BEREGAN (Berengan, Beregani), Nicolò
Nato il 28 maggio 1713 da Antonio e da Isabella Loredan, era nipote del più noto letterato suo omonimo. Scarna ed essenziale è la vicenda biografica, che rientra tutta nel modello proprio della classe dominante della Serenissima nel suo ultimo secolo di vita. Dopo il suo matrimonio nel 1737 con una nobile veneziana, Elisabetta Lippomano, entrò nella carnera politica riservata agli esponenti del patriziato, percorrendo le varie cariche dello Stato senza soverchia passione, si può arguire, anche se con onestà e con intelligenza, e soprattutto con profonda partecipazione morale, rivelata dalle sue meditazioni e dai suoi scritti.
Tra le varie cariche pubbliche, lo ricordiamo nel 1764 membro della Quarantìa civil vecchia, l'anno seguente della Quarantìa criminal, nel 1767 podestà e capitano a Capodistria, dove venne ascritto alla locale Accademia dei Risorti ed ottenne particolari riconoscimenti di affettuosa amicizia e stima locale; nel 1770 divenne provveditore alle Biave, nel 1773 provveditore ai Beni inculti, nel 1775 provveditore alle Artiglierie, nel 1779 provveditore agli Ori e argenti.
Sono tutti incarichi, come si può facilmente vedere, di media importanza e di spiccata indole pratica; ed essi ben rispondono al mediocre interesse personale con cui questo patrizio di pur buone qualità intellettuali partecipò alla vita pubblica dello Stato veneziano, sino a ritirarsi volontariamente, orinai quasi settantenne, da ogni incarico e da ogni attività, andando a vivere a Padova nel 1780 tra i suoi libri e le sue carte.
Con certo maggiore impegno e vivacità il B. aveva partecipato alla vita letteraria del suo tempo, nella Venezia agitata dalle polemiche sulla "riforma" goldoniana e divisa in opposte fazioni tra goldonisti e chiaristi, tra chiaristi e partigiani del Gozzi; e in tali discussioni il quarantenne patrizio, che già aveva esordito timidamente con un sonetto d'occasione dieci anni innanzi nelle Rime di gentiluomini viniziani per le nozze del sig. Gaetano Molin e Dolfina Loredan (Padova 1744), sollecitato, a quanto pare, dagli amici e da quelli che con lui si erano fatti accaniti sostenitori del Goldoni, lasciò una traccia non infelice con Il Museo d'Apollo, un garbato ed erudito poemetto mitologico che venne stampato a Venezia da Francesco Pitteri nel 1744 in due edizioni quasi contemporanee, segno di buon favore di pubblico, e che verrà compreso più tardi, nel 1786, con qualche correzione, in un volume di opere poetiche del Beregan.
Operetta d'occasione, quella del B., ma resta come non volgare testimonianza d'un atteggiamento significativo d'una certa parte del patriziato veneziano nella disputa, che non era soltanto letteraria, attorno alle commedie goldoniane. Dalla dedica che il Goldoni fece, datandola da Torino l'8 maggio 1751, della Buona moglie al B., apprendiamo le molte attenzioni, le gentilezze, il vivace appoggio e la simpatia insomma che da parecchi anni ormai il patrizio andava accordando al commediografo; e il Museo d'Apollo, "cet ouvrage très-bien fait, et décoré de notes savantes..: extrêmement goûté du public", come scrisse Goldoni stesso nei Mémoires, rilevando che gli aveva procurato presso il pubblico veneziano "un honneur infini", giungeva dunque come l'ultima e culminante testimonianza d'una fedeltà alle nuove aspirazioni e idee goldoniane. Scritto soprattutto ad istanza del "gran mecenate" del commediografò, il patrizio Niccolò Balbi, nel pieno delle dispute tra goldonisti e chiaristi, si tratta d'un poemetto in versi martelliani che è quasi esclusivamente un'apologia della riforma della commedia e del Goldoni. Rivolgendosi appunto al Balbi, il poeta, sotto una fitta e complicata nube initologica, passa in rassegna tutti i più celebri autori drammatici della letteratura, i poeti, i commediografi che compongono appunto il "museo d'Apollo", nel quale, gloriosamente accolto da tanti illustri antenati, il B. colloca naturalmente Polisseno Fegejo, cioè il Goldoni, del quale si cantano lungamente le lodi.
Ma il Museo d'Apollo costituiva niente più che un contributo occasionale nell'orizzonte letterario e filosofico dei B., che aveva speso e spendeva, a quanto tutti dicevano, buona parte della sua esistenza in meditazione e in dotte scritture. Avaro come egli era, o semplicemente indolente e un po' pigro e privo d'ambizione come s'era mostrato anche nella vita politica, e non mettendo mai fuori i frutti del suo ingegno, di questa attività letteraria e filosofica si parlava assai più di quanto si sapesse, e il B. finì per esser ritenuto dagli amici uno dei più pensosi uomini di Venezia, senza che di ciò si avessero vere prove; si veda su questo aspetto la testimonianza di un colto ed interessante poeta-filosofo del tempo, Orazio Arrighi Landini, che in una nota dei suo fine poema Il tempio della filosofia, uscito nel 1755, parlava di lui come di "gentiluomo pieno di filosofia e di sensata erudizione universale, e adorno di benignità per tutti, di gentilezza quasi senza pari, e di costumi dolcissimi", occupato in profondi studi e in particolare nella stesura di un poema Dell'umana sapienza, "lavoro di una metafisica tutta nuova e tutta sua... dotta ed elaborata fatica che metterà in molto rischio l'opera approvatissima del fu Cardinale di Polignac"; e non si trattava d'opinione né di stima isolata: si ricordi ancora la lusinghiera ed obbligante, rispettosa dedica d'uno degli scrittori veneti meno noti ma non meno interessanti e fecondi del tempo, il vicentino Ludovico Barbieri, che a lui rivolgeva una Lettera... contenente l'esame di un libro anonimo francese sopra l'anima delle bestie (Vicenza 1764).
A sostegno di tanta rinomanza il B. mise in luce, o fece pubblicare per le cure di qualche men pigro amico, un volumetto poetico, le Poesie diverse di Niccola Beregani Patrizio veneto e Senatore tratte alia luce da mano rispettosamente amorevole (Padova 1786), una vera silloge dell'intera attività letteraria dell'autore, poesie "nate... in tempi fra sé distanti, tra i leggieri capricci della gioventù, tra le familiari spinose cure e i gravi cittadineschi uffizi della virilità, e finalmente tra le più profonde filosofiche meditazioni alle quali nell'età più provetta il genio del nobile Autore ha consacrati gli intervalli tutti di tempo", come scriveva lo stampatore.
Questa pensosa e grave immagine del B., consacrata anche in questa prefazione, non riceveva soverchio lustro dalle poesie in questione, ben poche delle quali offrono qualche motivo di vero interesse. Si tratta per lo più di povere imitazioni, sospese tra ormai esauste immagini petrarchesche e zoppicanti ritmi metastasiani. Ma il volumetto offre un panorama tutto sommato chiaro della personalità dell'autore: ne escono la sua indubbia cultura, il suo fondamentale conservatorismo politico (p. 67: un sonetto in cui si approva la dura repressione delle turbolenze politiche del 1779 a Venezia) e lo stato d'animo rinunciatario con cui ebbe a vivere tutta la sua esperienza pubblica, il profondo legame religioso, sentito come garanzia di solidità morale e politica ("La religione è il solo vero conforto nelle umane afflizioni", si legge nel titolo d'un suo sonetto, p. 92, e tutta la seconda parte dei volumetto è piena di "Rime sacre e divote"). Rimangono nel B., a turbare la saggia ma esausta coscienza morale e politica, appena le inquietudini della nuova temperie europea: incontriamo così un'adorazione vera e propria per Giuseppe II, "incomparabile" astro politico agli occhi del poeta accanto a Maria Teresa, alla russa Caterina, a Federico II, di cui traduce ampiamente alcune opere poetiche in una sezione apposita del volumetto; e incontriamo, singolare coincidenza con la vita di Angelo Querini e con la villa sua "filosofica" di Altichiero nei pressi di Padova descritta dall'amica Giustiniana Wynne contessa di Rosenberg, una "Dilucidazione del parterre filosofico nella villa dell'Autore ne' sobborghi di Vicenza, detta il Moracchino", ben più tradizionalista tuttavia, e assai più generica nei suoi simboli e nelle sue allegorie di quella del combattivo protagonista d'una delle crisi decisive della storia politica della Serenissima settecentesca.
A parte un suo sonetto introdotto nella raccolta delle Lagrime delle Muse sulla tomba di Angelo Emo (Venezia 1792), i contemporanei non conobbero altre opere del Beregan. Morì a Padova tra il dicembre del 1792 e il novembre del 1793.
Una sorte meno avara che in altre occasioni ha condotto sino a noi, e reputiamo pressoché al completo, la messe più significativa delle sue lunghe meditazioni filosofiche e politiche; e poiché non v'è motivo di pensare alla dispersione di scritti suoi più massicci e significativi (ché stupirebbe in tal caso poter invece oggi ancora studiare i suoi appunti e abbozzi), dal nucleo delle sue carte si possono trarre alcune prime impressioni che confermano in parte e in parte completano l'immagine che si è tracciata dell'autore.
Un attento esame comparativo dei vari abbozzi e un'analisi accurata dei testi permetterebbero di cogliere certo in questo grosso fascio di carte una testimonianza non superficiale dello stato d'animo della classe politica veneziana dei tempo e delle sue attitudini culturali: più che di vero pensiero filosofico o politico si tratta infatti per il B. di meditazione personale sui problemi del suo tempo e della società che lo circonda. La soluzione tenacemente perseguita dall'autore, e più volte sbozzata e con pedantesca cura schematizzata in piani e schizzi dell'opera destinata a non venir mai scritta, è nel solco della più pura tradizione, e riconferma, nella sua piena adesione ai canoni della fede e nel suo spirito religioso, la sordità politica che era diffusa nella classe cui apparteneva, non tocca dalle aperture culturali.
Mai studiati simnora, questi inediti si possono ripartire, per una sommaria presentazione, in vari gruppi:
I. - L'opera sulla religione cattolica e sulla Chiesa. Vi si possono annoverare parecchi inediti, tutti scritti in preparazione o in parziale realizzazione di una grande opera che il B. non giunse mai, a quanto consta sinora, a completare, e nemmeno a portare innanzi con una certa consistenza. Essi sono la Teocrazia cristiana ovvero della costituzione fondamentale della Chiesa cattolica (non datato, è un progetto di quattro paginette), il Piano dell'opera intitolata Esame imparziale della costituzione fondamentale della Chiesa così in rapporto alla sua autorità che al suo governo (non datato, 20 pp. di appunti; uno pseudonimo, Candido Conciliatore pubblicista e canonista cattolico, venne in seguito cancellato dall'autore), L'ultimo piano dell'opera intitolata Saggio imparziale sopra la costituzione fondamentale della Chiesa così in rapporto alla sua autorità che al suo governo libri due (porta la nota dell'autore: "Cominciato MDCCLXIX. Venezia"; pp. 24), la Teocrazia cristiana, overo saggio della costituzione fondamentale della Chiesa cattolica. Saggio imparziale di N. B. S. V. (datato "Venezia 1769", pp. 20 con la stesura iniziale vera e propria dell'opera, che si limita però all'introduzione e ad un capitolo preliminare), e infine il Saggio imparziale sopra la costituzione fondamentale della Chiesa in rapporto alla sua autorità ed al suo governo, libri due (datato da Venezia nel 1770, è ancora l'inizio dell'opera, limitato all'introduzione e a poche pagine d'un capitolo preliminare, in tutto pp. 14, scritto in uno stile profondamente religioso e pio); a questo gruppo si può aggregare come appendice una Breve esposizione delle verità storiche che la Rivelazione divina c'insegna in ordine alla religion nostra (pp. 12, non datate).
II. - L'opera sulla filosofia. Si tratta dell'occupazione, cui più assiduamente attese il B. in vecchiaia. Il testo più significativo è quello del Prospetto de' veri principi fondamentali di metafisica e fisica generale di N. B. S. V. (datato nel 1780, pp. 50 fitte di appunti), attorno al quale si collocano altri numerosi fascicoli nessuno dei quali reca purtroppo una precisa datazione. Tutto questo lavorio culmina, a confortare la nostra opinione della mancata conclusione dei suoi piani così ambiziosi, in Della metafisica. Discorso per servir d'introduzione all'opera intitolata Memorie ragionate sui principi fondamentali di una soda metafisica. Con in fine il piano generale dell'opera stessa di Erico Beningala, 66 pp., nelle quali è contenuto il succo delle sue meditazioni filosofiche, datate dall'autore nel 1788, e quindi assai vicine all'epoca della sua morte: il che ci conforta nell'opinione che abbiamo all'inizio esposta, così come un Piano de' Principi fondamentali I. Di una soda metafisica. II. Della prosperità sociale. III. Della costituzione del governo di Santa Chiesa. Al nobil signor conte Lodovico Barbieri, otto pagine datate da Padova nel 1787 che, nella loro stessa scarna evidenza, estendono la verosimiglianza della convinzione fattaci a tutto il complesso delle opere sue, rimaste sempre allo stadio di abbozzo.
III. - L'opera politica di sintesi generale. In essa il B. si proponeva di raccogliere il frutto della sua esperienza politica e di condensare in un solo organico ed armonioso corpo il lavoro intellettuale svolto in lunghi anni in vari domini del pensiero: non toccò a questa opera sorte diversa dalle altre, rimanendo dispersa in continui piani e schizzi generali, circondati ed integrati da appunti e riflessioni su aspetti particolari. Già attorno al 1770 si possono datare dodici paginette di una Memoria intorno alla disciplina eccl[esiastic]a risp[ett]o alla regia potestà;ma nel 1775, con datazione dell'autore da Venezia, incontriamo già degli Elementi economico politici della prosperità sociale secondo la divina istituzione e l'ordine naturale, con annotazioni importanti (pp. 22, contenenti una semplice introduzione); di qualche anno seguenti sono senza dubbio gli Afforismi economico-politici sopra l'agricoltura, il commercio, l'industria ed il governo. Raccolta relativa all'introduzione ed altre generalità dell'argomento, o sia Elementi della prosperità delle società politiche secondo l'istituzione divina e l'ordine della natura (pp. 22 in tutto), e del 1786 sono le Memorie ragionate per servire ad un saggio filosofico-politico sui primi essenziali elementi della social prosperità (pp. 20 contenenti l'introduzione e brani staccati); e i dubbi formalistici dell'autore, che affannosamente sembra cercare una veste adatta alle sue idee, paion terminare nel Ragionamento economico-politico sui principi fondamentali della prosperità sociale secondo l'istituzione divina e l'ordine naturale, volume I (datato da Padova nel 1788, pp. 22 comprendenti uno schema generale dell'opera intera e le pagine iniziali). Attorno a quest'opera generale si collocano altri brevi scritti, quali dodici pagine non datate su Società e potestà politica, e 42 fittissime pagine di un Saggio sull'origine e fondamenti della società e delle leggi e della potestà politica, non datate, nelle quali il B. espone quelle che sono le sue idee sulla società e si fa difensore dell'ordinata convivenza civile contro i miti dei "buon selvaggio".
IV. - Appunti di lettura e scritti d'occasione. L'estrema brevità degli scritti del B., che oppongono a titoli roboanti la povertà impressionante dello svolgimento, obbligano a collocare in posizione dubitativa un folto gruppo di pagine nelle quali egli venne probabilmente fissando in modo occasionale spunti di riflessione a fatti o libri del tempo, e che rimasero poi senza sviluppo. Vanno almeno ricordati sotto questa rubrica i suoi appunti e osservazioni sull'Istruzione di Caterina II per il nuovo codice (1769), sulla storia di Carlo V di Robertson (non datati), sulle idee del Bonnet nell'opera della libertà dello spirito umano (non datati); e ancora, tra quelli meno caduchi, dei Divisamenti filosofici di vario argomento (44 pp. di appunti del 1760), e l'opera più lunga che di lui ci resti e l'unica completa, Sopra la legislazione ed il commercio de' grani. Opera ridotta dal francese ad uso dell'Italia, datata da Venezia nel 1777, nella quale probabilmente un esame accurato rivelerebbe la piccola parte che spetta al B. rispetto all'ignoto testo francese; chiude la serie lo scritto recante la data più tarda nella sua produzione, il 1791, e cioè la Lettera amicevole (sic) di un italiano ad un Assemblista francese, venti pagine datate da Milano, 18 sett. 1791, in dura polemica con le dottrine rousseauiane ed egualitarie della Rivoluzione e ispirate da un profondo attaccamento alla tradizione conservatrice e alla religione cattolica.
Le opere del B. di cui s'è dato un rapido ma organico quadro sono sparse, senza vero ordine logico o cronologico, in due grossi volumi della Biblioteca del Museo Civico Correr di Venezia, mss. Correr, 989 e 994; oltre ad essi, nella stessa sede, mss. Correr, 990; pp. 210-211, si trovano sue composizioni in latino rivolte all'amico Niccolò Balbi; mss. Correr, 976, c. 38, il testo di un suo discorso in Maggior Consiglio, senza data; mss. Correr, 986/1, un'"accadema" organizzata in suo onore dai Risorti di Capodistria il 10 sett. 1767 "sopra il problema se la felicità di una nazione dipenda più dal suo amore verso la patria o dalla forza delle leggi", scritti dedicati al B. da Stefano Carli (ff. 44 ss.), un'orazione per la sua partenza da Capodistria (ff. 154 ss.), un'altra "accademia" del 13 ag. 1767 per la fine della sua carica in quella città J. 165 ss.), composizioni in suo onore di Francesco Fanzago, datate da Padova nel 1783 (ff. 264 ss.), e "brevi note" di Tommaso Quartari sopra "le eccellenti poesie" del B. medesimo, datate nel 1786 (ff. 331 ss.); III mss. Cicogna, 2223/47-48, una lettera dei 1766 scritta dal B. contro i cappuccini di Capodistria, con la risposta data dal Consiglio dei Dieci.
Fonti e Bibl.: Utili notizie ed una documentazione già cit. in C. Goldoni, Tutte le opere, a cura di G. Ortolani, I, Milano 1954, pp. 382, 1114; II, ibid. 1955, pp. 521 s., 1222; IV, ibid. 1945, pp. 927, 1269 s.; XIII, ibid. 1955, pp. 787, 1047. Si è accennato alla testimonianza lusinghiera di O. Arrighi Landini, Il tempio della filosofia, Venezia 1755, p. 128, ripresa e divulgata da G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 2, Brescia 1760, p. 917. L'unico cenno di qualche rilievo sul B. è quello di E. A. Cicogna, Delle Inscrizioni Veneziane, V, Venezia 1842, pp. 474 s.; VI, ibid. 1853, pp. 768 s., e Id., Saggio di bibl. veneziana, Venezia 1847, p. 417. L'oblio quasi totale cadde su di lui, e nessuno ebbe più modo di occuparsene né di sfruttare inqualche modo le sue carte; non rimane se non annoverare i cenni del tutto sporadici e documentari delle Memorie funebri antiche e recentiofferte per la stampa all'ab. Gaetano Sorgato, V, Padova 1860, pp. 114 s. (semplice copia del Cicogna), e di A. G. Spinelli, Bibl. goldoniana, Milano 1884, pp. 21, 29, 55, 58 (su cui cfr. le osservazioni di A. Neri nella recensione apparsa nel Giorn. stor. d. letter. ital., V [1885], pp. 272 s., che rivendica al B. la paternità del Museo d'Apollo); G. Soranzo, Bibliografia veneziana, Venezia 1885, p. 467; G. Natali, Il Settecento, Milano 1947. p. 874.