DEL TORSO, Nicolo
Nacque ad Udine intorno al 1360 da Giovanni - detto "ser Zanni" - del Torso (o del Borgo) e da Caterussia de Ottacini. Di famiglia resa nobile da un privilegio imperiale nel 1365, il 21 apr. 1368 il D. fu destinato con altri fanciulli a servire "et a dare loro la mano" le dame del seguito dell'imperatore Carlo IV di passaggio per Udine. Nulla sappiamo in seguito di lui fino al 30 maggio 1391, quando il fratello Iacopino lo condusse con sé a Roma allorché fu destinato, ambasciatore di Udine, presso papa Bonifacio IX per implorare provvedimenti contro il malgoverno del patriarca di Aquileia Giovanni III Sobieslav.
Il nome del D. appare in questi anni talvolta in documenti notarili udinesi (ad es., il 14 dic. 1400 vendette alcune case per conto di Iacopino), mai per quello che riguarda cariche pubbliche, il che fa supporre che il fratello, ora impegnato nella carriera ecclesiastica e residente stabilmente nella Curia romana, lo tenesse con sé. Infatti fu un altro fratello, Nicolussio, e non il D., a partecipare ad ambascerie udinesi ad Aquileia nel 1391 e nel '93.
Nel 1402 il D. ricorse a Roma al giudizio del papa in difesa di lacopino, privato dal patriarca aquileiense Antonio Panciera di ogni beneficio ecclesiastico posseduto in patria; il 15 marzo 1403 fu dallo stesso fratello nominato procuratore per le cause e affari privati che lo riguardassero in Udine. L'ormai stabile presenza del D. nella sua città è tra l'altro attestata dal suo ingresso, il 28 sett. 1404, nel Consiglio, di cui fece poi parte, con regolare conferma annuale, fino alla morte.
Il 29 novembre 1407 una ducale del doge Michele Steno lo fece cittadino de intus della Serenissima alla sola condizione di non commerciare nel fondaco dei Tedeschi. Venezia tentava di attirare a sé i maggiorenti friulani; che un tale privilegio riguardasse tra i primi il D. prova la sua rilevante posizione nell'ambito della Patria del Friuli (il beneficio era esteso anche ai suoi legittimi discendenti).
Da Venezia il D. ottenne, il 16 luglio 1408, un passaporto per raggiungere a Lucca lacopino, creato cardinale nel maggio precedente. Spostatosi quindi a Siena al seguito di papa Gregorio XII, ottenne dalla Repubblica fiorentina un salvacondotto di tre mesi per poterne attraversare il territorio.
Il 29 maggio 1409 il Consiglio impose, al D. come ad altri cittadini, di ritirarsi da Cividale dove Gregorio XII aveva indetto un conciliol tornato in patria in occasione di questo evento, Iacopino, con atti del 30 agosto e 9 sett. 1409, rinunciò ai beni pervenutigli dall'ereffità paterna e materna con l'obbligo di far erigere nella collegiata di Udine un altare ai Ss. Giacomo e Nicolò dotato di una rendita tale da far celebrare una messa cantata ogni mese e li donò quindi al D. e all'altro fratello Nicolussio, a patto che la sostanza rimanesse indivisa. Il 9 dic. 1411 il D. fu eletto - a capo del quinterio di Porta Gemona con la responsabilità del controllo sugli accessi in città; il 26 seguente fu eletto nei Dieci deputati a capo del Comune, carica che ricopri ancora con elezioni del 7 dic. 1412, 3 ott. 1418 e 1º ott. 1419.
Nel novembre 1411 l'imperatore Sigismondo, in lotta con i Veneziani per il possesso di Zara, invase il Friuli. Fino alla prima tregua del 1413, il D. fu continuamente impiegato dal Consiglio cittadino in missioni diplomatiche. Fu oratore di Udine al Parlamento friulano nel febbraio 1412; ambasciatore presso il conte di Ortenburg, vicario imperiale, il 19 aprile e nel novembre dello stesso anno fu mandato a Gorizia a conferire con il generale di Sigismondo, Pippo Spano. Il 28 febbr. 1413 fu ambasciatore a Trieste; il 10 marzo rappresentò ancora Udine nel Parlamento riunitosi in San Daniele; il 22 marzo richiese a Sigismondo il libero godimento da parte di Udine dei beni dei ribelli filoveneziani (in primis di quelli di Tristano Savorgnan). Il 17 luglio dello stesso anno respinse l'invito dei provveditori veneziani a Treviso e Ceneda di comporre il dissidio col Savorgnan. Il 23 novembre chiese a Filippo Maria Visconti un passaporto di validità annuale per recarsi di nuovo dall'imperatore che si trovava in Lombardia: il Visconti lo ricordò nell'atto come "caro al di lui padre".
Moriva frattanto (agosto-settembre 1414), a Rimini, Iacopino, che aveva chiesto ai fratelli, nelle ultime volontà, di trasportare il suo corpo ad Udine qualora ne fosse morto lontano; ma il D. e Nicolussio non ottemperarono a tale disposizione.
L'8 giugno 144 il D. si recò dal patriarca per ottenere la scarcerazione di alcuni concittadini; il 2 febbr. 1415 ancora al patriarca chiese il divieto di esportazione di biade fuori della provincia nonché di artiglierie, di vettovaglie e di tutto ciò che servisse per difendere la città dall'imminente attacco del Savorgnan e dei Veneziani. Nello stesso anno trattò con il Comune di Cividale per scongiurarne l'adesione al fronte nemico. Il 5 maggio informò il primate d'Aquileia del pericolo di un attacco turco, e di fronte allo stesso il 26 luglio ribadì la fedeltà udinese a lui e all'imperatore, esortandolo ad allontanare dal Friuli alcuni pericolosi ribelli: essendo stati questi invece accolti da Cividale, il D. si recò colà il 13 ottobre per ammonire quel Comune. Capitano del quinterio di Borgo Gemona il 24 febbr. 1416, l'anno successivo, il 16 marzo, il Consiglio lo elesse, con altri cittadini, ambasciatore della Comunità al concilio di Costanza: scopo non segreto della missione era quello di denunciare le insidie continuamente recate alla città da Venezia e dal Savorgnan. Il D. non andò però a Costanza, rifiutando l'incarico nella seduta del 6 luglio 1417 a causa di malattia.
Il 29 settembre fu eletto cameraro del Comune e due giorni dopo fu nominato ufficiale di Balia col compito di vegliare sui crimini contro la città e le sue istituzioni. Scadeva intanto la tregua quinquennale assicurata dal trattato del 1413 e il 22 apr. 1418 il D. si recò a Venezia per questioni riguardanti la presa in ostaggio del castello di Sacile; il 10 agosto andò a Pforzheim a chiedere aiuto all'imperatore. Il 29 settembre fu nominato giudice del Comune.
Dopo che Venezia ebbe invaso il Friuli il D., ambasciatore presso le Comunità di Venzone, Gemona e Tolmezzo, nel febbraio 109 dichiarò la disponibilità udinese alla pace con Venezia purché questa non consentisse il rientro in città dei Savorgnan. Per lo stesso motivo si recò il 3aprile a trattare direttamente con i Consigli della Serenissima, peraltro senza risultato. Udine era però vicina all'inevitabile sottomissione: per contrattarla alle migliori condizioni, il 25 apr. 1420, il Consiglio mandò nuovamente il D., accompagnato da un rappresentante dei patriarca, a Venezia; egli partecipò poi a due altre ambascerie in quella città l'8 e il 22 maggio successivi. Il 4 giugno 1420il D. e altri udinesi si recarono al campo veneziano presso il provveditore Marco Bragadin e il generale Filippo Arcelli per offrire e trattare la resa, ma furono consigliati di recarsi a Venezia non senza aver lasciato nel campo qualche ostaggio. Per alcuni il D. fu tra gli ostaggi, per altri si recò a Venezia, per altri ancora fu ostaggio in quella città mentre altri rappresentanti udinesi presentavano la sottomissione cittadina al Senato veneziano; il giorno 6 giugno i Veneziani, e Tristano Savorgnan, entrarono in Udine.
Il D. fu eletto nuovamente cameraro del Comune, ma lasciato l'ufficio senza giustificazione fu condannato alla multa di 1.000 lire venete. Indispettito rinunciò ad ogni nuovo incarico pubblico e ricorse al luogotenente veneziano per ottenere la restituzione di 60ducati d'oro da lui prestati al Comune nel 1417.
Sposato con Elena Formentini, ebbe quattro figli maschi, Giacomino, Leonardo, Gregorio e Giovan Pietro, e due femmine, Lucia e Giacoma. Nel testamento dettato il 3 nov. 1429, poco prima di morire, lasciò eredi i primi, dotò le seconde, e chiese di essere sepolto nella tomba di famiglia in S. Pietro Martire.
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