SANSANELLI, Nicola
– Nacque a Santarcangelo di Lucania (Potenza) il 5 marzo 1891, primogenito di Michele, notaio, e di Caterina Castronuovo. Sostenne gli studi ginnasiali e liceali presso il collegio benedettino di Cava de’ Tirreni e si trasferì poi a Napoli per conseguire la laurea in giurisprudenza. Il suo percorso di formazione è tipico di una borghesia di provincia tutt’altro che confinata nel proprio territorio e di agiata condizione patrimoniale. Gli studi universitari di Sansanelli furono però rallentati dall’adesione all’impresa coloniale in Libia (1911), dove andò volontario come caporalmaggiore dei bersaglieri ciclisti e dove conquistò una medaglia di bronzo al valore militare per gli scontri di Sciara-Sciat. Dopo l’impresa libica riprese gli studi universitari, conclusi poco prima dello scoppio della Grande Guerra. Non sorprende che questo evento abbia rappresentato per lui, come per numerosi suoi coetanei, una cesura esistenziale. Egli guardò con entusiasmo alla prospettiva della guerra e non esitò ad arruolarsi.
Partì per il fronte insieme a un fratello, caduto in combattimento, e militò da sottotenente dei bersaglieri riportando diverse ferite che gli valsero una croce di guerra e due medaglie d’argento, oltre alla promozione prima a tenente e poi a capitano. La guerra rappresentò lo spartiacque decisivo verso la politica, orientando la sua adesione al fascismo. Sansanelli fece parte del direttivo dell’Associazione nazionale combattenti, presiedendo anche la Fédération interalliée des anciens combattants.
In Campania si distinse tra i promotori del movimento fascista, che vide la presenza di diversi commilitoni del suo stesso reggimento dei bersaglieri, tra cui Aurelio Padovani, con il quale il 1° dicembre 1920 costituì il Fascio napoletano. Sansanelli, come lo stesso Padovani, aveva maturato altre esperienze politiche nell’immediato dopoguerra (negli anni successivi, accusato da avversari di partito, ammise di aver sostenuto la candidatura di Francesco Saverio Nitti alle elezioni del 1919), ma si identificò subito e senza riserve nel fascismo. La discriminante era costituita dall’avversione al vecchio sistema politico, emblema del neutralismo e del disfattismo, in contrapposizione al sorgere di forze nuove, plasmate dall’esperienza del fronte. Se Padovani era il capo carismatico e il capitano riconosciuto dello squadrismo campano, Sansanelli non partecipò ad azioni punitive (secondo quanto accertato in occasione del processo di epurazione) e la sua presenza non aveva effetti carismatici né gli venne riconosciuta una capacità di leadership. In una nota confidenziale degli anni successivi fu definito come «alquanto debole e propenso ai facili adattamenti e accomodamenti» (informativa della polizia politica del 25 settembre 1927, in Archivio centrale dello Stato, Segreteria particolare del duce, Carte riservate, b. 92). Il suo contributo fu però tutt’altro che secondario nel favorire il radicamento locale del movimento, rappresentando una versione dialogante e non facinorosa della ‘rivoluzione fascista’ in grado di facilitare l’osmosi con movimenti di analoga estrazione, in primis combattenti e monarchici, che vedevano come una minaccia democratica l’emergente ascesa dello squadrismo fascista.
La capacità di mediazione era un tratto riconosciuto del suo carattere e costituì la quintessenza della sua carriera di dirigente politico. Egli stesso ne diede un’interpretazione non convenzionale in una pubblicazione che preparava l’adunata di Napoli del 24 ottobre 1922, alla vigilia della marcia su Roma. Per Sansanelli il fascismo, come fenomeno di popolo, doveva prepararsi a raccogliere l’eredità del liberalismo, elaborando una ‘coscienza fascista’ che fosse la prosecuzione ideale di quella coscienza liberale cui «mancò il soffio vivificatore della comprensione e della partecipazione popolare» (N. Sansanelli, Salamanca, in Fascismo..., 1922, p. 16).
L’idea di una continuità storica con il liberalismo divergeva dalla paranoica intransigenza del fascismo padovaniano, eppure Sansanelli evitò di prendere una posizione netta allorché il ras del fascismo campano si trovò in conflitto con Mussolini sulla politica delle alleanze. Nel periodo più acuto del contrasto Sansanelli era il segretario del Partito nazionale fascista (PNF) – carica che ricoprì tra il novembre del 1922 e l’ottobre dell’anno successivo – e si trovava dunque nel posto ideale per tentare una mediazione o quanto meno per suggerire una soluzione. Al di là della totale subordinazione della segreteria del PNF alle direttive mussoliniane, gli faceva difetto l’autonomia decisionale, una caratteristica che ne favorì una lusinghiera carriera ai vertici del potere locale impedendo però di ricordarne un solo gesto memorabile. Così, dopo un breve periodo di eclissi politica che sembrò coincidere con un ritorno ai luoghi d’origine (nel 1923 fu investito della carica di commissario politico per la Basilicata e tra il 1925 e il 1926 di segretario federale di Potenza), Sansanelli fu nominato segretario della Federazione provinciale napoletana del PNF nel novembre del 1926, all’indomani della morte di Padovani. Intanto nel 1924, come candidato nel listone per la circoscrizione calabro-lucana, era stato eletto alla Camera, dove rimase per quattro legislature, intervenendo solo sporadicamente su temi locali o militari.
La presenza di Sansanelli alla guida del Partito napoletano si prolungò sino al 1929 e contribuì a svelenire il clima nel movimento fascista, arroventato dalla polemica degli squadristi della prima ora contro il trasformismo delle classi dirigenti locali, ma coincise anche con la definitiva subordinazione delle federazioni provinciali al controllo prefettizio. A Napoli questo processo fu rimarcato dall’istituzione sin dal 1925 di un Alto commissariato per la città e la provincia, una figura che oscurava ogni altra carica politica. Consapevole dell’emarginazione cui era condannato il federale del Partito, Sansanelli non nascose la propria avversione nei confronti dell’alto commissario Michele Guaccero Castelli, accusandolo di riportare «al primo piano della vita politica partenopea elementi della vecchia aristocrazia napoletana che anche per la loro mentalità reazionaria e conservatrice “ancien régime” sono assolutamente refrattari alle ardite realizzazioni fasciste» (nota informativa della Polizia politica del 13 novembre 1929, in Archivio centrale dello Stato, Segreteria particolare del duce, Carte riservate, b. 92), ma la sua protesta non sortì effetto.
La sua azione ebbe semmai maggior risalto in ambito giornalistico. Nel 1928 assunse la direzione del Mattino, il principale quotidiano napoletano sottratto dopo una lunga vertenza ai fratelli Scarfoglio. Suo condirettore era Francesco Paoloni, con il quale Sansanelli avviò anche la pubblicazione della rivista Italiani pel mondo, nata dalle ceneri nittiane de La Basilicata nel Mondo. La rivista ebbe però vita breve, mentre la direzione del Mattino (che si prolungò sino al 1934) lo costrinse a un quotidiano scontro con Giovanni Preziosi, che dalle colonne de Il Mezzogiorno guidava una campagna di delegittimazione dei poteri locali che, non potendo attaccare l’organo prefettizio, si dirigeva principalmente contro la gestione del Partito.
Sansanelli era colpevole agli occhi dei farinacciani di anestetizzare la vita politica locale, ma anche di imporre un freno alle violenze contro gli antifascisti, ad esempio mediante la tutela dell’incolumità di Benedetto Croce. La polemica con Preziosi offrì all’alto commissario l’occasione per rimuovere le ultime scorie politiche: nel 1929 furono decretate la chiusura del Mezzogiorno e la quasi simultanea sostituzione di Sansanelli alla segreteria della Federazione provinciale. Nell’ottobre dell’anno successivo Sansanelli sposò Maria Scafarelli, da cui ebbe una figlia, Livia.
Negli anni Trenta il baricentro del potere locale si allontanava ancora di più dalle strutture di Partito, concentrandosi nelle mani di una classe dirigente di estrazione imprenditoriale che trovava nell’Alto commissariato un accesso diretto alle risorse pubbliche. Nella progettazione e realizzazione delle opere del regime il peso dell’Unione industriale e del suo presidente, Giuseppe Cenzato, fu quindi notevolmente più rilevante di quello dei gerarchi della prima ora.
Estromesso dagli incarichi politici, Sansanelli cercò di trovare spazio nell’organigramma del potere economico – alla vicepresidenza della società Acqua del Serino e della società di Navigazione Cosulich si aggiunse nel 1931 la presidenza dell’Ente autonomo Volturno –, ma le scarse competenze economiche gli impedirono di svolgere un ruolo significativo in questo rinnovato assetto dei poteri. Ben più confacente alla sua formazione giuridica fu invece il compito di guidare il sindacato fascista degli avvocati e procuratori di Napoli, assunto nel 1934 e mantenuto sino alla caduta del regime. Anche in Parlamento non si registrarono più sue presenze e Sansanelli sembrò dedicarsi quasi esclusivamente all’attività di avvocato, apparendo ormai in declino la sua parabola politica.
Con il precipitare degli eventi bellici, mentre i gerarchi napoletani riparavano al Nord, Sansanelli attese a Napoli l’arrivo delle forze alleate. La prima denuncia lo raggiunse alla fine del 1944. Sottoposto a detenzione nel carcere di Procida, comparve dinanzi all’Alta corte di giustizia nel giugno del 1945. Le deposizioni a suo discarico di esponenti antifascisti dell’avvocatura napoletana (tra cui Enrico Altavilla, Giovanni Porzio, Giovanni Lombardi), che ne testimoniavano il comportamento equanime nei confronti degli avversari politici, indussero la corte a concedergli le attuenuanti generiche: fu condannato a dieci anni di detenzione, in seguito amnistiati. Una successiva sentenza della Corte di cassazione lo assolse dall’accusa di arricchimento illecito.
Dopo aver chiuso i conti con la giustizia e con il fascismo, affiorò nuovamente in lui una spinta verso la politica, in una città pervasa da istinti nostalgici e da furori monarchici. In coerenza con il suo passato Sansanelli convergeva su Achille Lauro, con il quale aveva intrecciato relazioni d’impresa negli anni Trenta. Il tentativo di tornare in Parlamento si rivelò tuttavia troppo ambizioso: candidato alla Camera dei deputati nelle liste del Partito nazionale monarchico, nel 1953 e alle successive tornate elettorali del 1963 e del 1968 con il Partito democratico italiano di unità monarchica, riuscì solo a figurare tra i primi dei non eletti. Il suo nome conservava invece un certo richiamo sulla scena locale. Eletto consigliere comunale nel 1952, fu nominato assessore al Patrimonio della giunta Lauro nel 1956 e all’Economato nel 1960. Tra le due esperienze amministrative (in giunte per altro connotate da forti deficit di bilancio) vi fu anche una breve parentesi alla guida dell’amministrazione comunale. Il 6 gennaio 1958 il Consiglio comunale di Napoli lo elesse sindaco in seguito alle dimissioni di Lauro, che intese così scongiurare lo scioglimento della giunta per decreto prefettizio. Ciò nonostante il 13 febbraio il governo nominò egualmente il commissario prefettizio e pose termine alla sua sindacatura.
Morì a Napoli il 18 agosto 1968. Benché la stagione politica del laurismo fosse ormai conclusa, il Consiglio comunale ne decretò la sepoltura nel recinto degli uomini illustri del cimitero di Poggioreale.
Sansanelli è autore del memorialistico Ventunora a Santarcangelo, Napoli 1946 (2ª edizione ampliata, Napoli 1966). I suoi interventi parlamentari sono consultabili sul sito http:// storia.camera.it (8 settembre 2017). Un suo contributo intitolato Salamanca compare nel volume collettaneo Fascismo. In occasione del congresso per il Mezzogiorno, Napoli 1922, pp. 13-17.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio centrale dello Stato, Segreteria particolare del duce, Carteggio riservato, b. 92, f. W/R. La partecipazione alle tornate elettorali è documentata dal sito http://elezionistorico.interno.it.
Due profili biografici in M. D’Avino, N. S., in I sindaci di Napoli, II, Napoli 1974; M. Gomez D’Ayala, Commemorazione di Vincenzo Ingangi e N. S., Napoli 2001. Altre notizie di carattere biografico in C. Rossi, Personaggi di ieri e di oggi, Milano 1960, p. 313; M. Fatica, Appunti per una storia di Napoli nell’età del fascismo, in Rivista di storia contemporanea, 1976, n. 3, pp. 388-420; P. Varvaro, Una città fascista. Potere e società a Napoli, Palermo 1990, pp. 70-72; S. Minolfi - F. Soverina, L’incerta frontiera. Saggio sui consiglieri comunali a Napoli 1946-1962, Napoli 1993, pp. 101 s.; I nostri eroi: il dovere della memoria, Potenza 2004, p. 19; C. Magistro, Dal fascismo alla Repubblica, in Potenza capoluogo (1806-2006), I, Santa Maria Capua Vetere 2008, pp. 281-290. Per un resoconto del processo di epurazione: La Voce, 26-29 giugno 1945; l’arringa difensiva in E. Botti, In difesa di N. S., in Oratoria, rivista mensile di eloquenza, I (1945), 5, pp. 229-260.