VILLANI, Nicola
– Nacque a Pistoia nel 1590, da Ottavio, discendente di Giovanni, il cronista trecentesco, e da Giulia Baldovini.
Di famiglia numerosa, ma agiata, compì gli studi tra Firenze, Siena e Pisa, prima del trasferimento a Roma nel 1618, al servizio del vescovo di Viterbo Tiberio Muti, con l’incarico di cubiculi praefectus. Qui si affiliò al sodalizio degli Umoristi con il nome di Aldeano e conobbe diversi porporati (fra i quali Giovanni Battista Spada, a cui lasciò in eredità la biblioteca personale con i manoscritti), maturando rigidi convincimenti classicistici e dedicandosi alla composizione di poesie in latino a carattere encomiastico-occasionale.
Costretto a rientrare in patria, dove subì anche un periodo di detenzione per motivi non chiari, soggiornò in seguito, dopo una grave malattia, prima a Corfù e poi a Venezia, sotto la protezione del patrizio Domenico Molino. Se il periodo corfiota dovette essere infelice, ben diverso fu quello veneziano: a Venezia, infatti, Villani pubblicò nel 1628 una silloge trilingue (italiano, latino e greco) di poesie celebrative della città lagunare (Poesie sopra Venetia), e l’anno seguente, in forma clandestina, due satire in latino, l’anticlericale Dii vestram fidem, che gli meritò l’appellativo di ieromastix, e l’anticortigiana Nos canimus surdis, preceduta da un proemio al re Gustavo Adolfo di Svezia. Completano le opere veneziane la raccolta di carmi latini, dal titolo Ad bonam frugem poematium, sempre del 1629, e le Rime piacevoli, stampate nel 1634 insieme con il Ragionamento sopra la poesia giocosa de’ Greci, de’ Latini e de’ Toscani, dopo che però Villani aveva già fatto ritorno a Roma, probabilmente fra il 1629 e il 1630. L’esordio nell’encomio e nella satira corrisponde all’ufficio di rigenerazione della poesia contemporanea che Villani assegna a questi due generi (cfr. Ragionamento, Venezia 1634, p. 2), in linea con un’idea di letteratura identificata con il mecenatismo e con il didascalismo. Risalenti a un momento di crisi con l’establishment curiale, come risulta dalla dedica a un re protestante e dal luogo di pubblicazione, entrambi i componimenti in latino paiono ugualmente inserirsi, tuttavia, in quel «programma culturale di valorizzazione classicistica dell’esercizio satirico» (Riga, in La satira in versi, 2015, p. 165) d’area romano-barberiniana. Al primo dei due rispose l’Umorista Bartolomeo Tortoletti, autore, con il nome di Accademico Negletto, di una Antisatyra Tyberina, uscita insieme con un’anonima Actio apologetica, riduzione in prosa di quel testo in versi, nel 1630 (con la falsa indicazione di Francoforte).
Ricomposto il dissidio con la Curia romana, come testimonia la Canzone rivolta a Urbano VIII (Venezia 1632),Villani scrisse il Ragionamento, il cui nucleo originario fu una lezione tenuta fra gli Umoristi nel 1631.
Prendendo l’abbrivo dall’Eneide travestita di Giovan Battista Lalli (Venezia 1632), egli vi traccia a ritroso una storia sommaria del genere della poesia giocosa, valorizzandone soprattutto gli incunaboli greco-latini, ma aprendo anche digressioni di carattere linguistico sulla Commedia di Dante, considerato il padre della satira volgare, e sulla moderna produzione dialettale, con l’obiettivo di normalizzare, in questo modo, il moderno poema eroicomico. Richiesto con insistenza da Federigo Meninni ad Angelico Aprosio durante la stesura del suo Ritratto del sonetto e della canzone (Napoli 1677), il Ragionamento è seguito dalle Rime piacevoli, ideate nel luogo di villeggiatura di Vallinfreda e caratterizzate da un certo sperimentalismo: vi si ritrovano, infatti, alcuni generi e metri eccentrici, nella linea di analoghi virtuosismi versificatori praticati in seno agli Umoristi. Riconducibili nuovamente al gusto classicistico sono, invece, i capitoli, interessanti per le notizie di carattere biografico, ma anche perché, dietro lo schema allegorico della fictio parnassica, celano giudizi militanti sulla poesia contemporanea, svelando una fitta rete di relazioni accademiche. Benché non vi manchino elementi della poesia burlesca del XVI secolo, il loro modello non è, tuttavia, Francesco Berni, bersaglio di un capitolo extravagante a lungo rimasto inedito, perché distintivo è l’uso di questa tipologia metrica da parte di Villani, che la torce in senso moraleggiante e persino grave, come nel componimento funebre, pure esso postumo, per l’amico Antonio Bruni.
Anche gli scritti sull’Adone furono composti a Vallinfreda (con stampa, però, ancora veneziana), e questa loro genesi in villa è evidente già dai titoli, richiamanti l’ambito venatorio come corrispettivo metaforico dell’attività critico-esegetica.
L’Uccellatura (1630), con lo pseudonimo di Vincenzo Foresi, e le Considerazioni di Messer Fagiano (1631) prendono di mira l’Occhiale di Tommaso Stigliani e sono in dialogo con la Difesa dell’Adone di Girolamo Aleandro, a cui si conformano per l’articolazione binaria (ma Villani aveva pensato anche a una terza parte, dal titolo la Pernice). Rispetto ai suoi interlocutori, posizionati su poli opposti ed estremi, Villani ne rappresenta uno mediano, poiché riconosce al poema di Marino un perfezionamento rispetto alla tradizione letteraria precedente, ma al contempo ne individua i limiti di compatibilità con il sistema delle regole cinquecentesche, imprescindibile per un classicista come lui. Di qui la definizione di ‘barocco-moderato’ che lungamente ha contrassegnato la sua identità di critico, più severo nel giudicare le infrazioni regolistiche del poema rispetto ai suoi presunti plagi, giudicati con maggiore indulgenza perché riconducibili, nella sua visione, a pratiche compositive tradizionali. Sviluppando l’apologia mariniana dentro un quadro di approfondimento sull’intera storia della letteratura (e con un particolare riguardo, ancora una volta, alla Commedia), Villani prova, in realtà, a collocare un prodotto radicalmente innovatore come l’Adone nell’alveo della norma, e non dell’eccezione, evitando di contraddire così la stigmatizzazione dei poeti coevi espressa nei capitoli. Quando tratta della modernità, del resto, egli non è mosso da pregiudizi, ma valuta caso per caso: dalla parte del marinismo di Antonio Bruni, stronca invece nettamente, nelle Considerazioni, la Salmace di Girolamo Preti, di cui Guidubaldo Benamati scrisse una difesa mai data alle stampe.
Già anticipato in uno dei capitoli delle Rime piacevoli, l’incompiuto poema Della Fiorenza difesa (Roma 1641) segna invece il passaggio dall’esercizio interpretativo alla proposta creativa. Abbandonata la vena polemico-satirica, Villani costruisce infatti, nei dieci libri superstiti pubblicati postumi dal nipote Onofrio Ippoliti, un epos di marca municipale e controriformistica, basato sulla linea Omero-Virgilio-Dante-Tasso, ma ricettivo anche delle suggestioni del filone tardocinquecentesco e primosecentesco della poesia eroica (da Giovan Giorgio Trissino a Gabriello Chiabrera). Il tema ossidionale della città toscana minacciata dal barbaro Radagaso intreccia, infatti, armi ed eros in chiave pedagogica, utilizzando un’elocutio improntata a principi aristotelici e presentando un impiego moderato delle risorse retoriche. Elaborata come un antimodello dell’Adone, la Fiorenza difesa non contrasta tuttavia con gli scritti apologetici, poiché riguarda un distretto differente dalla polemica letteraria e dalla prassi esegetica, alla quale peraltro Villani continuò ad applicarsi su fronti diversi e con esiti difformi: oltre alle già citate osservazioni sulla Commedia, variamente giudicate dalla dantologia di secondo Ottocento, si ricordano anche le note alle opere degli umanisti Albertino Mussato (Historia Augusta ed Ecerinis) e Antonio Loschi (Achilleis).
Già di debole complessione fisica, morì di etisia a Roma il 2 ottobre 1636.
Tenuto in considerazione in Arcadia e nel Settecento come poeta satirico, nonostante il suo ruolo di apologeta dell’Adone, nel XIX secolo fu apprezzato, invece, soprattutto come critico letterario e polemista, oltre che come commentatore dantesco.
Fonti e Bibl.: Per la biografia di Villani cfr. A. Ceccon, Di N. V. e le sue opere, Cesena 1900 (a cui si rinvia per la bibliografia pregressa, in partic. per i repertori sei-ottocenteschi che menzionano l’autore). Per un profilo complessivo cfr. C. Jannaco - M. Capucci, Il Seicento, Padova 1986, pp. 64-66; B. Croce, Storia dell’età barocca in Italia, Milano 1993, pp. 261-264. Sulle due satire e sul Ragionamento cfr. U. Limentani, La satira nel Seicento, Milano-Napoli 1961, pp. 103-112; I. Paccagnella, N. V. fra Adone e Coviello. Note in margine al “Ragionamento” dell’Accademico Aldeano, in Giornale storico della letteratura italiana, C (1983), 510, pp. 203-220; C. Carminati, Lettere di F. Meninni ad A. Aprosio, in Studi secenteschi XXXVII (1996), pp. 206-217; La satira in versi, a cura di G. Alfano, Roma 2015 (in partic. A. Mazzucchi, Dante, “principe satirico dell’Arno”, pp. 88-90; P.G. Riga, La satira italiana del Seicento, pp. 164 s.). Sulle Poesie sopra Venetia cfr. la moderna ristampa a cura di M. Pieri (Trettanelò. Poesie sopra Venetia, Parma 1989). Sulle Rime piacevoli cfr. B. Frambotta Paris, Due inedite ipotesi critiche in versi di N. V., in Rassegna della letteratura italiana, LXXVI (1972), pp. 317-335; C. Chiodo, Il gioco verbale, Roma 1990, pp. 193-226. Per gli scritti sull’Adone cfr. F. Croce, Tre momenti del barocco letterario italiano, Firenze 1966, pp. 115-129; P. Frare, La nuova critica della meravigliosa acutezza, in Storia della critica letteraria in Italia, a cura di G. Baroni, Torino 1997, pp. 243-245; E. Russo, Marino, Roma 2008, pp. 335 s. Sul Villani dantista cfr. N. Villani, Le osservazioni alla Divina Commedia, a cura di U. Cosmo, Città di Castello 1894; G. Tavani, Dante nel Seicento, Firenze 1976, pp. 99-135; A. Accame Bobbio, V., N., in Enciclopedia dantesca, http:// www.treccani.it/enciclopedia/nicola-villani_%28Enciclopedia-Dantesca%29/ (25 maggio 2020). Sulla Fiorenza difesa cfr. G. Arbizzoni, Un’ipotesi secentesca di poesia eroica, Urbino 1977; M. Arnaudo, Dante barocco, Ravenna 2013, pp. 204-207.