CANI, Nicolò
Nato ad Iglesias il 20 maggio 1670 da una delle più nobili famiglie del luogo, iniziò gli studi umanistici e teologici nel cenobio domenicano della sua città e li proseguì completandoli nel convento domenicano di Cagliari. Entrò nell'Ordine dei predicatori nel marzo del 1691 e venne ordinato sacerdote il 5 giugno 1694, conseguendo il titolo di maestro in sacra teologia il 16 luglio 1702, dopo aver acquistato nel corso degli studi fama di profondo e acuto conoscitore della disciplina teologica. Allo studio e alla conoscenza della teologia unì una intensa attività di insegnante e di predicatore, dispiegata nel convento domenicano di Iglesias e soprattutto in quello di Cagliari. Negli anni 1706-07 e 1719-23, dopo che il capitolo generale dell'Ordine (Bologna, maggio 1706) aveva eretto la Sardegna in provincia, il C. ricoprì la carica di provinciale.
La sua conoscenza delle materie teologiche, lo zelo spiegato nella predicazione della dottrina cristiana, la vita austera improntata a severo ascetismo, l'impegno posto nell'allargamento dei confini dell'Ordine con la fondazione di un nuovo convento fuori Cagliari procurarono al C. gli incarichi di esaminatore sinodale della diocesi di Cagliari e di Oristano e di qualificatore dell'Inquisizione di Sardegna.
Dopo l'acquisto dell'isola da parte dei Savoia con il trattato di Londra nel 1718 e la composizione della polemica giurisdizionale tra la S. Sede e il regno sabaudo, il C., con bolla di Benedetto XIII del 27 marzo 1727, fu nominato, insieme con altri sei prelati ritenuti degni di ricoprire le sedi vescovili vacanti, vescovo di Bosa.
La nomina del C. e degli altri vescovi si inquadra nell'esigenza sentita dalla Chiesa post-tridentina di affermare in tutta la loro ampiezza i deliberati conciliari, ponendo rimedio alla situazione di scostumatezza regnante nel campo ecclesiastico e laicale. Il C. nella prima visita alla sua diocesi si rese conto dello stato di rilassamento del costume ecclesiastico e della mancata osservanza della pratica religiosa.
L'editto, emanato a Bosa il 10 dic. 1728, di convocazione del sinodo svoltosi l'anno dopo nella stessa città, è dichiaratamente motivato dalla necessità di divulgare e consolidare le disposizioni tridentine "al fine di incrementare il culto divino e riformare i costumi". La pubblicazione dei lavori sinodali fatta a Cagliari il 10 genn. 1729 (Costituciones synodales del Obispado de Bosa, Caller 1729)permette di rilevarne l'articolazione e di precisare meglio i punti di maggiore interesse. L'opera divisa in ventisette titoli e ciascun titolo in capitoli, tratta con ampiezza e accuratezza la materia sacramentale, per passare poi a dettare regole minuziose su ogni aspetto disciplinare dell'organismo ecclesiastico. In particolare l'accento batte sulla esigenza per gli ecclesiastici di possedere una buona preparazione teologica rilevando per la diocesi di Bosa la grave ignoranza della dottrina cristiana; notevole (tit. I, cap. IV) è la minutissima elencazione dei modi di praticare il culto e di insegnarlo insistendo sulla opportunità di adattare lo svolgimento delle funzioni ecclesiastiche e specie della predicazione ai bisogni e modi della vita materiale, ai costumi e alla lingua della popolazione. La regolamentazione dei patrimoni dei chierici, la loro onestà e modestia, l'obbligo della residenza sono motivi ricorrenti nelle disposizioni sinodali, come presente è il richiamo continuo alla figura di s. Carlo Borromeo, quale modello da tener presente nella pratica dell'attività sacerdotale. Il sinodo non manca di richiamare l'attenzione dell'autorità regia sulle usurpazioni di beni compiute a danno della Chiesa e sulla necessità della restituzione, e riafferma con forza che le decime, secondo il diritto naturale, sono dovute ai parroci nella loro qualità di amministratori dei sacramenti, e per diritto divino, in quanto Dio è supremo reggitore e padrone.
Un certo interesse per la storia delle tradizioni popolari presenta un acuto e penetrante esame che il C. fa per deprecare la mentalità superstiziosa e paganeggiante; per sradicarla dalle costumanze e dai modi di vita della popolazione di Bosa, egli ammonisce gli ecclesiastici a servirsi non della costrizione o di mezzi di tortura ma dell'amore e del timore di Dio.
L'attività del C. tesa a migliorare i costumi e a propagandare la dottrina cristiana fu così intensa nei dieci anni in cui resse la diocesi di Bosa che la pur forte fibra fisica ne rimase rapidamente indebolita. Morì il 4 marzo del 1737, nella sua residenza.
Fonti e Bibl.: P. Martini, Storia ecclesiastica di Sardegna, III, Cagliari 1841, pp. 89-95; P. Meloni-Satta, Effemeride sarda,coll'aggiunta di alcuni cenni biogr., Cagliari-Sassari 1895, p. 58; S. Pintus, Vescovi di Bosa, in Arch. stor. sardo, III (1907), pp. 68 s.; J. Quétif-J. Echard, Scriptores Ordinis Praedicatorum, a cura di R. Coulon, III, Lutetiae Par. 1910, p. 604; P. Martini, Biografia sarda, I, Cagliari 1837, p. 236; P. Tola, Dizionario biografico degli uomini illustri di Sardegna, I, Torino 1837, pp. 168 s.; R. Ritzler-P. Sefrin, Hierarchia catholica..., V, Patavii 1952, p. 124.