MONTEFELTRO, Nicolo di
MONTEFELTRO, Nicolò di. – Figlio di Contuccio di Speranza di Feltrano di Montefeltrano, nacque forse a Urbino verso il 1319.
Un suo omonimo, morto nel 1348, figlio naturale di Federico e da non confondere con lui (come invece avviene in Litta e in Ugolini, 1859), è ricordato per avere conquistato la rocca di San Leo nel 1338 con una memorabile scalata della rupe.
Sebbene il governo dei domini e la gestione dei possessi familiari fossero ancora parzialmente impostati secondo una struttura di tipo consortile, tanto che tutti i membri del lignaggio portavano il titolo di conte di Urbino, Nicolò apparteneva a un ramo secondario dei Montefeltro e non partecipò direttamente al governo dello Stato, essendo stato esiliato dal conte Nolfo insieme con i parenti più stretti e con il nonno Speranza, dopo che questi aveva tentato di impossessarsi di Urbino nel 1334.
Nicolò fu noto come abile condottiero. Militò prima al servizio dei Tarlati e dei Malatesta, poi fu mandato nel 1347 da Galeotto Malatesta come suo rappresentante a Osimo per concertare la guerra contro Nolfo di Montefeltro e i suoi fratelli. Nel 1348 fu probabilmente nel Meridione d’Italia con il re Luigi d’Ungheria e nel 1351 era assoldato nell’esercito pontificio, nel Patrimonio di S. Pietro in Tuscia, contro i Visconti. Nel 1353-54 partecipò alla campagna del cardinale Egidio de Albornoz contro i prefetti di Vico come comandante perugino, contribuendo alla presa di Viterbo il 24 luglio 1354, e infine si distinse nella conquista di Fermo nel giugno 1355.
La riammissione del ramo principale del lignaggio nelle grazie del legato e del pontefice condusse di riflesso Nicolò, che nei patti stipulati il 26 luglio 1355 tra i suoi congiunti e il cardinale Albornoz si trovava esplicitamente annoverato, insieme con lo zio Angelo e il fratello Galeotto, fra coloro che non sarebbero stati riammessi a Urbino, ad abbandonare l’esercito papale e ad arruolarsi nella compagnia di mercenari del conte Lando (Konrad von Landau) e in seguito, nel febbraio 1362, al servizio di Firenze con Nicolò Orsini.
Il 30 agosto 1362, insieme con Ugolino de’ Sabatini di Bologna e a Marcolfo de’ Rossi di Rimini, si mise alla testa della compagnia del Cappelletto, formata da una grande banda di soldati ammutinatisi al Comune di Firenze perché non avevano ricevuto il premio che richiedevano dopo avere conquistato Peccioli.
L’esercito, una delle più famose tra le grandi compagnie del XIV secolo, che si chiamò anche Societas Italicorum e rimase in attività per tre anni, trasse il proprio nome di compagnia del Cappelletto dal modo in cui fu costituita, come reazione al diniego dei priori di dare ai soldati la paga doppia e il salario di un mese. Matteo Villani (Cronica…, ed. 1995) narra il fatto così: «Furiosamente il detto conte Niccolò, Ugolino, e Marcolfo puosono un cappello in su una lancia, dicendo che.cchi voleva paga doppia e mese compiuto si mettesse sotto il detto segno fatto, i quali in poca d’ora si ricolsono il detto conte Niccolò, Ugolino e Marcolfo co.lloro brigate, e molti caporali tedeschi e borgognoni, tanti che passarono i mille uomini da.ccavallo» (lib. XI, 23).
Congedati dal servizio a Firenze, i mercenari, anziché sbandarsi, si radunarono nell’Aretino e da lì scesero nel Patrimonio di S. Pietro. Poiché la compagnia si dava al saccheggio e alla distruzione dei contadi, la regina Giovanna I d’Angiò, il cardinale Albornoz e la città di Siena tentarono di assoldarla, ma nella primavera del 1363 essa tornò agli ordini del Comune fiorentino e nell’estate fu impiegata in Maremma contro Siena, indi fu chiamata contro Pisa. Mentre l’esercito era in marcia verso nord, il 6 ottobre i senesi, comandati da Francesco Orsini, attaccarono di sorpresa tra Torrita e Foiano della Chiana e presero molti prigionieri, tra i quali anche Nicolò: la vittoria senese fu immortalata da Lippo Vanni nell’affresco La battaglia della Val di Chiana, nella sala del Mappamondo del palazzo pubblico di Siena. Nicolò fu liberato alla fine del mese, dopo aver stipulato accordi con Siena e dopo aver fatto restituire il castello di Campagnatico dietro compenso. Si portò in Umbria per raggiungere il grosso della compagnia, con la quale furono riprese le devastazioni intorno a Todi, ma fu catturato dai tuderti. Tornato a Siena, il 19 marzo 1364 furono stipulati nuovi accordi: i capi della compagnia giurarono di essere in perpetuo amici e servitori del Comune e consegnarono quattro ostaggi a garanzia; tra questi, un figlio di Nicolò, di nome Chierico o Quirico. La compagnia scese nel Patrimonio e riprese la sua pratica di saccheggi e rapine, ma non trovando impieghi si ridusse notevolmente di organico, fino a sciogliersi durante l’estate del 1365.
Nicolò con i suoi fedeli, tra i quali molti provenienti dai territori dominati dai Montefeltro, si integrò nella compagnia di Giovanni Acuto (John Hawkwood), che a sua volta si unì con la compagnia di S. Giorgio guidata da Ambrogio Visconti (1365-66). Essendo stata catturata una formazione di cavalleria da parte di truppe pontificie, Nicolò fu inviato ai rappresentanti dell’Albornoz per trattare la restituzione dei prigionieri, in cambio della quale la compagnia inglese giurò di abbandonare entro sei giorni i territori della Chiesa (29 ottobre 1366). Il 17 febbraio 1367 Nicolò entrò nuovamente al servizio del papato, con il grado di capitano generale della Chiesa, con un compenso di 100 fiorini al mese e una scorta personale di 40 barbute e 20 pavesati. Con tale alto incarico poté rientrare finalmente a Urbino, dove per appianare la faida ultradecennale che lo contrapponeva al ramo principale della famiglia, egli, rispettando il volere del cardinale Albornoz, morto nel frattempo, e ottenuta da Urbano V la dispensa (4 gennaio 1368) per il grado di parentela troppo vicino, sposò Agnese figlia di Feltrano.
Morì poco tempo dopo (e comunque prima del 1374), costituendo suo erede universale Gómez de Albornoz, nipote del cardinale e signore di Ascoli. Tale lascito informa indirettamente di quanto forte fosse il vincolo di Nicolò con il cardinale legato.
Fonti e Bibl.: A. Theiner, Codex diplomaticus dominii temporalis S. Sedis, II, Romae 1862, pp. 265, 371; M. Rossi, I Montefeltro nel periodo feudale della loro signoria (1181-1375), Urbania 1957, nn. 35-36; L. Michelini Tocci, I due manoscritti urbinati dei privilegi dei Montefeltro, con una appendice lauranesca, in La Bibliofilia, LX (1958), p. 245 nn. 5, 6; G. Franceschini, Documenti e regesti per servire alla storia dello Stato d’Urbino e dei conti di Montefeltro (1202-1375), Urbino 1982, nn. 174, 187-189, 193, 210, 215, 225; M. Villani, Cronica, con la continuazione di Filippo Villani, a cura di G. Porta, Parma 1995, lib. XI, 23, pp. 620-622; F. Villani, Cronica, ibid., lib. XI, 71, pp. 681 s.; Annales Caesenates, a cura di E. Angiolini, Roma 2003, p. 179; F. Ugolini, Storia dei conti e duchi d’Urbino, Firenze 1859, I, p. 129; G. Franceschini, La prima compagnia di ventura italiana (la compagnia del Cappelletto e il conte N. da M.), in Bullettino senese di storia patria, XLVIII (1941), pp. 140-156, 231-246, 265-279, poi in Id., Saggi di storia montefeltresca e urbinate, Selci Umbro 1957, pp. 37-67; Id., I Montefeltro nei primi due secoli della loro storia (1150-1350), Sansepolcro 1963, pp. 130-136; Id., I Montefeltro, Varese 1970, pp. 275-286; A.K. Isaacs, Condottieri, Stati e territori nell’Italia centrale, in Federico da Montefeltro, I, Lo Stato, a cura di G. Cerboni Baiardi - G. Chittolini - P. Floriani, Roma 1986, p. 35; P. Litta, Famiglie celebri italiane, s.v. Conti del Montefeltro, duchi di Urbino, tav. II.