TEGRIMI, Nicolao (Niccolò). – Nacque a Lucca nel 1448 da Raffaello, membro di un’antica e nobile famiglia lucchese. Le fonti tacciono sul nome della madre, ma non sappiamo se il motivo di questo silenzio sia legato al fatto che il padre il 12 aprile 1447 si era fatto prestare dal concittadino Girolamo de’ Cassinis una schiava serba di sedici anni di nome Elena, «acciò ne facesse il piacer suo» (Bongi, 1866, p. 232)
Come ci informa la fonte principale per la sua biografia, cioè la settecentesca Vita del cavaliere Nicolao Tegrimi di Alessandro Pompeo Berti, il padre morì nel 1452 e lasciò il figlio in tutela dello zio, che ne curò l’istruzione presso maestri di umanità lucchesi, come il discepolo di Vittorino da Feltre Giovan Pietro d’Avenza e, dopo la morte di quest’ultimo, il più oscuro Giovanni di Bartolomeo da Pescia.
Su consiglio del vescovo di Lucca Stefano Trenta, Tegrimi passò però presto da interessi letterari a studi di giurisprudenza e fu prima a Bologna, dove studiò sotto Alessandro Tartagnini, e poi a Siena dove ebbe come maestro, tra gli altri, Bartolomeo Sozzini. Tarda testimonianza di omaggio ai suoi maestri è l’edizione da lui curata della Disputatio ‘Sigismundus’ de mero imperio (Lucca, Enrico da Colonia ed Enrico da Harlem, 1491) di Tartagnini, aperta da una sua epistola dedicatoria indirizzata proprio a Sozzini.
Tornato a Lucca, si sposò nel 1473 con Susanna da Noceto, figlia di Pietro, umanista e segretario papale di Niccolò V. Da quel momento la vicinanza con la famiglia da Noceto aprì a Tegrimi le porte per diversi incarichi diplomatici di non secondaria importanza per conto della Repubblica di Lucca. Il più significativo fu la partecipazione nel 1478 alle trattative per la distensione dei rapporti tra il papa, il re di Napoli e Lorenzo il Magnifico a seguito della congiura dei Pazzi. Nello stesso anno è in ambasceria a Mantova presso Federico Gonzaga, di fronte al quale recitò un’orazione per la morte del padre Lodovico, che è l’unico scritto di lui rimastoci in volgare.
Negli anni seguenti fu impiegato in varie dispute di confine tra Lucca, gli Este e Firenze, ma nel 1494 la sua parabola incrociò di nuovo l’alta politica. In quell’anno infatti incontrò a Milano il re di Francia Carlo VIII, di recente disceso in Italia, e intercedé presso di lui perché fosse restituita ai lucchesi Pietrasanta, per poi scortarlo fino a Lucca. Le trattative di Tegrimi, vera e propria «anima del negozio» (Vita del cavaliere Nicolao Tegrimi..., 1742, p. XXVII), ebbero successo e, come ricompensa per il ruolo ricoperto, fu nominato governatore della città riacquistata.
Data al 1495 un suo intervento perché si espellessero da Lucca, seppure «bono modo» ed «exceptis quinque vel sex», gli ebrei che erano stati a loro volta espulsi da Pisa, dopo che la città si era rivoltata contro Firenze. Va detto che nella stessa occasione, Tegrimi si oppose all’oratore pisano che voleva riconsegnato l’ebreo Rubino di maestro Santo da Bologna, «quia non est honor» (Luzzati, 1985, p. 154).
Negli anni seguenti fu sempre protagonista di diverse ambascerie della Repubblica di Lucca, di cui sono testimonianza le orazioni da lui tenute in quelle occasioni, orazioni che furono spesso stampate (se ne vada un elenco in Vita del cavaliere Nicolao Tegrimi..., 1742, pp. LIII-LV) e che, per il periodo dal 1492 al 1507, si trovano manoscritte nel codice E.V.g.20 della Biblioteca statale di Lucca. Fra tutte merita di essere richiamata la sua legazione presso Giulio II in difesa del suo concittadino, vescovo di Worchester e collettore apostolico per l’Inghilterra, Silvestro Gigli, che Tegrimi riuscì a scagionare dalle accuse del suo collega Adriano Castellesi. Tegrimi dovette evidentemente fare buona impressione su Giulio II che, nel 1507, lo nominò pretore di Bologna, appena sottratta ai Bentivoglio. Negli anni tra il 1508 e il 1512 seguì da vicino le vicende di Firenze al passaggio tra la repubblica guidata da Pier Soderini (con il quale siglò, in rappresentanza di Lucca, una lega in funzione antipisana) e il ritorno dei Medici, da lui celebrato con l’ennesima orazione.
Oltre che alle sue abilità di giurista, diplomatico e retore (che avrebbero dovuto riversarsi in una storia della sua città, rimasta allo stato di abbozzo), la sua fama è affidata a una biografia del condottiero ghibellino e signore di Lucca Castruccio Castracani (1281-1328): la Vita Castrucii Antelminelli Lucensis Ducis. Uscita a Modena dai torchi dello stampatore Domenico Rocociola nel 1496 con dedica a Ludovico Maria Sforza, poi ristampata a Parigi nel 1546 e tradotta in italiano da Giusto Compagni nel 1556, l’opera servirà da base per la biografia di Castruccio scritta da Aldo Manuzio il Giovane.
Pur essendo orientata in senso elogiativo nei confronti del condottiero lucchese, tanto da fare di Tegrimi «il più entusiasta apologeta di Castruccio» (Berengo, 1965, p. 21), la Vita Castrucii era certamente un esercizio storiografico più fedele alla realtà dei fatti della sua più celebre erede, la Vita di Castruccio, che Niccolò Machiavelli compose proprio mentre era a Lucca nel 1520, occasione in cui avrà verosimilmente conosciuto Tegrimi. L’operetta machiavelliana si allontana infatti così tanto dalla realtà dei fatti che c’è chi ha pensato di escludere la biografia di Tegrimi dalle sue fonti, a favore di una perduta Descriptione di Bartolomeo Cenami, da cui, secondo una nota apposta al principale testimone dell’opera, il Palat. 537 della Biblioteca nazionale di Firenze, era tratta la Vita di Castruccio machiavelliana (Martelli, 1990). Alcuni errori che si ritrovano tanto in Tegrimi quanto in Machiavelli (come lo sdoppiamento in due persone diverse di Tommaso di Lipaccio di Lambertuccio Frescobaldi) fanno però propendere per un legame di dipendenza tra le due opere, del resto evidente in molti altri punti (Varotti, 2013).
Negli ultimi anni della sua vita, Tegrimi si ritirò sempre più a vita privata e, dal 1514, divenne arcidiacono della cattedrale di S. Martino, abbandonando «le onde torbide di questi parlamenti» e divenendo «quasi un oracolo della città» (Guidiccioni, 1945, p. 101). Se una delle cause di questa crisi religiosa, assieme con la vecchiaia, fu certamente la morte della moglie e dell’unico figlio Raffaello, gli esiti furono meno scontati. Già critico feroce della corruzione della Curia sotto Alessandro VI, Tegrimi frequentò nei suoi ultimi anni il cenacolo di dame e gentiluomini che si raccoglievano intorno al patrizio e umanista di simpatie erasmiane Gherardo Sergiusti. Proprio Tegrimi è il dedicatario del maggiore numero di componimenti raccolti nel Progymnasmaton libellus, pubblicato da Sergiusti a Lucca nel 1522 con dedica al patriarca di Aquileia Marino Grimani (Adorni Braccesi, 1994, p. 59). Quello raccolto attorno a Sergiusti fu uno dei primi gruppi di ispirazione evangelica che, tra gli anni Trenta e Quaranta, avrebbero dato vita a un clima cittadino favorevole alla Riforma protestante.
A tali sviluppi Tegrimi non poté assistere, perché morì nel 1527 e fu sepolto nella chiesa della Ss. Annunziata dei Servi (Pizzi, 1957, p. 16).
Fonti e Bibl.: Vita del cavaliere Nicolao Tegrimi di Alessandro Pompeo Berti a principio dell’edizione della Vita Castruccii, Lucca 1742; S. Bongi, Le schiave orientali in Italia, in Nuova antologia di scienze, lettere ed arti, II (1866), pp. 215-246 (in partic. p. 232); G. Guidiccioni, Orazione ai nobili di Lucca, a cura di C. Dionisotti, Roma 1945, p. 101; C. Pizzi, Per la storia dell’umanesimo in Lucca. Lettere inedite di N. T., Firenze 1957, p. 16; M. Berengo, Nobili e mercanti nella Lucca del Cinquecento, Torino 1965, p. 21; M. Luzzati, La casa dell’ebreo. Saggi sugli ebrei a Pisa e in Toscana nel Medioevo e nel Rinascimento, Pisa 1985, p. 154; M. Martelli, Machiavelli e la storiografia umanistica (1990), in Id., Tra filologia e storia. Otto studi machiavelliani, a cura di F. Bausi, Roma 2009, pp. 171-202; S. Adorni Braccesi, Una città infetta. La Repubblica di Lucca nella crisi religiosa del Cinquecento, Firenze 1994, p. 59; C. Varotti, T., N., in Machiavelli. Enciclopedia machiavelliana, II, Roma 2013, pp. 600 s.