DANDOLO, Nicolò
Secondogenito di Gerolamo di Francesco e di Andriana Priuli di Costantino, nacque a Venezia il 26 ag. 1512.
Il padre, che abitava a S. Fantin, apparteneva a famiglia non ricca, dedita da generazioni al servizio della Repubblica nella flotta o negli avamposti militari del Levante; il Priuli lo ricorda provveditore "al Zante" ed "alla Cefalonia", e poi "senatore integerrimo".
La carriera politica del D. si sviluppò nel solco di questa tradizione: dopo aver esercitato la Quarantia civile, il 28 ott. 1540 fu eletto provveditore e castellano a Cerigo, nell'Egeo, e il 22 marzo '45 entrò a far parte della Quarantia criminale; verso la fine dell'anno, il 23 e 24 novembre, partecipò alla prima fase delle votazioni che portarono all'elezione del doge Francesco Donà.
Gli anni che seguirono lo videro imbarcato nella flotta dove alternò incarichi di carattere militare ad altri che prevedevano, invece, compiti tipicamente commerciali: da sopracomito passò così a capitano delle galere di Beirut, unica superstite delle tante mude di un tempo, e l'incarico, al quale venne eletto il 23 marzo 1550, testimonia il notevole prestigio che il D. si era in breve tempo acquisito. Lasciato al fratello Francesco (che nel 1544 aveva sposato Francesca Salomon di Nicolò, dalla quale ebbe Gerolamo e Andrea) il compito di provvedere alla continuità della famiglia, il D. ebbe modo di seguire la sua vocazione più autentica, che era quella di uomo di mare: eletto provveditore sopra Banchi il 3 marzo 1551, due mesi dopo accettava l'incarico di governatore di galera sottile, in occasione del riarmo che la Signoria aveva deciso per timore di aggressioni turche e il 20 dicembre di quello stesso anno diveniva governatore delle triremi dei condannati.
Ancora comandante di galera nel '53, il 24 febbr. 1557 era eletto al suo secondo rettorato, naturalmente in una località dello Stato da mar: Sebenico. Qui, nel corso di un anno e mezzo, le sue cure furono soprattutto rivolte alla manutenzione delle opere di difesa, la cui efficienza era resa indispensabile dalla continua minaccia turca: portò a termine il rifacimento della cinta muraria del castello, ricostruito ad opera del predecessore Giovanni Garzoni, assicurò i rifornimenti alle cinquanta galere che il Senato aveva stabilito di riarmare a titolo precauzionale; venuto meno, però, nell'autunno del '57, il pericolo di un imminente attacco degli Ottomani, poté dedicarsi anche alla repressione del contrabbando del sale, che veniva sottratto alle carovane dei Morlacchi provenienti dalla Croazia. Rientrato in patria, il 19 genn. 1560 era eletto ufficiale sopra le galere dei condannati e due mesi più tardi ancora governatore delle trenta galere di cui la Repubblica aveva deciso l'armamento; dopo aver trascorso l'estate sul mare, il 22 dicembre era nominato, infine, bailo e provveditore generale a Corfù, col compito di provvedere ai rifornimenti della flotta grossa e sottile.
Rimase nell'isola sino alla primavera del '63, sorvegliando le mosse delle navi ragusee e maltesi, principali concorrenti di quelle venete nel settore degli approvvigionamenti: così, dopo aver visto transitare 11 galere maltesi e toscane "armate benissimo..., ma nude totalmente di pane et d'ogni altra sorte di vettovaglia", il 16 ott. 1562 riferiva al Senato che a suo parere, nei mesi a venire, la vicina terraferma non avrebbe fornito ai veneziani "pur minimo granello di formento". La Repubblica pertanto, consapevole dell'importanza di non indebolire il dispositivo militare a guardia dell'Adriatico, inviò rifornimenti ed anche - con celerità davvero inconsueta, giacché non passò neppure un mese tra la richiesta e la deliberazione - i 7.000 ducati sollecitati dal D. per portare a termine il completamento del forte di San Sidro, per il quale aveva assicurato "che inanti il partir mio da questo luoco sarà del tutto serrato, e benissimo in ordine".
In riconoscimento dell'attività svolta, il 10 sett. 1563 entrava nel Senato e nei tre anni successivi fu puntualmente eletto in quella zonta, pur non rifiutando nuovi incarichi militari: il 16 luglio 1564 accettò infatti la nomina a governatore di galera, "per fugar le fuste de corsari che sono in questi giorni venute fin sopra Chioza", il 6 dic. '66 venne eletto provveditore al Collegio della milizia da mar.
Sappiamo dal suo testamento (12 giugno 1567) che in questi anni il D. risiedeva a S. Marcilian e non possedeva proprietà fondiarie: poiché non era sposato, lasciò i suoi beni ai nipoti ed alla sorella Cecilia, pregandola che volesse ricordarlo nelle sue devozioni alla Madonna, perché gli perdonasse le "tante offesse li ho fatto".
Nominato ancora senatore il 18 sett. '67, il 12 ottobre di quello stesso anno fallì per pochissimi voti l'elezione a luogotenente a Cipro e, qualche giorno dopo, quella a duca di Candia: incarichi entrambi prestigiosi, che lasciano intendere come il suo nome godesse ormai di ampia considerazione. E infatti, poiché l'eletto a Cipro, Agostino Barbarigo, optò per altro incarico, due mesi più tardi, il 15 dicembre, i voti del Maggior Consiglio si riversarono sul Dandolo. Giunse nell'isola - il più vasto e ricco possedimento veneziano del Levante - nell'estate del '68, e trascorse il rimanente di quell'anno e tutto quello successivo occupandosi di questioni di scarso rilievo, a mediare nelle incessanti dispute che opponevano il vescovo cattolico al protopapa ortodosso, ad esaminare i progetti di Giovanni Sozomeno, che riteneva di aver trovato il modo di conservare per diversi anni i grani riposti nell'imprendibile nuova fortezza di Nicosia, considerata una delle migliori del tempo, con undici baluardi, ognuno dei quali poteva contenere duemila fanti e quattro pezzi d'artiglieria. Stava quasi per approssimarsi la fine del suo mandato, quando la situazione bruscamente precipitò: a partire dalla primavera del '70 i dispacci che il D., suprema autorità dell'isola, inviò al Consiglio dei dieci furono tutti in cifra.
L'invasione ebbe inizio il 3 luglio.
Temperamento piuttosto duro che energico, capace di comandare come può farlo chi ha ottenuto il grado dopo aver imparato lui stesso ad ubbidire e a riconoscersi in regole precise, dotato di un'esperienza diretta degli uomini e delle cose del mare ma di limitata elasticità mentale, di scarsa intuizione e incline all'ira, il D. si trovò suo malgrado costretto a cimentarsi con avvenimenti e situazioni troppo superiori alle sue capacità. Questi, almeno, sono i giudizi che, sia pure con diverse sfumature, trovano concordi sul suo operato le fonti coeve: il Paruta ne accusa il "debole consiglio" e il "troppo timore", il Morosini la "desidia et torpore", il Doglioni lo "sdegno immoderato", che gli impedì di valutare serenamente le opinioni dei suoi collaboratori; più prudenti, semmai, gli storici più recenti, come il Romanin, che lo considera sì "poco adattato al grave incarico", ma che non manca di precisare come la mancata opposizione allo sbarco turco sia piuttosto da attribuire alla responsabilità del comandante generale delle truppe, Astorre Baglioni, che concentrò a Famagosta tutta la cavalleria, ed il Cessi, che parla di "eroica quanto vana resistenza agli ordini del luogotenente Nicolò Dandolo".
Appare certo che il D. abbandonò subito l'isola ai Turchi di Mustafà Pascià concentrando la difesa sul porto di Famagosta, affidato a Marcantonio Bragadin, e sulla munitissima Nicosia, dove si rinchiuse con trecento fanti italiani e ottomila stradioti, in attesa dell'arrivo della flotta veneziana, ancorata a Candia al comando di Girolamo Zane.
Né volle mai derogare a questa tattica, neppur quando, il 15 agosto, la coraggiosa sortita della fanteria condotta dal conte vicentino Cesare Piovene sembrò sul punto di rompere l'assedio di Nicosia, ormai strettamente accerchiata da ogni lato: in quel momento, un coraggioso appoggio della cavalleria avrebbe forse potuto risolvere la situazione, ma il D. - ricorda il Doglioni - "essendo alla porta per prohibir, che la nobiltà non uscisse, et havendovi scorti alcuni nobili, e tra questi Giovanni Faliero nobile Venetiano, i quali con le buffe abbassate de gli elmi per non esser scoperti, cercavano mescolatamente co' Stratioti fuor uscir alla pugna, tanto sdegno si prese, che nulla considerando al periglio de' fanti, che di fuor combattevano, né all'interesse publico, fè restare parimenti tutti quanti gli Stratioti: onde la fanteria, che havea aperta una gran porta alla vittoria, assalita dalla cavalleria Turchesca, né veggendo comparire il soccorso, fu costretta ad abbandonare la già cominciata impresa...".La città cadde, dopo quattordici giorni di assedio e numerosi attacchi dei Turchi, il 9 sett. 1570: nel massacro che seguì furono trucidati anche tutti i capi militari che si erano rinchiusi nel forte. La testa del D., infilzata sulla picca di un giannizzero, venne inviata a Marcantonio Bragadin, che con ben altro animo andava apprestando la difesa del porto di Famagosta.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Miscellanea Codd. I, St. veneta 19: M. Barbaro-A. M. Tasca, Arbori..., III, p. 184; Ibid., G. Giorno, Indice dei matrimoni patrizi per nome di donna, II, sub voce Priuli Andriana; Ibid., Sezione notarile. Testamenti, b. 12/187; Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl. VII, 16 (= 8305): G. A. Cappellari Vivaro, Il Campidoglio veneto, II, c. 6v; sulla carriera militare e politica: Arch. di Stato di Venezia, Segretario alle voci. Elez. Maggior consiglio, reg. 2, cc. 179v, 194r, 195v; Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl. VII, 821 (= 8900): Consegi, c. 311r; 822 (= 8901), cc.276r, 325r-326r; 823 (=8902), c.285r; 824 = 8903), cc. 6r, 14v, 46r, 58r; 825 (= 8904), cc. 81v, 303v, 314v, 366r; 826 (= 8905), cc. 173r, 225v, 241r, 311r; 827 (= 8906), cc. 36r, 52v, 98r, 106r, 108v, 115r, 326v; cfr. inoltre: Arch. di Stato di Venezia, Senato. Mar, reg. 33, cc. 157v, 190r (sul reggimento a Sebenico); Ibid., Senato. Mar, f. 27, dispaccio da Corfù del 16/10/1562; Ibid., Lettere di Rettori ai Capi del Consiglio dei dieci. Corfù, b. 292, n. 1; Cipro, b. 290, nn. 250-251, 256-265, 274-285. Una breve biografia del D., in Venezia, Bibl. del Civico Museo Correr, Cod. Cicogna 3781: G. Priuli, Pretiosi frutti…, cc. 234r-235r. Si veda ancora: G. P. Contarini, Historia delle cose successe dal principio della guerra mossa da Selim Ottomano a' Venetiani...,Venetia 1572, f. 10v; G. N. Doglioni, Historia venetiana…, Venetia 1598, pp. 807, 820, 822-25, 828, 831; P. Paruta, Dell'historia della guerra di Cipro, in Degl'istorici delle cose veneziane...,Venezia 1718, III, 2, pp. 91 s., 103 s., 109;A. Morosini, Historiarum Venetarum..., ibid., VI, pp. 302 s., 307 ss.,313, 319 s.; E. A. Cicogna, Delle Inscrizioni Veneziane, III,Venezia 1830, p. 134; S. Romanin, Storia documentata di Venezia, VI, Venezia 1857, pp. 290-97; P. Donazzolo, I viaggiatori veneti minori, Roma 1927, p. 126; R. Cessi, Storia della Repubblica di Venezia, Firenze 1981, p. 560; A. Loredan, I Dandolo, Varese 1983, pp. 328-31; Diz. biogr. degli Italiani, V, Roma 1963, p. 198.