CAPRANICA, Nicolò
Nacque intorno alla metà del sec. XV a Capranica, nel Viterbese, donde era originaria la sua illustre famiglia, da Antonio e da Benedetta, che ebbero altri sette figli (Maurizio, Giovan Battista, Pietro, Stefano, Antonia, Caterina, Iacobella).
Visse e si formò a Roma negli anni del pieno Rinascimento, che seguirono la pace di Lodi (1454), resi violenti dalle lotte delle fazioni nobiliari degli Orsini e dei Colonna, antagonisti secolari fra loro e insofferenti dell'autorità pontificia. Pur intraprendendo assai presto la carriera ecclesiastica il C., secondo il costume dei tempi, condusse una vita libera e mondana (ebbe quattro figli illegittimi: Prospero, Ippolito, Tiberio e Fabio). Nel 1477 Sisto IV lo nominò canonico della basilica vaticana, e in seguito segretario apostolico; tali cariche mantenne anche sotto i successivi pontefici Innocenzo VIII e Alessandro VI.
Durante questi anni trascorsi negli ambienti della Curia il C. rimase nell'ombra. Solo dopo l'elezione di Alessandro VI (1492) egli si accostò apertamente all'energico card. Della Rovere, che, fiero avversario del pontefice, tramava incessantemente contro la famiglia Borgia complottando con gli Orsini e i Colonna (riuniti dal comune odio contro il pontefice dopo la confisca dei loro beni) e sollevandogli contro ora Ferdinando I d'Aragona, ora il re di Francia. Eletto papa con il nome di Giulio (31 ott. 1503), il Della Rovere nominò il C. vescovo di Nicastro, diocesi sul golfo di S. Eufemia, il 18 dic. 1504. Il C. rimase a Roma a svolgere le sue incombenze di funzionario di Curia e non si interessò del vescovado se non per i suoi ricchi proventi; nel 1505 si obbligò a versare 100 fiorini di "servizio comune": impegno che assolse l'anno successivo e, almeno fino al 6 marzo 1506, non prese possesso della diocesi, essendo considerato "Neocastrensis electus" (Arch. Segr. Vat., Iulii II Brevia, I, f. 467) nel breve che lo nominò vicelegato delle Marche appunto in quell'anno. Compito del C. dal 1506 al 1508 fu di controllare le tendenze autonomistiche e centrifughe delle numerose Signorie e Comuni delle regioni, che si erano liberate dall'oppressione di Cesare Borgia ma non dovevano comunque dimenticare il loro obbligo di obbedienza a Roma. Il 4 giugno 1509 il C. fu inviato in qualità di governatore a Rimini, riconsegnata da Venezia all'indomani della sconfitta di Agnadello (14 maggio 1509) nelle mani di Francesco Alidosi, legato pontificio della Romagna e della Marca. Primo atto del C. come governatore fu un proclama (11 giugno 1509) che liberava la popolazione della terra di Rimini dall'interdetto (lanciato il 13 aprile contro tutti i sudditi della Serenissima) "comandandoli che subito subito dovessero fare allegrezza e festa" (Tonini). Il 13 giugno prescriveva che "vengano eliminate le insegne di S. Marco" per cancellare al più presto le tracce esteriori della passata dominazione e nei mesi seguenti (l'ultimo bando è del 17 nov. 1509) emanava varie disposizioni per il riordinamento della vita civile e morale della città.
La restaurazione pontificia del C. si orientò in particolare verso un'odiosa pressione fiscale (il 22 agosto un bando del suo uditore Giavotti minacciava di fare l'esazione delle imposte col bargello) non cogliendo il problema politico di fondo di quella popolazione, che, ancora legata da molti interessi alla vinta Venezia, era divisa nel suo interno fra i filoveneti, i fautori di Roma, e i fedeli della famiglia Malatesta.
Inoltre talune insinuazioni su oscure manovre del C. governatore, avanzate dal locale Consiglio dei dodici al cardinal legato (nov. 1509), convinsero il pontefice a sostituirlo prima della scadenza del suo mandato con il vescovo di Montefaltro Antonio De Castro. Il C., nei cui confronti non si poté accertare alcuna irregolarità, resistette all'affronto rifiutandosi di lasciare la carica prima della scadenza del termine stabilito. Dopo alcuni giorni di tensione che divisero i Riminesi in sostenitori e oppositori del governatore contestato (durante i quali a mala pena si scongiurò l'intervento militare in favore del De Castro da parte del duca d'Urbino Francesco M. Della Rovere), il 1º dic. 1509 il Comune informò il cardinal legato che il C. era stato infine rimosso e che si attendeva l'insediamento di un nuovo e degno governatore.
Tornato a Roma il C., nonostante i recenti dissapori con il pontefice, rientrò nella corte papale. Intervenne nella pace fra Orsini e Colonna celebrata solennemente il 27 ag. 1511 alla presenza dei patrizi romani, dei caporioni e dei conservatori della città. Il 3 maggio 1512 fu tra i cinquantasette vescovi d'Italia presenti all'apertura della prima sessione del V concilio lateranense convocato da Giulio II per promulgare una riforma della Chiesa. Il nome del C. non compare più nella seconda sessione del 17 maggio 1512 ed in seguito si perdono le tracce di una sua qualsiasi attività politica.
Nel 1514 Leone X lo autorizzò a concedere in enfiteusi un fondo della mensa vescovile di Nicastro. Il C. trascorse questi ultimi anni curando l'amministrazione dei suoi numerosi beni e delle decime della sua diocesi (il 14 luglio 1517 promise alla Camera apostolica di versare un contributo di 2.000 ducati). Morì pochi mesi dopo, nel 1518, a Roma.
Fonti e Bibl.: Arch. Segr. Vat., Reg. Lat. 1129-A, ff. 126 s.; Reg. Lat. 1207, f. 172; Reg. Lat. 1306, f182; Ibid., Obligationes et Solutiones, 88, ff. 3 s.; Ibid., Brevium minutae Iulii II, VIII, ff. 53, 112, 135, 174; Ibid., Arm. XXIX, 62, f146; Ibid., Rationes Camerae,Intr. et Exit. 539, f 54; Ibid., Iulii II brevia, I, ff. 423, 467, 4961, 499, 526, 528, 550; II, ff. 427, 501; III, ff. 87, 133, 247, 252, 270, 359; VIII, f174; Bibl. Apost. Vat., Vat. lat. 7971: Geneal. della fam. Capranica, ff. 9 s.; G. Cappelletti, Le Chiese d'Italia, XXI, Venezia 1870, pp. 203 s.; C. Tonini, Rimini dal 1500 al 1800, VI, 1, Rimini 1887, pp. 54-76; 2, pp. 14 s.; F. Russo, La diocesi diNicastro, Napoli 1958, pp. 246 s.; G. Gulik-C. Eubel, Hierarchia catholica..., III, Monasterii 1923, p. 255; L. von Pastor, Storia dei papi, III, Roma 1959, p. 822.