CHIGNOLI, Nicolò Agostino
Nato a Trino (Vercelli) il 21 apr. 1707, in una famiglia originaria di Pavia, da Pietro Antonio e da Anna Catterina Tosetti, vestì l'abito dell'Ordine dei predicatori il 21 apr. 1722. Dopo aver compiuto il noviziato e aver emesso la professione religiosa a Trino, venne trasferito nel convento di S. Domenico di Ferrara dove ebbe come professore di filosofia il padre T. M. Ricchini. Compiuti gli studi, fu promosso lettore di teologia e adibito all'insegnamento nello stesso convento. A Ferrara ebbe quindi la cattedra di S. Tommaso (cioè di teologia dogmatica) presso la pubblica università, fino al 16 ott. 1750, quando venne chiamato da Carlo Emanuele III alla cattedra di teologia dogmatica dell'università di Torino.
Nei sei anni di permanenza nell'ateneo piemontese il C. "insegnò un sano tomismo" (Stella, Giurisdizionalismo, p. 55), centrando le sue lezioni sul commento alla parte terza della Summa; ma si distinse anche per il suo rigorismo morale (fu collega e amico di mons. Michele Casati, filogiansenista e poi vescovo di Mondovì) e come accanito difensore delle prerogative della S. Sede in materia di foro esterno.
Il C. recitò, in modo particolare, questo ruolo di apologista dell'ortodossia cattolica nel 1754, quando il collega F. A. Chionio, professore di diritto canonico, lesse dalla cattedra il trattato De regimine Ecclesiae, che suscitò vaste polemiche e il sospetto delle gerarchie ecclesiastiche, in quanto intinto di richerismo e perciò favorevole ad una democratizzazione della Chiesa.
In questa occasione, l'arcivescovo di Torino, monsignor Roero, ottenne dal sovrano il consenso a far esaminare lo scritto del Chionio da una commissione di teologi nominati dalla Curia arcivescovile, tra i quali lo stesso Chignoli. Questi, in seno alla commissione, fu il più intransigente nel chiedere una condanna complessiva, benché il Chionio avesse dichiarato di essere pronto a correggere e a ritrattare quanto gli fosse sfuggito non conforme alle massime della Chiesa cattolica. Ma l'8 luglio 1754 venne ugualmente stilato dal C. un parere, in cui alcune proposizioni del Chionio erano dichiarate "prossime all'eresia" (Vallauri, pp. 299 s.).
Frattanto il ministro Caissotti, sostenitore dei principî giurisdizionalisti, fece esaminare lo scritto da un'altra commissione, formata da alcuni consiglieri e dall'avvocato generale dello Stato, i quali conclusero che il De regimine Ecclesiae conteneva qualche proposizione ardita o dubbia, era scritto in maniera superficiale e confusa, ma non era passibile di censura. Dopoché i due pareri furono fatti circolare in città, suscitando aspre polemiche, Carlo Emanuele III costrinse il Chionio alle dimissioni e impose il silenzio ai contendenti.
Ma la controversia stentò ancora a placarsi, e il C., per l'accanita opposizione dei sostenitori del Chionio, nel 1756, nonostante l'appoggio dell'arcivescovo e del sovrano, fu costretto ad abbandonare la cattedra universitaria, ottenendo la pensione a vita, pur non avendo compiuto il decennio ordinario. Egli lasciò addirittura il Regno di Sardegna, ritornando nel convento di Ferrara, ma mantenne saldi legami con il mondo ecclesiastico piemontese, soprattutto con i cardinali Roero e Delle Lanze, con mons. Casati e con mons. Francesco Lucerna Rorengo di Rorà, già suo discepolo, prima vescovo di Ivrea e poi arcivescovo di Torino.
A Ferrara il C. rimase fino alla morte, ricoprendo per tre volte la carica di priore del convento e una volta quella di vicario della Congregazione di S. Sabina dell'Ordine domenicano. Ma in questi anni si dedicò soprattutto agli studi, compiendo numerose traduzioni dal francese (tra cui una vita di s. Domenico andata perduta). Negli ultimi anni fu valido collaboratore del cardinale A. Mattei, arcivescovo di Ferrara.
Delle opere edite dal C., la più importante è Praelectiones theologicae... (Venetiis 1766), divisa in tre parti e in otto tomi.
Con questo trattato teologico, frutto di molti anni di lavoro, il C. si situava nella scia del tradizionale insegnamento tomistico, chiaramente polemico nei confronti delle tesi della "scuola" molinistica, che aveva allora nei gesuiti i massimi campioni. L'antimolinismo, fondato su un'attenta utilizzazione delle opere del domenicano F.-J.-H. Serry e dell'agostiniano E. Noris, e l'adesione ad alcune tesi muratoriane circa una religiosità più razionale gli valsero una notevole stima anche presso alcuni autori giansenisti, come ad esempio Pietro Tamburini. Ma in realtà il C. fu un deciso antigiansenista, dissentendo anche da alcuni troppi rigidi interpreti della dottrina agostiniana intorno alla grazia e alla predestinazione, come Gianlorenzo Berti e Viatore da Coccaglio.
Di minore interesse sono le Exercitationes ad Danielem prophetam... (Venetiis 1761), dedicate al cardinale Delle Lanze, un rigoroso lavoro di interpretazione scritturale, basato su un'ampia discussione delle tesi di numerosi autori. Il C. segue prevalentemente le opinioni di Noël Alexandre e di Augustin Calmet, in frequente polemica con alcune tesi dei gesuiti Hardouin e Berruyer già condannate dalla Chiesa.
Il C. morì a Ferrara il 10 maggio 1785.
Fonti e Bibl.: Il giansenismo in Italia. Collez. di documenti, a cura di P. Stella, I, 1, Piemonte, Zürich 1966, pp. 6 s.; I, 2, ibid. 1970, p. 511; D. Delfini, Oraz. funebre al p. m. N. A. C., Ferrara 1785; G. De Gregory, Istoria della vercellese letter. ed arti, IV, Torino 1824, pp. 139-142; G.B. Semeria, Storia del re di Sardegna Carlo Emanuele il Grande..., II, Torino 1831, pp. 37-40; T. Vallauri, Storia delle univers. degli studi del Piemonte, III, Torino 1846, pp. 158 ss., 162, 168, 299 s.; A. C.Jemolo, Il giansenismo in Italia prima della Rivoluzione, Bari 1928, pp. 83, 144, 148, 154, 156, 247, 250; C. Calcaterra, Il nostro imminente Risorgimento..., Torino 1935, p. 55; S. Vallaro, I professori domenicani nell'università di Torino, in Archivum fratrum praedic., VII (1937), pp. 169-172; A. Walz, Compendium historiae Ordinis Praedicatorum, Romae 1948, p. 449; P. Stella, Giurisdizionalismo e giansenismo all'università di Torino nel sec. XVIII, Torino 1958, pp. 14, 16, 55; H. Hurter, Nomenclator literarius..., V, col. 7.