Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nel panorama europeo del Seicento l’opera di Nicolas Poussin rappresenta uno dei più alti esiti della pittura di tendenza classicista. Essa trova un parallelo, in campo letterario, nel teatro di Corneille e negli scritti di Pascal. Lo studio dell’antico, la conoscenza delle fonti e la disciplina compositiva impongono lo stile di Poussin come punto di riferimento fondamentale per la pittura di storia francese dal Seicento all’Ottocento.
La formazione di Poussin ha luogo nella Francia d’inizio secolo, ma sono gli stimoli dell’ambiente romano a determinare la maturazione del suo stile nella direzione di un classicismo del tutto personale rispetto a quello, in prevalenza di matrice emiliana, di altri pittori operanti a Roma. Egli conduce un percorso sostanzialmente indipendente, ricercando nell’antichità un esempio morale in conformità ai principi della filosofia neostoica: sotto questa luce Poussin tratta anche i soggetti religiosi, nei quali il sincretismo fra cristianesimo e fonti classiche si accompagna a una grande originalità di invenzione.
La consacrazione della sua opera quale modello ideale per la pittura di storia, considerata nei suoi principi fondamentali di rappresentazione delle passioni e di ricostruzione storica, avviene subito dopo la sua morte, da parte dell’Accademia Reale di pittura francese, in particolare ad opera di Charles Le Brun.
In ambito romano, invece, il suo esempio non lascerà tracce importanti (fanno eccezione alcuni aspetti dell’opera di Pietro Testa e di Pier Francesco Mola), mentre si avranno diversi casi di superficiale imitazione di certi soggetti e composizioni.
Dopo un inizio di carriera di cui restano scarse testimonianze, Poussin conosce a Parigi nel 1622 il cavaliereGiovan Battista Marino che lo invita a seguirlo a Roma, dove il pittore giunge nel 1624. Abita per qualche tempo insieme allo scultore François Duquesnoy. Intorno al 1630, ammalatosi, viene curato dal suo affittacamere Jean Dughet, cuoco francese, di cui sposa una figlia e avvia alla pittura un figlio, Gaspard. Nello stesso anno il pittore Charles Mellin gli viene preferito per la decorazione di una cappella in San Luigi dei Francesi: da allora Poussin sembra disinteressarsi alle grandi commissioni ufficiali romane per dedicarsi esclusivamente a opere di destinazione privata.
Le fonti ricordano come, nei primi anni romani, Poussin studiasse l’antico insieme a FrançoisDuquesnoy, in un rapporto di scambio reciproco che resta ancora da approfondire. Lo stesso Poussin si sarebbe dilettato di scultura e“a fare di rilievo” (Bellori): l’unico episodio conosciuto riguarda i modelli che egli fornisce intorno al 1655 ad alcuni scultori per la recinzione della villa di Nicolas Fouquet a Vaux-le Vicomte (oggi nel parco della reggia diVersailles).
Insieme al Duquesnoy si applica anche allo studio dei Baccanali di Tiziano (all’epoca nella collezione Aldobrandini), che tanta parte avranno nella nascita, nel corso del terzo decennio del Seicento, di quella corrente neoveneta che, in vario modo, si protrarrà nella pittura romana oltre la metà del secolo. Da Tiziano egli trae il colore caldo e intenso che caratterizza buona parte delle sue opere degli anni Venti, e alcuni spunti compositivi: è stretta, ad esempio, l’affinità tra il Baccanale con suonatrice di liuto del Louvre e la tela tizianesca oggi al Prado. Fra i soggetti di questo genere, famosa è la serie di quattro Baccanali commissionata a Poussin dal cardinale Richelieu per il proprio castello di Poitou ed eseguita fra il 1634 e il 1636. Lo studio dei rilievi di sarcofagi e vasi antichi, così come delle incisioni da Giulio Romano, costituisce il punto di partenza per un’elaborazione del tutto originale tradotta in composizioni articolate e complesse. L’esistenza di più versioni di alcune di queste tele ha posto problemi di autografia.
Trascorsi quasi vent’anni a Roma, Poussin fa ritorno a Parigi nel dicembre del 1640.
Nominato “primo pittore” del re, riceve numerose commissioni prestigiose: per Luigi XIII dipinge l’ Istituzione dell’Eucarestia (ora al Louvre) destinata alla cappella del castello di Saint-Germain; Mosè e il roveto ardente e Il Tempo e la Verità per il Grand Cabinet del palazzo del cardinale Richelieu; il Miracolo di San Francesco Saverio, ordinatogli da Sublet de Noyers, soprintendente alle Fabbriche reali, per l’altar maggiore del Noviziato dei Gesuiti. Durante il soggiorno parigino, protrattosi fino all’ottobre 1642, Poussin viene anche incaricato di disegnare cartoni per arazzi e di ideare la decorazione della Grande Galerie del Louvre, progetto mai realizzato di cui restano alcuni disegni preparatori. La mancanza di un vero interesse verso gli incarichi di pittore di corte e l’ostilità di alcuni concorrenti parigini lo spingono al rientro a Roma, da dove non si muoverà più. Tuttavia il biennio trascorso in patria ha l’effetto di accrescere la sua fama tra i Francesi, che saranno i principali committenti delle opere del periodo successivo.
A Roma Poussin è particolarmente apprezzato dai “familiari” di papa Urbano VIII Barberini e dai suoi nipoti. Il viaggio a Parigi, la morte di Urbano VIII (1644) e la cacciata dei cardinali Francesco e Antonio Barberini, l’ascesa al soglio pontificio del papa filospagnolo Innocenzo X Pamphilj, determinano un mutamento nei rapporti tra il pittore e l’ambiente romano.
Nel ventennio successivo, al rientro dalla Francia, egli sembra aver allentato i legami con quasi tutti i committenti romani a vantaggio di quelli francesi. Questi ultimi sono socialmente più diversificati rispetto ai primi, quasi tutti appartenenti agli alti ranghi della gerarchia ecclesiastica. Accanto ai cardinali Richelieu e Mazzarino, al ministro delle finanze Nicolas Fouquet, al duca di Créqui, ambasciatore francese aRoma, a Paul Fréart de Chantelou, assistente del Soprintendente alle Fabbriche Reali Sublet de Noyers e grande amico di Poussin, figurano infatti il Maître des Comptes Passart, alcuni mercanti di seta e banchieri di Lione (Reynon, Serisier, Mercier, Lumague), il mercante e “bourgeois de Paris” Jean Pointel (uno dei suoi più importanti collezionisti, in stretti rapporti con l’ambiente lionese), il pittore Jacques Stella.
Stando al Bellori, al suo arrivo a Roma nel 1624 Poussin viene presentato dal cavalier Marino al marchese Marcello Sacchetti, che a sua volta lo introduce al cardinaleFrancesco Barberini, nipote di Urbano VIII.
Per il cardinale Barberini dipinge la Morte di Germanico (1628) e la Presa di Gerusalemme (1626, perduta) e grazie al suo appoggio è incaricato di eseguire una delle pale destinate allabasilica di San Pietro (Martirio di Sant’Erasmo, 1629, ora alla Pinacoteca Vaticana). Quest’ultima, unica commissione pubblica ottenuta dal pittore francese a Roma, è un’opera capitale del primo periodo, quando Poussin, a conoscenza dei disegni preparatori per lo stesso soggetto di Pietro da Cortona (che in un primo tempo avrebbe dovuto dipingere la pala), li interpreta costruendo la composizione attraverso una serie di gesti paralleli e di diagonali che conferiscono un carattere movimentato alla scena.
Fra i principali committenti romani di Poussin vi è Cassiano Dal Pozzo, intimo della famiglia Barberini, importante collezionista e mecenate.
Già prima della fine del terzo decennio il pittore è impegnato, insieme ad altri, a disegnare dall’antico per il famoso Museum Cartaceum di Dal Pozzo.
Gli interessi antiquari delle personalità della cerchia barberiniana (fra cui Gabriel Naudé) hanno un’influenza determinante su Poussin nella ricostruzione storica dei temi da lui rappresentati, nonché, attraverso una serie di colti riferimenti, nel loro significato più intimo.
Per Cassiano egli esegue, fra gli anni Venti e Cinquanta, numerosi dipinti. I più famosi sono senza dubbio quelli che compongono la serie deiSacramenti (1636-1642), alla quale si è tentato di attribuire un significato non ortodosso rispetto alla dottrina cattolica, o un fine devozionale il cui rigore cristiano sarebbe stato filtrato attraverso la filosofia di Campanella.
Più recentemente, la precisazione che tali quadri erano collocati in un ambiente del PalazzoDal Pozzo destinato a funzioni di rappresentanza e la conferma del loro stretto rapporto con un testo quale Roma sotterranea di Antonio Bosio (opera che si inserisce nella tendenza alla riconsiderazione e al recupero del cristianesimo delle origini avviata dal cardinale CesareBaronio), ne hanno chiarito l’ortodossia religiosa e l’impegno antiquario.
Su richiesta di Chantelou, che avrebbe voluto una copia dei quadri eseguiti per Cassiano Dal Pozzo, Poussin realizza fra il 1644 e il 1648 una seconda serie di Sacramenti, dal tono più grave e severo.
Nel primo ventennio della sua permanenza romana Poussinè particolarmente stimato da un gruppo di personalità legate alla corte di Urbano VIII Barberini, fra cui Giulio Rospigliosi. Per quest’ultimo dipinge, tra l’altro, una serie di tre “poesie morali” (Il ballo delle quattro età della Wallace Collection; I pastori d’Arcadia del Louvre; Il Tempo e la Verità, perduta) in cui i temi della fragilità della vita umana, dello scorrere del tempo, dell’ineluttabilità della morte sono evocati attraverso immagini di grande fascino, le cui fonti devono ancora essere precisate.
La presenza di opere di Poussin (sia originali che copie) sul mercato romano è attestata già intorno al 1630. A quell’epoca Fabrizio Valguarnera, un mercante d’arte in rapporto con i principali collezionisti romani, acquista dal pittore La peste di Azoth del Louvre e gli commissiona Il regno di Flora di Dresda. Quest’ultimo unisce i temi della grazia primaverile, degli amori infelici e della metamorfosi dei protagonisti in un gioco di sottili e colti rimandi che prende spunto dalle Rime del cavalier Marino, all’interno di una composizione che lascia trapelare ricordi della scuola di Fontainebleau. Nella Peste l’episodio biblico è inserito in un contesto architettonico ispirato alla “scena tragica” descritta da Vitruvio e tradotta in immagine da Sebastiano Serlio, che Poussin terrà presente anche in altre occasioni, come nella Morte di Saffira e nel Cristo e l’adultera. In quest’ultimo la grande scala obliqua sottolinea il gesto del Cristo, mentre le architetture in primo piano fanno da quinta alle pose degli astanti.
Da una lettera di Cassiano Dal Pozzo del 1630 si apprende che all’epoca Poussin dipinge paesaggi considerati superiori a quelli di Filippo Napolitano e di Paul Brill. Interpretando il testo di questo documento si è supposto che le prime prove del pittore in questo genere fossero di medie dimensioni, e raffiguranti scene pastorali. La critica però non è concorde nell’attribuzione di opere quali Numa Pompilio e la ninfa Egeria, Venere e Adone, Amor omnia vincit e Ninfe e satiri. Tali dipinti sono stati datati prima del 1630 e vi è stata notata una tendenza “decorativa” (Whitfield) nella composizione, unita a una grande libertà pittorica.
Al 1636-1637 risale il Paesaggio con San Gerolamo del Prado, che fa parte di una serie sul tema degli anacoreti commissionata daFilippo IV per il Buen Retiro. È la prima volta in cui Poussin dimostra di essersi applicato allo studio delle diverse specie di alberi, rispetto alla rappresentazione della natura più generica delle opere precedenti. A partire dal decennio successivo la sua concezione del paesaggio matura profondamente. Al 1640 si datano il San Matteo di Berlino e il San Giovanni in Pathmos di Chicago: la composizione è costruita in maniera sapiente, combinando frammenti antichi alla vedutadi luoghi reali, e usando un punto di vista dall’alto che dà grande respiro all’insieme. Seguiranno, all’inizio degli anni Quaranta, i Paesaggi con viandanti di Londra (già nella collezione Dal Pozzo), che sembrano nascondere un significato più profondo rispetto alla rappresentazione dei personaggi in sosta e della strada che si snoda quasi a perdita d’occhio verso l’orizzonte. Al 1648 risalgono i paesaggi con I funerali di Focione e La vedova di Focione raccoglie le ceneri del marito, dipinti per Serisier, nei quali le architetture classiche sullo sfondo accompagnano la solennità dei due episodi tratti da Plutarco.
In una lettera a Chantelou del 1648 Poussin scrive di voler mutare i sette Sacramenti in altrettante “storie” dove siano rappresentati“les plus estranges tours que la fortune aye jamais joué aux hommes”, ed esprime una serie di considerazioni che si collegano strettamente al pensiero neostoico di Pierre Charron, punto di riferimento deilibertini francesi del Seicento. Si è suggerito che i tardi paesaggi di Poussin, benché non formino una vera e propria serie, rappresentino dei tours de fortune quali esempi morali, come il pittore aveva accennato nella lettera a Chantelou. In una chiave neostoica di controllo delle passioni che agitano l’uomo (il quale deve mantenere la calma per vedere con chiarezza, al di là delle tempeste della “fortuna”) sono state interpretate opere quali il Paesaggio con un uomo ucciso da un serpente (alla National Gallery di Londra), l’ Orfeo ed Euridice, la coppia raffigurante la Tempesta e il Sereno, il Piramo e Tisbe. Quest’ultimo è quello maggiormente legato all’ambito libertino, giacché in stretto rapporto con un’opera del poeta libertinoThéophile deViau.
Questa linea interpretativa ha riproposto il quesito del possibile pendant di due opere di grande fascino, quali il Paesaggio con Polifemo diSan Pietroburgo e il Paesaggio con Ercole e Caco di Mosca.
Le note sulla pittura lasciate da Poussin costituiscono una serie di appunti tratti da vari autori (Quintiliano, Ludovico Castelvetro, AlbrechtDürer, Torquato Tasso).
Il Bellori le ha definite “poche ma degne osservazioni e ricordi sopra la pittura, al modo di Leonardo da Vinci, avendo Nicolò avuto in animo formarne un trattato [...] nella sua vecchiezza”. Sulla base di questo passo, è stato ipotizzato che Poussin volesse scrivere un trattato nella forma letteraria di quello diLeonardo (che egli conobbe da una copia posseduta da Cassiano dal Pozzo), vale a dire non un testo continuo, bensì una raccolta di brevi pensieri.
Il fatto di citare brani tratti dagli scritti di altri autori deriva da una cultura di tipo retorico assai diffusa all’epoca. Seguendo questo stesso principio Poussin scrive la famosa lettera a Chantelou (16 novembre 1647) sui “modi” in pittura, rielaborando un passo delle Istituzioni harmoniche di Giuseppe Zarlino, trattato sulla musica apparso a Venezia nel 1558. La classificazione dei modi esposta da Poussin (dorico “stabile, grave e severo”; frigio “veemente, furioso”; lidio per le “cose lamentevoli”; ipolidio di una “certa soavità e dolcezza”; ionico “di natura gioconda”), ricorda quella vitruviana degli ordini architettonici, nonché i precetti letterari della poetica aristotelica e della retorica classica. Poussinespone sotto altra forma alcuni principi di teoria artistica in una lettera a Fréart de Chambray, fratello di Chantelou (1 marzo 1665), che può considerarsi una risposta a L’idée de la perfection en peinture pubblicata da quest’ultimo nel 1662.
Poussin studia con interesse gli scritti sul modo di rendere le luci e le ombre del padre teatino Matteo Zaccolini, conoscitore di Leonardo. Opere quali l’Eucarestia della serie dei Sacramenti di Dal Pozzoo l’ Estrema Unzione della serie appartenuta a Chantelou testimoniano una sapiente capacità nella resa delle diverse fonti di luce e nel calcolo delle ombre proiettate. Nella Rebecca al pozzo del Louvre le teorie di Zaccolini sono richiamate nella corrispondenza di elementi geometrici (sfere, vasi, edifici), mentre lo studio dei colori e dei riflessi ha sostituito quello delle ombre nette.