CASTELLINO, Nicolò
Nato a Genova il 3 maggio 1893 da Pietro e da Giuseppina Macchiavello, ancora bambino si trasferì con la famiglia a Napoli, ove il padre era stato chiamato a dirigere la cattedra di clinica medica. Crebbe consapevole del prestigio paterno, che rappresentò per lui lo stimolo continuo alla ricerca del perfezionamento. Iscrittosi alla facoltà di medicina e chirurgia dell’università di Napoli nel 1910, fu allievo di celebri maestri, quali G. Galeotti, P. Malerba, A. Cardarelli, nei cui istituti, che frequentò come allievo e assistente, poté affinare la sua preparazione clinica e scientifica.
Scoppiata la prima guerra mondiale, nel 1915 il C. si arruolò volontario e venne inviato al fronte; poi, conseguita ormai la laurea, avendo vinto un concorso per ufficiale medico di marina, prese parte ad azioni di guerra su unità antisommergibili, e fu decorato al valore.
Tornato a Napoli, divenne assistente di L. Ferrannini nella clinica medica di quella università. Nel 1925 conseguì la docenza in patologia medica e nel 1928 quella in medicina del lavoro. In questo periodo diede alle stampe numerosi lavori, tra i quali meritano di essere ricordati: La nevrosi solare, Napoli 1925; La concezione nazionale della organizzazione del lavoro, ibid. 1927; Il lavoro nei porti, Milano 1931; Il cuore da sforzo, Roma 1932.
Nel 1927, chiamato il Ferrannini come clinico medico a Cagliari, il C. gli successe in quello che era il primo insegnamento di medicina del lavoro in Italia, dal 1927 al 1932 come professore incaricato, dal 1932 al 1935 come professore straordinario e dal 1935 sino alla morte come titolare ordinario. In questa attività organizzò l’ospedale “Gesù e Maria” come un grande e moderno istituto di medicina del lavoro: e diede vita a una proficua scuola dotata di ricco materiale clinico e didattico.
L’attività scientifica del C. spaziò nei vari rami della medicina del lavoro e le sue numerose pubblicazioni attestano un intento di orientare le finalità della disciplina nell’ambito delle necessità inerenti alla società del lavoro; dopo le ricerche sulle intossicazioni professionali (benzolismo, saturnismo, da tricloroetilene), sulle pneumoconiosi (silicosi) e sulla patologia da lavoro agricolo, indagò sui rapporti tra tecnopatie ed emopatie e tra tecnopatie ed enzimopatie (Il lavoro nella chimica industriale, Milano 1940). In seguito ad accurate ricerche, iniziate nel 1927, tracciò un quadro completo della patologia, della clinica e della prevenzione delle malattie dei lavori portuali (I lavoratori dei porti, Roma 1950).
Morì a Roma il 13 marzo del 1953.
Il C. svolse anche un ruolo di primo piano nella lotta politica napoletana tra il 1921 e il 1925, ripiegando, a partire dal 1927, sull’attività imprenditoriale e di pubblicista politico, con una spiccata tendenza a dare un taglio propagandistico anche alle sue ricerche e pubblicazioni scientifiche. Nonostante la precoce iniziazione massonica, presumibilmente suggerita e favorita dal padre, che in seno alla massoneria aveva raggiunto il vertice della scala gerarchica, dopo la prima guerra mondiale aveva militato nelle file del nazionalismo, vestendo la camicia azzurra delle squadre d’azione “Sempre pronti per la Patria e per il Re”, alla testa delle quali, con il grado di luogotenente generale, si era associato alla marcia su Roma. Decisa nel marzo del 1923 la fusione tra nazionalismo e fascismo, il C. si trovò a fronteggiare a Napoli l’ostilità a tale operazione di Aurelio Padovani e degli squadristi fascisti.
Tale, ostilità non esprimeva tanto un contrasto di linee politiche, quantunque il Padovani ostentasse un agnosticismo istituzionale colorito di tendenzialità repubblicana e i nazionalisti ribadissero la loro fedeltà all’istituto inonarchico e alla casa Savoia, quanto una lotta sorda tra elementi della piccola borghesia aspiranti, attraverso il controllo delle leve politiche, a migliorare la propria posizione economica e sociale, ed esponenti della borghesia media ed alta, che, attraverso la conservazione del potere politico, miravano a consolidare il privato patrimonio.
Il rango, cui il C. apparteneva, e per origine familiare e per contratte affinità, era molto elevato, essendo il padre, oltre che cattedratico di fama, anche grosso azionista di numerose società edilizie ed immobiliari, e avendo egli sposato, il 29 giugno del 1921, Bianca, figlia di Arnaldo Bruschettini, ordinario di diritto commerciale presso la facoltà di giurisprudenza dell’università di Napoli, azionista della Società anonima Acquedotto di Napoli e della Società dei tramways siciliani, ed essendo cognato di Sossio Pezzullo, appartenente a grossa famiglia di industriali della canapa di Frattamaggiore. Odiato dai fascisti napoletani a causa di questa sua cospicua posizione economica, egli fu costretto a prendere a Roma quella tessera fascista negatagli a Napoli (data di iscrizione 1° maggio 1923).
Estromesso il Padovani dalla direzione del fascismo napoletano nel maggio del ’23, nel quadro della politica mussoliniana di recupero al fascismo degli esponenti del mondo politico ed imprenditoriale prefascista, il C. fu nominato nel luglio 1923, dalla commissione incaricata di realizzare a Napoli la fusione tra nazionalisti e fascisti, membro del direttorio provinciale del Fascio napoletano. Dopo un periodo di gestione commissariale affidata all’industriale milanese Emesto Belloni, con Francesco Saverio Siniscalchi facente funzione di segretario politico, ai primi di maggio del ’24 il C. fu nominato federale’di Napoli, con al fianco, in veste di vicesegretario, Franz Turchi, altro fascista di origine nazionalista.
La nomina del C. a segretario della federazione fascista napoletana veniva a coronamento del disegno mussoliniano di completa intesa tra fascismo e personale politico e tecnico di estrazione conservatrice e liberaldemocratica, disegno già realizzato con pieno successo nella composizione della lista campana alle elezioni politiche del 6 apr. 1924. Il C., tuttavia, si trovò a operare in una situazione politica molto tesa, non solo per le ripercussioni a livello locale del delitto Matteotti, ma anche per una serie di scioperi, alcuni dei quali organizzati da sindacati fascisti, che erano riusciti a reclutare proseliti fra i dipendenti del terziario. Dopo gli incidenti del 17 ag. 1924, provocati da una contromanifestazione indetta dai fascisti contro una manifestazione antifascista, e nel corso dei quali si contarono tre morti, il C. fu costretto a intervenire più volte per riportare alla normalità situazioni di tensione volute dai fascisti contrari alla normalizzazione. Alla fine di novembre del ’24 riuscì a mettere fine ad uno sciopero dei dipendenti dell’Acquedotto, che si protraeva da lungo tempo ed aveva procurato gravi disagi alla popolazione, e il 4 genn. 1925 rivolse un invito alla calma agli squadristi radunati a Napoli con intenzioni minacciose. In polemica risposta i fascisti più riottosi organizzarono, il 23 marzo 1925, in occasione del sesto anniversario della fondazione dei Fasci di combattimento, una manifestazione di solidarietà col Padovani, costringendo il C. alle dimissioni, forse già attese da tempo e comunque subito accettate dal Farinacci.
Dopo la caduta in disgrazia del ras di Cremona e l’assunzione della segreteria nazionale da parte di Augusto Turati, anche a Napoli, federale Nicola Sansanelli, i fascisti moderati ripresero il sopravvento, e il C., che aveva continuato l’attività politica in qualità di ispettore e commissario fascista in diverse federazioni, nel 1927 ebbe la soddisfazione di essere nominato delegato straordinario della federazione napoletana dell’Opera nazionale maternità e infanzia, di vedere il padre presidente della sezione napoletana dell’Istituto fascista di cultura (e senatore mancato solo per sopraggiunta morte) e il suocero rettore dell’ateneo napoletano.
Intanto la passata milizia nazionalista lo aveva favorito in una operazione al tempo stesso imprenditoriale e politica. Dopo che un composito gruppo finanziario capeggiato dall’esponente nazionalista Enrico Corradini si fu impadronito, nei marzo 1926, del Giornale d’Italia, prima Arnaldo Bruschettini e poi lo stesso C. entrarono nel consiglio di amministrazione della società editrice del giornale, acquistando una rilevante quota del pacchetto azionario, grazie alla protezione loro accordata dal Corradini. Il C., a sua volta, della società editrice del giornale divenne prima consigliere delegato in sostituzione di Enzo Casalini promosso sottosegretario di Stato alle Finanze (12 luglio 1928), e poi presidente dopo la morte del Corradini (10 dic. 1931). È certo che anche grazie alla segnalazione di quest’ultimo presso Mussolini, il C. fu inserito nella lista dei candidati campani alla Camera dei deputati nelle elezioni plebiscitarie del 1929, confermato quindi in quelle del 1934.
Alla metà degli anni Trenta il C. alternò l’attività di deputato e di scienziato con quella di uomo d’affari, amministratore di società operanti in settori diversi e molteplici, che andavano dall’editoria (Giornale d’Italia, Nuova Antologia, Casa editrice Demetria), al traffico immobiliare (Società italiana per imprese fondiarie), al ramo assicurativo (Riunione adriatica di sicurtà) e agli stabilimenti termali (Terme di Agnano). Gli incarichi ricoperti in queste aziende gli consentirono, nel 1934, di entrare nella giunta esecutiva centrale della Confederazione generale fascista dell’industria italiana, quindi di assumere la presidenza della Federazione nazionale fascista editori di giornali ed agenzie di stampa (28 sett. 1934), infine di essere nominato membro della Corporazione della carta e della stampa in rappresentanza delle industrie editoriali giornalistiche (8 nov. 1934), e nel 1935 componente del consiglio ’direttivo dell’Ente nazionale per la cellulosa.
Non soltanto per la competenza acquisita come docente di medicina del lavoro, ma anche per la diretta esperienza imprenditoriale, fin dal 1927 fu ammesso nell’Ente nazionale per l’organizzazione scientifica del lavoro, il cui sistema di misurazione della capacità produttiva era basato su quelle che egli propose di chiamare “unità fasciste di lavoro”. Tali unità erano misurate non solo in rapporto “all’energia consumata, alla durata dell’operosità, alla velocità di esecuzione”, ma anche in connessione con altri coefficienti, quali “la costituzione individuale, l’età, il sesso e l’ambiente di lavoro” (N. Castellino, Razionalizzazione e razionalità, in Le Assicurazioni sociali, XII [1934], pp. 729-741).
Frattanto egli conduceva l’esistenza tranquilla dell’uomo cui aveva arriso il successo in Italia e all’estero, dove spesso si era recato in passato a far propaganda delle istituzioni assistenziali fasciste, stimato nelle alte sfere governative, quando un suo articolo sulla politica razziale della Germania hitIeriana rinfocolò contro di lui l’odio mai sopito dei fascisti della prima ora, il cui primitivo intransigentismo si era trasformato in acceso filonazismo.
Nella Nuova Antologia, 1° apr. 1937, pp., 247-260, era apparso un suo articolo sotto il titolo di Noi fascisti e la Germania, nel quale, pur apprezzando la politica antibolscevica del nazismo, non ne condivideva la concezione della razza, che anzi giudicava “socialmente pericolosa e scientificamente errata”, concludendo che la politica antiebraica, se era giustificabilc in Germania, non era concepibile in Italia, dove il problema ebraico “non esieste[va] e non p[oteva] esistere” dacché il fascismo aveva “tutto il popolo affratellato in una sola razza, senza distinzioni di casta e di religione”. Per quest’articolo il C. fu sottoposto a reiterati attacchi da parte di Giovanni Preziosi, che lo accusò di filoebraismo e di connivenza con gli ebrei suoi soci in affari nelle diverse società di cui era amministratore (La Vita italiana., XXV [1937], pp. 736-737; XXVI [1938] pp. 106 s., 237, 379).
Dopo l’introduzione in Italia delle leggi razziali il C. operò una parziale rettifica della sua posizione, sostenendo che un problema della preservazione della razza italiana esisteva, ma solo nei confronti delle popolazioni africane delle colonie, ogni contaminazione con le quali egli giudicava molta pericolosa, perché i meticci “nel campo politico vanno riguardati come dei turbolenti, nel campo biologico vanno compatiti come dei malati” (Il problema del meticciato, in La Nuova Antologia, 16 ott. 1938, pp. 367-395).
Dall’inizio del 1939 il C., con discrezione e gradualmente, cominciò a scemare il suo impegno propagandistico a favore delle scelte del regime fascista, con qualche parziale ripensamento solo dopo la vittoria italo-tedesca sulla Francia. Nell’agosto del 1939 aveva peraltro, venduto la sua quota azionaria del Giornale d’Italia alla Confagricoltura, mantenendo invece la sua partecipazione alla società anonima La Nuova Antologia, sulla quale scrisse un paio d’articoli alla soglia degli anni cinquanta. prima della morte.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio centrale dello Stato, Segret. partic. del Duce, busta 35, fascicolo sub voce; Ministero dell’interno, Direzione generale di P. S., Affari generali e riservati, 1924, busta 70, fasc. Napoli; 1925, busta 91, fasc. Napoli; Polizia politica (1927-1944), busta 95, fasc. Napoli-massoneria; Presidenza del consiglio dei ministri (1937-39), busta 71, fasc. 651. Per un quadro delle società di cui fu amministratore, vedi Biografia finanz. italiana. Guida degli amministr. e dei sindaci delle società per azioni, Roma, 1 ed. 1929, 2 ed. 1931, 3 ed. 1935, sub voce. Per la sua ascesa nella società editrice Il Giornale d’Italia, vedi A. Bacchiani, Il Giornale d’Italia, in Annuario della stampa ital. 1931-32, Bologna 1932, pp. 217 s. In tale Annuario si parla del C. anche nelle edizioni relative agli anni 1933-34 (pp. 274 e 623) e al 1937-38 (pp. 123 ss., 151, 519, 714). Per la sua attività di deputato nella XXVIII e XXIX legisl., vedi i corrispondenti Atti parlamentari, Camera dei Deputati, Attività parlamentare dei deputati, Indice alfabetico, sub voce. Per la sua collaborazione alla Nuova Antologia, vedi Indici per autori e per materie della Nuova Antologia dal 1931 al 1950, a cura di L. Giuliani, Roma 1955, sub voce; Indici per autori e per materie della Nuova Antol. dal 1951 al 1960, a cura di R. Campa, Roma 1967, sub voce. Cfr. inoltre R. De Felice, Storia degli ebrei ital. sotto il fascismo, Torino 1961, ad Indicem; R. Colapietra, Napoli tra dopoguerra e fascismo, Milano 1962, ad Indicem (con l’avvertenza che viene indicato con il nome di battesimo di Guido); G. De Antonellis, Napoli sotto il regime, Milano 1972, ad Indicem; A. Scirocco, Politica e amministr. a Napoli nella vita unitaria, Napoli 1972, pp. 197, 202, 205, 213; R. Faucci, Appunti sulle istituzioni econom. del tardo fascismo, 1935-1943, in Quaderni stor., X (1975), 29-30, p. 620; M. Fatica, Appunti per una storia di Napoli nell’età del fascismo, in Riv. di storia contemp., V (1976), pp. 394, 403. Del C. si parla anche sub voce nel Chi è?, Roma 1931, 1936, 1940 e 1948; in E. Savino, La Nazione operante, Novara 1937 (che fornisce le notizie più dettagliate sulla sua attività politica); in A. Codignola, L’Italia e gli Italiani d’oggi, Genova 1947. Per la sua attività in qualità di medico cfr. G. Colicchio-A. Silvestroni, Patologia profess. e prevenzione nei portuali con partic. riguardo ai lav. del porto di Napoli, Roma 1962, pp. 18 s. e passim. Necrol. in Atti del XIX Congr. nazionale della Soc. ital. di medic. del lavoro, Firenze 10-14 ott. 1953, Firenze 1954, pp. XXX-XLI; in Folia medica, XXXVI (1953), pp. 132-135; in La Riforma medica, LXVII (1953), pp. 365 s.; in La Medicina del lavoro, XLIV (1953), pp. 209 s.