CASTELLI, Nicolò
Nacque probabilmente a Lucca il 3 febbr. 1661. Scarsissime sono le notizie sulla sua giovinezza: dové dimorare in un primo tempo a Roma, e verso il 1680 si trasferì in Germania.
Nel 1691 pubblicava a Berlino una traduzione italiana delle Epistolae Mahometi II e alcuni componimenti latini encomiastici registrati nel catalogo della Biblioteca nazionale di Berlino (Paean epitalamius cum Fridericus Casimirus sibi iungeret Elisabetham Iosefiam, Berolini 1691; Emblemata in honorem Eleonorae Erdemuth Loysae, Margraviae Anspac, s.n.t.).
All’incirca nello stesso tomo di tempo figura come segretario dell’elettore di Brandeburgo e il 9 ott. 1691 otteneva l’incarico di professore di lingua italiana in Halle con uno stipendio di 600 talleri. Nel 1694 con questo stipendio dové pagame 50 per multa e spese a seguito di una condanna riportata in giudizio con certa Cristina Maria Neubauer. Nel 1695, nella carica di “pubblico professore in Halle e segretario di S. A. SS. di Brandeburgo”, pubblicava la traduzione de l’Olinda, o vero le Amorose Avventure di una bella inglese. Descritte in forma di lettere da Ella medesma ad un gentiluomo suo confidente alla villa (Halle 1695).
L’anno successivo veniva data alle stampe un’opera originale del C., Il Pastor Fido, pastorale dedicata all’AA. SS. EE. di Federico III e Carlotta Sofia di Brandeburgo da Nic. di Castelli P. P. in Halle e segret. di S. A. S. E. (Lipsia 1696).
Si apre poi nell’attività del C. una parentesi di traduttore. Nel 1698 tradusse in italiano Quinto Curzio, e portò a termine nel medesimo anno l’opera di divulgazione alla quale è maggiormente legato il suo nome: Le opere di G. B. P. di Molière, “divise in quattro volumi et arricchite di bellissime figure” (Lipsia 1698).
Tale impresa ha uno scopo eminentemente didattico, quello di divulgare presso il pubblico di lingua tedesca la conoscenza dell’italiano valendosi dell’autorità di un testo generalmente apprezzato (“Il mio principal scopo – scrive il traduttore nella prefazione – è stato l’utilità pubblica de’ poco perfetti nella nostra lingua e de’ principianti in essa, essendo che rarissimi sono li libri facili, modernamente stampati”), talché l’opera non si segnala per particolari meriti di resa artistica, quanto per una fedele e a volte pedissequa traduzione di termini, tesa a facilitare un confronto letterale.
A questo stesso ordine di intendimenti si riconnette la compilazione di un vocabolario (Dizionario italiano-tedesco e tedesco-italiano, Leipzig 1700), che si annovera come un superamento in senso scolastico tra le consimili opere dell’Oudin, del Veneroni e del Cramer. Il lavoro fu svolto in intesa con una équipe di collaboratori tedeschi, ed ebbe una notevole fortuna nel campo degli studiosi della lingua italiana e presso il più vasto pubblico di cultura italianizzante. Nel 1709 se ne fece una nuova edizione riveduta e ampliata da Johannes Mühlmann, e nella prefazione l’editore si premurava di precisare che il C. era anche “nominatissimo per l’eccellente conoscenza delle medaglie antiche e moderne, mediante della quale ebbe da provvederne per li più principali Gabinetti d’Allemagna, si come la continova fin’a questo punto col supplir quello vi manca”. E vantava il rifacimento in questi termini lusinghieri: “Nell’aprirlo scorgerai a bella prima emendate le mancanze del Castelli, temperata la prolissità del Cramero. temperata la mescolanza dell’Oudino, e nobil pareggiamento del Genio tedesco che non è nel Veneroni”.
Mentre si procedeva a questa nuova edizione del Dizionario, il C. era ritornato in Italia, dove aveva pubblicato (Venezia 1710) una Reggia di Mercurio, ossia un vocabolario di più lingue, la cui prefazione contiene un esplicito assenso circa la paternità del Dizionario e una preziosa notizia sul periodo della sua compilazione in Germania: “Dodici anni sono – cioè nel 1698, anno in cui il manoscritto dell’opera fu consegnato all’editore – diedi alla luce un mio primo dizzionario italiano e tedesco, e fu tanto aggradito che in poco spazio di tempo lo viddi più volte ristampato: quell’era però più tosto per la Natione Tedesca che per l’Italiana, che non conosce quell’oltremontano alfabeto: eccoti dunque... questo mio secondo sforzo, che meglio assai, per più capi, potra servire non solo al Tedesco et all’Italiano, ma ancora allo Spagnuolo, al Francese e ad altre nationi”.
In Italia il C. dovè: trattenersi per breve tempo. Tornato in Germania si avvide degli ingiustificati ripensamenti con cui era stato riedito il Dizionario e volle procurame una nuova edizione, da lui stesso riveduta, che ampliò i limiti dell’opera sino a renderla da un prontuario per principianti un vero e proprio dizionario italiano-tedesco. La nuova edizione fu pubblicata in Halle nel 1718 con il titolo, anch’esso significativo, di: La fontana della Crusca overo: il Dizionario italiano-tedesco e tedesco-italiano, aumentato, corretto, et accentuato per tutto, con somma diligenza, in questa terza edizione, dall’Autor proprio, cioè da Nicolò di Castelli, già Professor publ. ord. nell’Academia di Halla, e Segretario elettorale Brandeburgico, e presentemente Professor publico Ordinario nell’academia Ducale Sassonica Ienense.
Particolarmente interessante è la prefazione di questa edizione voluta dall’autore, in cui il C. giudica i precedenti dizionari italiano-tedeschi dello Hultius, dell’Erberg, del Roedelius, e conferisce all’italiano un titolo di nobiltà superiore a quella del francese, giacché parlare italiano, come inglese, significava immediatamente distinguersi dal volgo. Secondo il compilatore la linguaitaliana era indispensabile per i commerci, non soltanto nell’Europa centroccidentale, ma persino in Levante, ove un dizionario italiano-turco era diffusissimo a Costantinopoli; era inoltre utile per chi facesse professione di letterato e per chi intendesse coltivare gli studi artistici, che avevano in Italia la loro sede naturale, ma soprattutto era indispensabile per chi volesse intraprendere gli studi di politica che vantavano gli autori più insigni negli italiani Machiavelli, Boccalini e Paruta.
Sotto questo aspetto l’attestazione del modesto erudito lucchese costituisce una testimonianza ulteriore della stima in cui i circoli politici europei tenevano, ancora nel Settecento, i classici italiani della ragion di Stato.
Ancora del C. si deve ricordare una Grammatica tedesca stampata nel 1718 e un volume di Lettere dedicate a Cristiano Ernesto di Sassonia-Saalfeld (Lettere miscellanee curiose e galanti di Nicolò di Castelli, già segretario di vari principi europei, scritte per se o per altri in Germania e date in luce per la prima volta a petizione di molti Personaggi illustri che fanno stima grande della Purità dell’elegantissimo Idioma Italiano..., Norimberga 1728).
Si tratta dell’opera più dichiaratamente letteraria del poligrafo, aperta alle varie suggestioni della galanteria, dei ricordo autobiografico, della nota di costume. In un passo il raccoglitore apre uno spiraglio sulla sua vita di letterato girovago: “Sono arrivato in questa città di N. e v’ho trovato da vivere. I librari a gara m’hanno accarezzato e per otto giorni continui ho vivuto a gogo, adesso dall’uno, adesso dall’altro. Chi brama da me un’opera e chi un’altra; talmente che s’havessi tante mani come Briareo, tutti avrebbero occasione di guadagnare qualche cosa: Lodato sia il Cielo che non abbandona mai chi si confida in lui. Gli accordi sono un poco magri; ma è meglio qualche cosa che nulla”. Con un’altra lettera egli spedisce a una signora un paio di scarpette modellate secondo l’ultima moda veneziana e accompagna il dono con questo elegante madrigale: “Scarpettine, che cingete / al mio Bene il piè di latte, / chi v’ha fatte ? / Lo sapete? / Voi tacete, / perché Amor, che ne fu il fabro / vuol che il labro, / ch’è di pelle, / sia cucito come quelle”.
È a questo tipo di produzione, occasionale e svagata, come la moda letteraria dell’epoca che si affida la modesta rilevanza artistica del lucchese, mentre la sua attività di lessicografo e di traduttore fu giudicata negativamente, affrettata e caduca, già nel secolo scorso.
Si ignorano luogo e data della morte.
Bibl.: C. Lucchesini, Mem. e docc. per servire all’istoria del ducato di Lucca, X, Lucca 1831, pp. 13-14; P. Toldo, L’oeuvre de Molière et sa fortune en Italie, Torino 1910, pp. 202-206; B. Croce, Un insegnante di lingua italiana in Germania: N. di C., in Nuovi saggi sulla lett. ital. del Seicento, Bari 1949, pp. 358-368.