio, che si voleva avvenuto nel 1557, il D. chiese a Roma di poter "erigere nella… chiesa di S. Giorgio una colleggiata, consistente in un abbate dignità principale et in sei canonici di iuspatronato…, quali siano tenuti alla residenza, obedientia et servitio di Dio", supplica che sarebbe poi stata esaudita da un breve di Benedetto XIII, nel giugno '27. In concomitanza con tali iniziative, il Tirali (il quale mori proprio in casa dei D., a Monselice, nel 1737) completava la villa.
In margine a questa attività - che costituisce uno degli aspetti maggiormente significativi della sua personalità - il D. continuò per molti anni, praticamente fino alla morte, l'esercizio della politica nell'ambito delle più prestigiose magistrature: divenne cosi consigliere ducale (1° ott. 1720-30 sett. '21), savio del Consiglio (1° ott. '21-31 marzo '22), provveditore sopra Ogli (18 apr. '22-17 apr. '24), savio all'Eresia (24 luglio '23-23 luglio '24), ancora savio del Consiglio per l'ultimo trimestre del '24, provveditore alle Artiglierie (18 genn. '25-17 genn. '26), revisore e regolatore delle Entrate pubbliche (7 maggio '26-7 apr. '27); quindi fu più volte savio alle Acque (nel '27, '32, '35-'36 e '38) e ancora provveditore sopra i Beni inculti (1729 e '34), deputato al Commercio ('30-'31), provveditore alle Fortezze (1731), savio all'Eresia ('32-'33), sopraprovveditore alle Biave (1737), savio esecutore contro la Bestemmia ('38-'39) e scansadore delle Spese superflue, dal 6 maggio '41 al giorno in cui mori, ultraottantacinquenne, a Venezia, il 26 maggio 1742.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Misc. codd., I, Storia veneta 19: M. Barbaro-A. M. Tasca, Arbori de'patritii…, III, p. 388 (ma la data di morte è collocata erroneamente al gennaio 1749); Ibid., Avogaria di Comun. Libro d'oro nascite. Schedario 170, sub voce; Ibid., Avogaria di Comun, b. 159/2: Necrologi di nobili, ad diem; Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl. VII, cod. 16 (= 8305): G. A. Cappellari Vivaro, Il Campidoglio veneto…, II, c. 48v; per la carriera politica, Arch. di Stato di Venezia, Segretario alle Voci. Elezioni del Maggior Consiglio, reg. 23, cc. 10, 29, 53; reg. 24, cc. 23, 52; reg. 25, cc. 135, 218; reg. 26, c. 3; Segretario alle Voci. Elezioni dei Pregadi, reg. 19, c. 133; reg. 20, c. 27; reg. 21, cc. 9, 40, 48 s., 52, 58, 62, 70, 82 s., 86, 90, 94, 121, 151, 175 s.; reg. 22, cc. 25, 43, 56, 60, 64, 67 s., 70, 73, 80, 83 s., 94, 97, 100, 105, 130 s.; reg. 23, cc. 67, 110; Ibid., Miscellanea codici. Elezioni del Consiglio dei dieci, reg. 67, sub 30 apr. 1725, 8 giugno '25, 11 ag. '27, 30apr. 131; Ibid., Senato., Dispacci ambasciatori Roma, ff. 228-231, 233-237; Ibid., Senato. Roma expulsis papalistis, f. 10; Ibid., Savi ed esecutori alle Acque, b. 559: Collegio delle Acque, cc. 24v, 25v; componimenti poetici in onore del D., e notizie concernenti la sua amministrazione patrimoniale, in Venezia, Bibl. del Civico Museo Correr, Mss. P. D. C 763/19,40; Mss. P. D. C 2528/9; Mss. P. D. C 2151/149; Mss. P. D. 274 C/XI; Ibid., Cod. Cicogna 3283/45. Cfr. inoltre: Relazioni di ambasciatori sabaudi, genovesi e veneti (1693-1713), a cura di C. Morandi, Bologna 1935, p. 250; Relazione dell'ingresso in Roma e della pubblica udienza avuta dall'ambasciatore veneto N. D. 12 ag. 1714, Roma 1714; P. L. Galletti, Inscriptiones Venetae infimi aevi Romae extantes…, Romae 1757, pp. LXXVI s.; B. Cognolato, Saggio di memorie della terra di Monselice…, Padova 1794, pp. 61 ss.; E. A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane…, V, Venezia 1842, pp. 131 s.; L. Puppi-L. Olivato, Scamozziana. Progetti per la "via romana" di Monselice e alcune altre novità grafiche con qualche quesito, in Antichità viva, XIII (1974), 4, pp. 64, 75; B. Dooley, The "Giornale de' letterati d'Italia" (1710-40): journalism and "modern" culture in the early Eighteenth Century Veneto, in Studi veneziani, n. s., VI (1982), pp. 266-269; G. Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica…, IX, p. 166; XI, pp. 13 s.; L, p. 225; XCII, pp. 573 s.
G. Gullino