DE RIN, Nicolò
Nacque a Capodistria il 4 ag. 1814 da Bartolomeo, impiegato e piccolo possidente, e da Vittoria Cociancich, già vedova di un altro De Rin. Perso a dieci anni il padre, fu educato dalla madre, la quale con duri sacrifici poté mantenerlo agli studi: compiuti negli anni 1824-30 gli studi ginnasiali a Capodistria, frequentò il liceo a Gorizia. Nell'autunno del 1832 si iscrisse alla facoltà giuridica dell'università di Padova donde, per desiderio dei parenti, passò l'anno dopo a quella di Graz; ma non riuscendo ad ambientarvisi, ritornò a Padova dove si laureò nel 1836.
Nello stesso anno si trasferì con la madre a Trieste, per compiervi la pratica legale; entrato nello studio di D. Rossetti, il più illustre avvocato della città, nel '42, alla di lui morte, fu accolto dall'avv. G. C. Platner. Nello stesso anno il presidente del tribunale P. Zajotti l'assunse quale insegnante privato di diritto di suo figlio; frequentando la casa, il D. s'innamorò d'una delle sue figlie, Eloisa, che sposò il 6 ag. 1845. Nel 1848 ebbe infine dal governo la nomina d'avvocato e poté assumere in proprio lo studio che era stato di F. Bressan, cognato del poeta P. Besenghi.
Alla promessa di concessione della costituzione, il Consiglio municipale di Trieste, di nomina governativa, spontaneamente si sciolse il 22 marzo 1848, e due giorni dopo il governatore del Litorale indisse le elezioni per una commissione municipale provvisoria, che sarebbe stata presieduta da Muzio de Tommasini preside del Magistrato civico. Il D. fu tra i diciotto eletti (6 aprile), in maggioranza uomini d'affari austrofili e cosmopoliti, affiancato da un altro avvocato capodistriano di spirito liberale, G. Baseggio.
I due si batterono in varie occasioni perché tutte le scuole elementari triestine fossero italiane e perché venisse istituito un ginnasio statale di lingua italiana. Anzi il D. propose alla commissione, che l'approvò all'unanimità (6 novembre), di chiedere al governo l'istituzione a Trieste d'una facoltà politico-legale in lingua italiana, in via provvisoria, dato lo stato di guerra nel Lombardo-Veneto, ma nell'intento di preparare la via alla costituzione d'una completa università triestina. Il governo prese tempo e poi rispose negativamente, sia riguardo alle scuole pubbliche italiane sia riguardo all'università (dicembre). Poco prima (13 novembre), la commissione su proposta del D. aveva respinto l'ordine governativo d'eleggere un deputato alla Costituente germanica di Francoforte, in quanto Trieste era città italiana che nulla aveva in comune con la Confederazione.
Indette regolari elezioni per il Consiglio municipale (agosto 1848), la commissione eseguì un'inchiesta, di cui il D. fu relatore (dicembre) sui brogli operati per far riuscire i candidati conservatori. Le tendenze prevalentemente remissive del Consiglio e l'atmosfera controrivoluzionaria ridussero l'attività del D., che pure vi era stato eletto; per di più egli perse, con suo grande dolore, la madre.
Il Consiglio fu sciolto nel 1849, e Trieste ebbe il 12 apr. 1850 un nuovo statuto che le ridava caratteri autonomi di città-provincia e conferiva al suo Consiglio ufficio e potere dietali. Eletto a suffragio ristrettissimo il secondo Consiglio (settembre), vi prevalsero gli elementi conservatori ma tuttavia dal IV corpo (media e piccola borghesia) uscirono undici candidati liberali, il D. fra i primi.
Era considerato, con il Baseggio, il centro del partito italiano nel Consiglio; di lui si legge in un rapporto di polizia: "Nel '48 emersero chiaramente le sue simpatie per l'indipendenza italiana. Carattere calmo ma deciso e, prescindendo dai suoi sentimenti politici, degno di rispetto per il suo talento e per la sua onestà" (G. Stefani, pp. 232-233).
Il D. non volle far parte della delegazione comunale (o giunta), ma partecipò intensamente alla lunga vita del Consiglio, che durò fino al 1861. Restò famosa la sua mozione, in contrasto con quella ministeriale, di completare il ginnasio tedeschizzandolo: la decisione sulla lingua d'insegnamento era riservata al Consiglio e non al ministero, cui spettava solo l'attuazione delle decisioni comunali. La discussione che ne seguì, toccando una questione di principio, divise a lungo i consiglieri. Il 18 febbr. 1851 la proposta del D. venne respinta, e così pure quella di R. Bazzoni per l'insegnamento in lingua italiana, ma cadde anche la proposta dell'insegnamento esclusivamente in tedesco. Il governo peraltro non tenne conto del parere del Consiglio per un insegnamento misto e istitui il liceo-ginnasio governativo tutto tedesco, eccetto alcune discipline nelle prime classi (1852). In un'altra occasione si ebbe un voto politico, quando il 4 maggio 1859 il podestà Tommasini sollecitò un indirizzo d'omaggio e di fedeltà all'imperatore allo scoppio della guerra: dissentirono dalla grande maggioranza il D. e N. Bottacin.
Dopo la sconfitta del 1859 l'Austria rinunciò all'assolutismo per costituzionalizzarsi. A Trieste, da dove era partito per il Congresso europeo un memoriale che chiedeva un'amministrazione rappresentativa e nazionale, fu eletto nel novembre 1860 un nuovo Consiglio comunale a maggioranza liberale; mancava il D., deciso a dedicarsi alla famiglia e alla professione. Peraltro il Consiglio, con un voto senza precedenti, lo nominò cittadino onorario (12 luglio 1862) per la "tanta affezione nei pubblici muneri da oltre un decennio spontaneamente assunti e zelantemente sostenuti con manifesto pubblico vantaggio". L'atto acquistava maggior valore, in quanto allora il D. difendeva in tribunale A. Antonaz e don P. Tedeschi de Il Tempo, accusati di perturbazione della tranquillità pubblica, sedizione, e offesa alla religione. Il D. sostenne l'illegittimità costituzionale dell'accusa e ottenne un mite verdetto di condanna.
Alle elezioni del 1862 i liberali unitari di Trieste, guidati dall'avv. A. Hortis, ottennero una vittoriosa affermazione. Mancata la sanzione imperiale all'elezione a podestà di S. de Conti e di G. Baseggio, e rifiutando la candidatura il D., fu fatto podestà il moderato C. de Porenta. Il consigliere D., considerato "di sentimenti italiani e nemico del Governo", si mise nuovamente in luce nel gennaio 1865, determinando una presa di posizione antiaustriaca da parte del Consiglio.
In seguito all'incauta dichiarazione di A. La Marmora in Senato (30 novembre 1864), che nessuno "spingeva le sue pretese a Trieste, necessaria alla Germania", il Comitato nazionale segreto di Trieste, sostenuto dal deputato A. Molinari, aveva protestato affermando che gli interessi stranieri non potevano "servire all'Italia di criterio per fissare i propri confini naturali" (dicembre). Il podestà de Porenta, accordatosi col luogotenente, volle che il Consiglio municipale (16 genn. '65) dichiarasse che la protesta del Comitato "era contraria ai sentimenti della città di Trieste" (F. Salata, Il diritto dell'Italia su Trieste e l'Istria, Torino 1915, p. 407). Prese la parola il D. per dire che l'argomento non era di competenza del Consiglio e che erano inutili le manifestazioni di lealismo; a lui si associò R. Costantini con la maggior parte dei consiglieri e la proposta del podestà cadde, tra gli applausi del pubblico.
L'atteggiamento antiaustriaco della maggioranza suscitò larga eco in Italia, cosicché il Consiglio fu sciolto d'autorità (21 gennaio). Nel novembre le nuove elezioni, tenutesi in un clima teso) diedero una lieve maggioranza al governativi, ma il D. fu rieletto. Poco prima della guerra del 1866, bandito da Trieste con la moglie, si rifugiò in Italia ed ebbe parte di consigliere del Comitato triestino-istriano a Milano. Qui assisté fino alla morte l'amico A. Gazzoletti, patriota e scrittore trentino. Poté poi far ritorno a Trieste, dove nel marzo 1867 salutò pubblicamente il primo console generale italiano, G. D. Bruno. Scaduto il triennio del suo mandato (1868), non volle più presentarsi candidato al Consiglio, pur continuando a svolgere attività politica nella Società del progresso. Ancora nel febbraio del 1871 ebbe l'incarico di stendere un indirizzo patriottico, accompagnando le offerte raccolte a Trieste per le vittime dell'inondazione di Roma, da poco riunita all'Italia.
Il D. morì il 7 ott. 1871 a Trieste; ai solenni funerali parlò di lui il genero avv. A. Vidacovich, che per questo venne processato.
Fonti e Bibl.: Necrol. in L'Osservatore triestino, 9 ott. 1871; Il Cittadino [Trieste], 21 ott. 1871; L'Alba [Trieste], 21 ott. 1871; Il Corriere israelitico [Trieste], 5 nov. 1871; A. Vidacovich, Avv. N. D., in La Provincia [Capodistria], 16 ott. 1872. Si vedano poi Processo del giornale "Il Tempo" di Trieste, Milano 1863; A. De' Bersa, Il Consiglio decennale, Trieste 1887, II, passim; G. Caprin, Tempi andati, Trieste 1891, pp. 409-12; G. Gratton, Il problema scolastico a Trieste e le origini della questione universitaria nel 1848, in La Venezia Giulia e la Dalmazia nella rivoluzione nazionale del 1848-1849, Udine 1949, II, pp. 105 s.; G. Stefani, Documenti ed appunti sul Quarantotto triestino, ibid., I, pp. 232 s.; G. Quarantotti, N. D. nel movimento risorgimentale a Trieste, in Atti e mem. della Soc. istr. di archeol. e st. patria, n. s., II (1952), pp. 116-49 (con bibliografia e inediti); G. Stefani, Il problema dell'Adriatico nelle guerre del Risorgimento, Udine 1965, pp. 42-53; G. Valdevit, Chiesa e lotte nazionali: il caso di Trieste (1850-1919), Udine 1979, pp. 16 (dove è anche la notizia errata che il D. sia stato podestà), 59, 67.